Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

Einaudi Nella nuova «Biblioteca dell'Orsa» le opere • dei grandi autori della modernità: ' PierPaolPoasolini Letter1e940-1954 La scoperta della poesia, gli incantesimi del mondo contadino, la guerra, la militanza politica, la «meglio gioventu», lo scandalo di Casarsa, la fuga a Roma. Una autobiografia attraverso le lettere, che arricchisce in modo decisivo il ritratto dell'uomo e dello scrittore. A cura di Nico Naldini. pp. CXXXII-740, L. 42 000 RobeMrtusil Romanbzrievin,ovelle eaforismi Il Torless, Tre donne, Pagine postume pubblicate in vita, e 250 pagine di testi inediti: racconti, aforismi e «glosse» sui fenomeni dell'attualità e del costume, multiforme laboratorio narrativo, filosofico e poetico. Introduzione di Cesare Cases. pp. XLIII-768, L. 42 000 MariRoigonSitern Amordeiconfine La guerra e la pace, gli uomini e gli animali, i boschi e le piante: la favola vera dell'Altipiano. «Supercoralli », pp. 212, L. 18 000 Il raccondtoiPeuw bambincambogiana tradotetopresentadtaoNatalia Ginzburg La tragedia della Cambogia sotto Poi Pot nella testimonianza di una bambina scampata ai massacri. Una Anna Frank dei nostri anni racconta una storia di incubo e di speranza. «Gli struzzi», pp. xv-355, L. 14000 • MeyeSrchapiro L'artemoderna Cézanne, Courbet, Van Gogh, Seurat, Picasso, Chagall, Mondrian ... Gli scritti del maestro americano tracciano un profilo compiuto dell'arte moderna dal realismo all'astrattismo. Introduzione di Cesare Segre. «Biblioteca di storia dell'arte», pp. XXIX-300, L. 50 000 AntoBnlok Lamafidaiunvillaggio sicilian1o8,60-1960 Il primo tentativo di analizzare il fenomeno mafioso dall'interno, attraverso l'osservazione quotidiana dei comportamenti e della vita di una comunità della Sicilia occidentale. «Microstorie», pp. x1x-280, L. 24000 GiorgVioasari LeVitede'piueccellenti architetpti,ttoreitscultori italiandi,aCimabuinesino a'tempniostri nell'ediziopneer i tipdi iLorenzo TorrentiFniorenz1e550 La prima edizione, finora trascurata, ma «incomparabilmente piu pura e artistica» (Schlosser) e letterariamente piu viva della grande opera del Rinascimento italiano. A cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi. Presentazione di Giovanni Previtali. «I millenni», pp. LXIV-1020, con 33 illustrazioni fuori testo, L. 95000 tà personale è votato a un'antinomia senza soluzione». La soluzione - e qui Tempo e racconto si ricollega al Saggio su Freud - è nel tessuto di storie che costituiscono la storia di una vita, che è una storia della vita di un individuo o di una comunità. La seconda grande aporia, quella della unità delle tre grandi ekstasi del tempo, passato, presente e futuro, viene risolta nell'imperfezione stessa di questa unità nel racconto: nel carattere plurale di questa unità, che tiene insieme le tre dimensioni dell'attesa, della tradizione e della forza del presente. Il presente diventa la forma di transizione - Proust avrebbe detto di «attraversamento» - fra attesa e memoria. Ma è la terza l'aporia più grande. È l'aporia della impensabilità, o dell'inscrutabilità del tempo. «La confessione dei limiti che la narrativa incontra fuori di se stessa e in se stessa» attesta che «il racconto, nemmeno lui, esaurisce la potenza del dire che rifigura il tempo». Ma paradossalmente, come paradossale è in fondo ogni pensiero della narrazione, è «proprio nel modo in cui la narratività è portata verso i suoi limiti che risiede il segreto della sua replica alla inscrutabilità del tempo». I limiti possono essere interni, là dove il racconto si esaurisce in prossimità dell'inscrutabile, che, proprio per questo, viene se non rappresentato almeno presentato. E i limiti sono esterni, là dove il racconto deborda, come in fondo ogni grande finzione narrativa, «in altri generi di discorso che, a modo loro, si impegnano a dire il tempo». Il racconto è meglio equipaggiato di ogni altro discorso per portarsi verso la frontiera interna dell'inscrutabile. Le «varianti immaginative», che lo costituiscono, ci portano, via via, a quella frontiera fra tempo e essere nel tempo, che è la frontiera stessa fra fabula e mito. «E solo la finzione, perché è finzione, può permettersi questa ebbrezza». Ma è sul debordamento fra narrativo e non narrativo che Ricoeur dice la parola più grande del suo libro, la parola che riconnette il suo testo al detto eschileo, che per gli uomini phronein è pathein. Se la nostra identità è una storia fatta di -mille storie intrecciate, proprio questa identità dobbiamo proiettare e investire nel campo del sapere. Il nuovo «discorso sul metodo» filosofico non può più riportare tutto a un ego disincarnato, ma investire la propria identità plurale, la propria carne nel suo rapporto con il mondo e con la verità. «Il lettore, scrive Ricoeur, avrà riconosciuto, dissimulato in vari punti del nostro testo, sotto il pudore e la sobrietà della prosa, gli echi della sempiterna elegia, della figura del lamento». Il racconto, giunto ai suoi limiti estremi, diventa il «lirismo del'pensiero meditante», del pensiero che «va dritto al fondamento senza passare per l'arte del raccontare», che è stata, in questo punto, oltrepassata. La riflessione lirica di Proust, che affonda nel passato per risalire alla speranza dei nipoti, è il confine della grande narrazione della Ricerca del tempo perduto, così come queste righe finali sono il limite della riflessione di Ricoeur sul tempo e sul racconto. Ma come il «lirismo del pensiero meditante» di Proust non chiudeva l'opera, ma la apriva a un compito futuro, così è anche per questa affermazione di Ricoeur. Questo è un confine che apre, e non che chiude. Questa non è la parola che conduce al silenzio. «Il mistero del tempo non equivale a un interdetto che pesa sul linguaggio; _suscita piuttosto l'esigenza di pensare di più e di dire altrimenti.» Si può non essere d'accordo con singole analisi di Ricoeur, o anche con pezzi consistenti delle sue opere, ma non si può negare che egli si sia spinto radicalmente nella direzione del pensare di più e del dire altrimenti. Il «circolo ermeneutico» si spezza proprio per la - forza di questo «altrimenti», che è la metafora, che è l'intrigo narrativo, che è il dramma, che è il lirismo meditante, che moltiplicano le energie del pensiero, e che fanno di ogni risultato la traccia, e al contempo una tappa, verso l'impensato. Ipotesi su Ricoeur Maurizio Ferraris Secondo Heidegger, noi non abbiamo forse ancora incominciato a pensare; nei tre volumi di Tempo e racconto, Ricoeur individua quello che ai suoi occhi è il punto e il tema preciso in cui si manifesta il limite speculativo della tradizione filosofica: e cioè il tempo, che da Aristotele a Agostino, da Kant a Husserl dà luogo a aporie ricorrenti. La principale è quella che contrappone una concezione cosmologica della temporalità (il tempo pensato come un elemento esterno, in maniera fisica o epistemologica, come modificazione del movimento, Aristotele, o come analogo dello spazio, Kant); e una concezione psicologica e fenomenologica (il tempo come ciò che si NONOSTANTE L~ IN GINI DELLA POLIZI N E:'ANCORA STA~ IVIOOATO L'OHICID SPETTA UN RE NlO DICON I poralità, e rivendica (contro gran parte della esegesi heideggeriana) l'autonomia e la compiutezza del capolavoro filosofico del «primo» Heidegger: Essere e tempo non è la parte incompiuta di un processo ripreso per tutt'altra via nel «secondo» Heidegger, ma forse è il .momento culminante della carriera filosofica heideggeriana. Poi, Heidegger ha cambiato strada, addentrandosi in sentieri interrotti, e visibilmente Ricoeur non lo segue in questa svolta che va piuttosto nella direzione di un linguaggio poetico. Perché questo rifiuto del «secondo» Heidegger? Qui gli argomenti di Ricoeur - non tanto in Tempo e racconto, ma principalmente nelle sue opere precedenti - si incrociano con argomenti analoghi di Hans-Georg Gadamer. Forse la ricerca di una parola poetica originaria è ancora un modo per pensare la temporalità prima della frattura tra soggetto e oggetto. Ma è una maniera sapienziale, una illuminazione che tocca il nocciolo ma subito si perde o si equivoca. La poesia è un linguaggio assoluto o, che è lo stesso, è il linguaggio della povertà, che si lascia alle spalle la storia e la tradizione. Già l'esserci era piuttosto povero nel suo rapporto esclusivo con l'essere, di là dalla tradizione metafisica: ma quantomeno si distendeva in una ricchissima analitica esistenziale; spogliato di quella fenomenologia, l'esserci cade nel mutismo, diviene una monade • • ::::::::::::::::::::::: ···===?if II ~ :•:•:•:•:- ·.·.·.·.·.· Roberto Baldazzini, Martin Trevor, in «Orient Express», n. 9, marzo 1983 presenta in me, distensione dell'anima, Agostino, o coscienza interna, Husserl). Questa aporia è di gran lunga la più importante perché segna l'alternativa - per dirla in breve - tra il tempo come· dato oggettivo, pubblico e comune, e il tempo come coscienza soggettiva; qui le due visioni della temporalità sono il simbolo della antica aporia filosofica tra esterno e interno, oggetto e soggetto. Heidegger sembra avere superato questa alternativa ponendo l'ontologia come terreno comune anteriore alla dicotomia fra soggetto e oggetto, psicologia e epistemologia; perché psicologia e epistemologia sono subordinate a una ermeneutica dell'esserci, di quell'ente, cioè, che è il solo a porsi il problema dell'essere. Un problema la cui radicalità subordina ogni asserzione e ogni giudizio: la mia coscienza interna del tempo discende da una coscienza ontologica della temporalità, che precede anche ogni descrizione cosmologica del tempo come parte di una estetica trascendentale o come modificazione del movimento. Ricoeur valorizza molto i risultati a cui Heidegger perviene in Essere e tempo, la ricchezza delle descrizioni di questa concezione ontologica della temsenza porte né finestre. A questo punto, però, le strade di Gadamer e di Ricoeur, accomunate dal sospetto nei confronti del linguaggio poetico di Heidegger, divergono. Per Gadamer, il superamento della dicotomia soggettooggetto avviene nel dialogo, una dimensione urbana, un linguaggio ordinario tutt'altro che sapienziale o esoterico, ma che si pone di là dal monologismo della tradizione metafisica; nel dialogo, la soggettività e l'intenzionalità degli interlocutori, il loro solipsismo, si sfaldano sotto la pressione delle esigenze del comprendersi reciproco. Per Ricoeur, invece, la mediazione tra soggetto e oggetto, interno e esterno, è svolta dal racconto; che non è l'illuminazione in fondo vuota della poesia, bensì una storia che mette in comunicazione il vissuto soggettivo, la coscienza interna del tempo, con l'oggettività esterna, il tempo cosmologico e fisico. Non esiste tempo che non sia raccontato, e nel racconto soggettività e oggettività vengono a coincidere (così come coincidono, nella sua mediazione, il tempo poetico della storia con il tempo epistemologico della storia; si vedano le analisi dedicate da Ricoeur alla identificazione, tipica del nostro secolo, tra la storia come racconto e la storia come oggetto delle scienze storiche). Perché il racconto e non il dialogo? Anzitutto perché nel dialogo si perde proprio la dimensione della temporalità. Nel dialogo tutto il passato viene riportato al qui e ora in cui si trovano gli interlocu-. tori; lo stesso dialogo con la tradizione, l'interrogazione di testi del passato, è superamento della distanza temporale - ciò che ci viene tramandato nella forma della scrittura, secondo Gadamer, è potenzialmente contemporaneo a qualsiasi presente. Scegliendo la storia in luogo del dialogo, Ricoeur sembra far valere una obiezione già mossa a suo tempo dalla critica della ideologia nei confronti della ermeneutica gadameriana, per cui la distanza temporale sarebbe appiattita dalla attualità del dialogo. Questo tipo di vicinanza tra Ricoeur e le esigenze della critica della ideologia è confermato da un secondo elemento. In realtà, la storia come racconto o come sapere storico non si identifica, per Ricoeur, con la tradizione. Ciò si vede sin dal modo in cui è composto Tempo e racconto; dove Verità e metodo raccontava una storia e ricostruiva una tradizione precisa, lo sviluppo delle scienze dello spirito nella tradizione tedesca e le loro origini umanistiche - Ricoeur invece sembra non inscriversi in alcuna tradizione particolare. Ci si potrebbero chiedere infatti, di fronte a quei tre volumi, non i motivi delle inclusioni, tutte ugualmente legittime, ma piuttosto le ragioni delle esclusioni. La monumentale bibliografia di Ricoeur, in fondo, si identifica idealmente con l'universalità enciclopedica del sapere; tutto è storia o racconto, dunque Tempo e racconto dovrebbe a rigore occuparsi di tutto. Le ragioni di questo enciclopedismo apparentemente nichilistico sono chiare: ci sono infinite storie, secondo Ricoeur, e non (come per Gadamer) una storia e una tradizione; più che come recupero della tradizione, l'ermeneutica vale qui come simbolo di una tradizione dispersa e moltiplicata. E allora l'ermeneutica è già emancipazione della tradizione, non è semplice tradizionalismo: la scrittura, le storie raccontate, si prestano a infinite letture che non sono minimamente pre-orientate dall'appartenenza a un unico corso storico necessitante. L'ermeneutica quindi per Ricoeur non si oppone alla critica della ideologia (e viceversa, soprattutto); piuttosto, l'ermeneutica è la critica della ideologia, il segno della emancipazione dalla storia condotta attraverso le storie e i racconti. Perché, tuttavia, questo sconfinato Bouvard et Pécuchet intorno alle opinioni storiche su storia e racconto non è (come invece il libro di Flaubert) nichilistico? Perché, a differenza di Gadamer, Ricoeur non si ferma su un piano di immanenza fenomenologica (l'immanenza della tradizione, la fedeltà al tema del circolo ermeneutico). C'è un modo di uscire dal circolo ermeneutico, dalla continua pre-implicazione della interpretazione nella tradizione: è la trascendenza. La storia forse non è storia della emancipazione, ma è sicuramente storia della redenzione (è questa la teodicea che governa, qui implicitamente, altrove molto esplicitamente, la teleologia ~ di Ricoeur); e il libro, il racconto e .5 la storia non si consumano intera- ~ Cl.. mente in una tradizione mondana. 'C ~ Sono calati dal cielo, sono storia ~ sacra. Per questo il massimo di ni- ~ chilismo (qualsiasi storia va bene) 1 può coniugarsi in Ricoeur con un ~ appello alla trascendenza: qualsia- ~ si storia va bene, perché ogni sto- O: ria e ogni libro si modellano originariamente sulla Bibbia come ori- ~ IU gine e come promessa della nostra l cultura. ~

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