Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

Il consumeoil futuro Uno sguardo pazzo/allucinato Non c'è dubbio che «Frigidaire», raccogliendo in forma più sistematica ed aggressiva tensioni già presentate da «alter alter» e da «Cannibale», abbia segnato all'esordio degli anni ottanta un colpo allo stomaco nell'insieme di una produzione d'autore che, forse pigramente, si stava crogiolando in un suo «manierismo». Ma Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Tamburini e Liberatore e Massimo Mattioli hanno colto qualcosa di più. La necessità, per il fumetto, di non dimenticarsi quale attività «soggettiva» capace di esprimere una condizione esistenziale in cui essi stessi potessero riconoscersi. Da questi ormai non più «giovani» autori la «politica» del fumetto è intesa come possesso e traduzione del ciclo tradizionale - le fasi «creative» di definizione, stampa e consumo del prodotto - con l'impeto dell'identità soggettiva del ribelle, questa volta non più drammaticamente e mortalmente slegato dal proprio contesto, ma consapevole finalmente di essere incatenato al vissuto della quotidianità, allo scambio degli interessi e dei sogni che costituiscono la tecnologia dell'informazione. Con tutto il piacere dello sfrenarsi del delirio immaginario, della provocazione satirica, della volgarità come eccesso dell'intelligenza o soltanto quale constatazione dell'essere, dell'ironia e della tenerezza scambiati nel racconto della postmetropoli, della ballata macabra cantata e ritmata sul filo del cartoon demenziale ravvivato da flagranti tracce di Walt Disney, Chuck Jones, Robert Crumb. Uno sguardo pazzo/allucinato - quello dei fumettisti di «Frigidaire» - tale soltanto se ci si ferma ad un 'apparenza intenzionalmente contro le razionalizzazioni e le ideologie; e se in esso sono fino in fondo accolti i tratti del delirio, in quanto si assume l'eventualità della catastrofe come mito e come presagio, è pur vero che il labilissimo confine di tragedia e commedia vi è stato sempre giocato esistenzialmente. Da questi autori è stato inoltre attraversato un altro sottile e permeabile confine. La zona, cioè, entro la quale la professionalità (il perfezionismo, anzi l'avanguardismo della tecnica) si sposa con l'irruenza e la sagacia dello «schizzo», del disegno abbozzato come sfregio ma anche come visione completa. Su questa linea la maturazione espressiva di Pazienza dimostra una estrema lucidità volutamente mascherata dai segnali esoterici che lo scanzonato - ma sincerissimo - disegnatore affolla nei suoi ultimi lavori. Mi sembra che Pazienza si confronti con le possibilità del fumetto senza poter nascondere l'attimo dell'interdizione espressiva. L'eventualità di uno sguardo che si ferma, che soppesa, che sa di poter srotolare cazzate ma è pronto ad affrontarne il rischio. Scrivere/ disegnare emerge come risposta parziale, ma da essa il fumetto può trovare aperture decisive. L'intelligenza sul fumetto di oggi si rivela come necessità di occupare lo spazio d'interlocuzione concesso da un consumo variamente orientato, esteso tra diversi media. Una tale consapevolezza ha così percorso un tragitto forse «classico» ma tanto più significativo. Dalla creazione soggettiva alla percezione di essere parte viva di un corpo - l'informazione e la comunicazione - composto di tecnologia e di vertigini emotive, cangiante, intimamente lacerato, eppure produttivo di applicazioni sulla realtà. La memoria L'immagine-spazio e il racconto-tempo sono termini di un'opposizione finalmente smascherata nella sua estrema didascalicità. Raccontare storie per immagini è infatti un'«avventura» in cui sguardo e sogno, dimensione onirica e fluidità della memoria si rivelano essenziali. Alcuni autori italiani si sono innamorati della possibilità di ritrovare se stessi nei frammenti dispersi o ri-tagliati di una Storia - Gino Frezza nebarco non fa che questo: sposta gli oggetti dei propri amori e furori (la politica, il cinema ... ) e ne padronizza la credibilità. In ogni caso questi autori tentano un'archeologia delle memorie cinefumettistiche, individuali e storiche, producendo non certo l'alone funereo delle dissepoke rovine quanto l'avvincente sapore di una rifondazione. La quale, mentre coinvolge i temi da narrare, ristruttura lo stesso avvicinamento ai «soggetti», la loro messa a fuoco (la precisazione nella sceneggiatura), i procedimenti della visione, la scelta e il taglio delle inquadrature sul supporto materiale della carta, la combinazione e il montaggio che definiscono una narrazione sospesa tra sguardo e parola. Forse Micheluzzi e Altan - dalla conformazione espressiva, dai s.:ntimenti e dalle convinzioni sena cavallo di quel potente mattino scrutai il fondo valle: un fumo tenue arrampicava verso l'alto: zia Molly faceva colazione....... . ora scendo....... . cosi forse mi regala qualche avanzo ..... .. .. la zia zione al di fuori. Da questo punto di vista è paradossale constatare che questi autori traducono nel fumetto i caratteri propri ad altri linguaggi: architettura, musica, pittura. Restano, certamente, alcune tracce di amore verso la tradizione del fumetto (ad esempio l'horror, visto con la deformazione e la costrizione percettiva dei colori e del b/n derivanti dalla rivista americana «Raw», che lavora sulla tradizione del fumetto nero degli anni cinquanta); su di esse però emerge l'ambizione di codificare sulla pagina scritta-disegnata la condensazione, l'emozione, di un videoclip, di una canzone rock e blues, dell'impasto dei colori sulla tavolozza. Il desiderio di futuro porta così l'occhio di questa singolare sperimentazione sulla strada della traduzione, in modo fondamentalmente affine all'atteggiamento Ugo Bertolli, Jango. in «alter alter», luglio 1983 di una «natura» abitata o da scoprire - nella quale dar voce ai vinti, a coloro cbe hanno cercato, prima di noi di capire, agire, scegliere. La grande avventura del fumetto italiano è racchiusa tutta qui, non soltanto nella propensione, o talvolta nella presunzione, di un atteggiamento narrativo di voler guidare le sorti del nostro fumetto per oltre un lustro. L'immagine e il racconto, dunque, come tentativi di definizione progressiva della Storia, di quella marcata da conflittualità politiche ed economiche, ma sempre colta nella girandola delle emozioni di corpi che rischiano convinzioni, passioni e amori, ideologie. Di quest'atteggiamento - lo direi «malinconico» per la suggestione di recuperare frammenti di un immaginario che si allontana sempre di più da noi - Milo Manara, Vittorio Giardino, Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, Cinzia Ghigliano e Marco Tomatis, Anna Brandoli e Renato Queirolo, Alfredo Castelli e Tiziano Sciavi sono gli esponenti senza dubbio più schierati. È bene chiarire che quest'atteggiamento malinconico non riduce la propria valenza ad una negatività sul presente; semmai amplifica le proprie tensioni, attualissime, ricostruendone origini e strutture in una visione che non è delimitata nel tempo. E neanche verso i propri oggetti. Si può essere malinconici pure nel senso di desiderare il calco perfetto, la riproducibilità, di un evento originale e contemporaneamente sapere che questo è impossibile. Daniele Paz'altro diversi, quasi diametralmente opposti - sono i padrini più autentici di quest'atteggiamento, che si è rivelato preliminare ad una fruttuosa e lungimirante editoria di riviste specializzate negli anni settanta. Il desiderio di futuro In questi ultimi cinque anni, attraverso canali che hanno selezionato specifiche formule editoriali e un pubblico connotato anche generazionalmente, è proliferata un'attività di ricerca e di sperimentazione figurativa, architettonico-scenografica e dinamica sull'espressività del fumetto. . Spazio volutamente «artistico», progettativo di ogni possibile interconnessione tra il fumetto e gli altri media. Mattioli, Carpinteri, Igort, Brolli, Giacon, lori ed altri hanno intenzionalmente eletto come maestri alcuni autori delle origini (Herriman, Feininger, direi anche Pat SuIlivan, naturalmente McCay) simbioticamente e storicamente legati all'arte figurativa; ma vi è stata anche un'attenzione prevalente alle opere e alle risultanze dei movimenti artistici di questo dopoguerra, europeo e newyorkese. Un tale interesse riassume un desiderio di futuro disponibile a ricercare limiti e frontiere in un'ambigua tentazione di conquistare il mercato preservando la propria differenza. Quest'atteggiamento è classico delle avanguardie che si proclamano tali, ma esso nel nostro caso struttura il suo orizzonte di nuovo ambiguamente, ricercando ogni legittimamalinconico - lì dove questo si riferisce consapevolmente alla letteratura, al film e al mito come proprie origini - e alle stesse basi produttive del fumetto seriale. Gli albi mensili della Cepim e della Daim Press, i fascicoli settimanali della Lancio e della Universo sono potenti rifrazioni dell'intero universo dei media - basti pensare alla fitta tessitura di fumetti, generi narrativi, moda, sport, pubblicità e informazione che sostiene l'offerta tipica dell'albo seriale. L'opera di Castelli e di Sciavi all'interno delle produzioni Bonelli (le sceneggiature -delle serie mensili «Martin Mystère» e «Mr. No» nonché alcune novità nei più recenti albi di «Tex») evidenzia quale problematico esito possa avere la ricerca di diversi e più ampi spazi - nella continuità di formule editoriali che devono «tenere» il mercato - al fine di contaminare generi tradizionali con spinte e inquietudini contemporanee. Per questi esiti il desiderio di futuro si accompagna alla programmata operazione di assicurare la posizione del fumetto in un consumo aggredito con maggiori accensioni dal cinema e dalla televisione. Ma qui sorge una prima, importante domanda. Artisti, malinconici e seriali traducono e vivono di uno sguardo che si dilata attorno, mentre intanto si concentra sulla propria espressione specifica. Tutto questo basta ancora, oggi? Il cervello del consumo Dall'uscita di Star Wars, Superman e Close Encounters (19761979) il cinema e l'immaginario contemporaneo hanno vissuto un decennio di ridefinizione tecnologica e di ri-facimento. Ad un tale processo la televisione ha aggiunto la quotidiana batteria di modificazioni dei comportamenti e dell'incastro del nostro vissuto, delle nostre conoscenze con l'insieme delle informazioni. Più che nel passato, un ciclo di traduzioni ha coinvolto il fumetto - non tanto e non soltanto italiano - in una trama di fitte relazioni tra i media nelle quali la sfida è consistita nel rilancio della più alta definizione tecnica nei diversi settori produttivi. Naturalmente tutto ciò non è stato inerte o disinfluente sul consumo. Dalla condizione spettacolare tradizionale, la nuova tecnologia - la dimensione internazionale e planetaria ad essa inerente - ha imposto una conversione, fondante di un diverso corpo del consumo. Non più solo riflesso nell'immaginario, un tale corpo si è fatto attraversare da segni e segnali. L'intensificazione, l'accumulo di situazioni in cui il corpo dei consumatori decodifica e interagisce con i segni e i segnali hanno prodotto automatismi percettivi tali da cambiare la condizione generale del consumo. La qualità dell'integrazione tra corpi, segnali e macchine che trasmettono e producono impulsi ha determinato l'attuale ibrido corpo di noi consumatori. Costituiamo un insieme di corpi-macchine: cyborgs. Forse per questo non ci interessa più un'estetica del fumetto. Nelle odierne dinamiche del consumo, l'arte trapassa nell'inesausto gioco tra informazioni e quotidianità, nella capacità dei segni della nostra progettualità di intervenire sulla tecnica, sui modi espressivi. È vero che questo gioco sembra giunto a una saturazione. Da qualche tempo si avverte che l'orbita della nostra condizione si è ulteriormente spostata. Il cervello del consumo (esiste? ... certamente vi è la nostra possibilità di scegliere standovi dentro) chiede panorami inediti. È probabile che questi potranno venire dalle annunciate tecniche di «alta definizione» del suono-immagine. Ma non credo ch'esse basteranno. Viene infatti il sospetto che la ricerca elettronica per il cinema e la tv stia per giungere al proprio limite di compimento della collocazione nel nostro vissuto. Rimane così una seconda domanda: dove potersi ritrovare in una inedita zona di stupefazione, d'intelligenza del rapporto tra corpo, tecnologia, immaginario? Dai cyborgs, come attualmente siamo, a cosa giungeremo? Risposte credibili non sono ancora formulabili ma credo che il fumetto italiano debba porsi simili interrogativi per poter giocare da vero protagonista e trovare una sua nuova, autonoma posizione. Tradurre, cercare e mescolare tecniche espressive sono stati compiti pienamente realizzati, tali da poter già essere una produttiva memoria. Ma da qui occorre affrontare la sfida di un oltre. Solo da questo punto il suono, il racconto, la parola e l'immagine potranno ridisegnare la condizione verso cui muoviamo.

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