Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

questa complessiva dichiarazione di poetica, legata a una ineludibile dimensione esistenziale: «Sono fondamentalmente un malinconico, un temperamento che potrei definire depresso, ma ho smesso molto tempo fa di compiacermi della mia malinconia. Per l'esattezza ho cominciato a stancarmi del mio car:attere molti anni fa, quando la vena comica del mio lavoro ha comi_nciatoad equilibrare le mie tendenze depressive. Quand'ero bambino mi piaceva moltissimo un fumetto intitolato Il disperato Ambrogio: era un ragazzino che passeggiava sempre su e giù per una stanza, e diceva: 'È tutto così insipido, così insipido ... ' Credo che il disperato Ambrogio, nonostante tutto, mi sia rimasto nel cuore più di quanto, a volte, non pensi io stesso». 1 Ho sotto gli occhi una tavola domenicale a colori di S'Matter, Pop?, la storia a puntate di Charles M. Payne in cui Desperate Ambrose vive le sue tremebonde vicissitudini domestiche di bambino emblematicamente «incompreso». Plaudo alle finezza ilare e amara di Payne, e scopro che l'intérieur in cui Ambrose sviluppa la sua dettagliata disperazione, saprebbe accogliere anche un'impresa furfantesca dei Pieds Nickelés. Questo medium meticcio, il fumetto, mostra così la complessità della propria bastarda vocazione .. Può descrivere le peripezie dei bravacci, oppure le malinconie dei ragazzini giustamente nevrotici, perché è un medium molto complesso e maneggevole, dotato di numerosi padri e di controverse genealogie. Nelle tavole di Payne, ma certo non solo in quelle, il sangue di questo meticcio si colora di molte tinte. La mitologia cupa e torva dei feuilletons ha sicuramente ispirato anche la parodia che di essa realizzano i Pieds Nickelés, ma i segni di cui si serve Payne non sono molto diversi da quelli usati da Louis Forton. Un delirio di agnizioni, di adulteri, di ammazzamenti dovuti all'intricata distribuzione di un'eredità consistente, transita, insieme a mille altre allusioni, dai feuille- • to_ns ai fumetti, da Ponson du Ter-. rail a Forton. Ma, per via, si carica anche di tracce molto diverse, che nascono nell'ambito sicuro e protetto della «letteratura infantile», intesa sia come spazio in cui dominano scomposte bizzarrie, sia come inquieta nursery in cui si combattono tremebonde battaglie pedagogiche tra adulti e bambini. Il disperato Ambrogio e il frenetico Calculus mostrano come il fumetto sopravviva, molto vivacemente, alle vicissitudini della propria storia di medium, ormai ricco di una travag:iata vicenda esistenziale. Il versante dei furfanti parodici e quello dei bambini che descrivono e accusano, sono accomunati da un segno sostanzialmente unitario, in cui si alternano graffianti tracce spassose e brevi linee nere, dure e levigate. L'accostamento dei due sistemi di segni consente di ottenere un terzo spazio, dove furfanti e bambini, oppure istitutori e monellacci, vivono insieme le loro vicende, in una zona di sogno che può essere popolata da marinai degni di una taverna onirica, come Popeye, o da piccoli scellerati come i Katzenjammer Kids. Un marinaio, passabile sostituto di un'autentica figura paterna, il Captain, abita in un'isola, che forse è un'isola felice, con Hans, .Fritz, la Marna e l'Inspector, simbolo, non solo nel nome, di ogni autorità, torbida e demente come tutte le autorità. I due bambini, con il loro parlato anglo-tedesco, distruggono anche la credibilità dell'assetto linguistico, e lottano a colpi di burle contro tutti, con una coerenza così spietata da far dire all'Ispettore, nel loro stesso linguaggio, che, per quei due disgraziati, «Society is nix». 3. Calculus ritrova oggi, contro la signora Nanny Thatcher, le giuste paiono nettamente separate, e che possono però anche comporre una sintesi ricca dei dati offerti dalle due componenti. Con i èomics si è, ad un tempo, nella strada e nel salotto, di fronte ad un televisore malandrino e al cospetto di un canyon irrequieto che sposta continuamente la propria collocazione. Ma sento anche di non potermi limitare alla forma del «comico», ------~--- UN ~RA}-tt-,f~ TU7rGJ 1?.Je! WOW e,e,5.' P~0 f OftT1'. ~ Ti (i'Vi TViT i ◊LÌ AHic/ A PiRT, ~~ ,,· VOuJ.iOWQ ~f J..~~-~ f C:,AAMC>E PE'l~lA' ,1,-. ~,,? Hunt Hemerson, Calculus Cat, in «il Manifesto», agosto 1986. dimensioni di un rapporto conflittuale in cui si fa piazza pulita delle convenzioni più ovvie e più care agli elettori del Partito del denaro di cui la signora è il massimo esponente. Ma le radici figurali di questo nuovo fumetto si devono cercare lungo una traiettoria ampia e complessa in cui valgono continui soprassalti, fra due sponde che apquando mi riferisco alla. genealogia del medium meticcio che vanta parenti nelle più strane ascendenze. Da tempo ripenso a una micidiale, brevissima storia in cui il papero Donald, narrato dal grande Cari Barks, 8 riesce a vincere, una volta tanto, le regole fisse della propria sventura, e rivende una bicocca, con cui qualcuno lo ha truffato, ottenendo un buon guadagno. La casa doveva essere in riva al mare, e Donald porta il mare alla casa, facendo scoppiare una mina che crea un golfo. Paperino è spesso sul mare, nelle storie di Barks, e il suo mare è quello davvero sterminato dell'antica avventura, è un mare di Vichinghi e di onde infernali. Mentre pensavo al mare di Donald mi è capitato di vedere il catalogo di una mostra in cui si faceva la storia di un porto dell'Adriatico. In una immagine stampata nel 16069 c'era una galea veneziana che sparava una cannonata alle barche dei pirati Uscocchi. Una galea simile a quella che è protagonista di un fumetto di Giovanni Scolari, 10 o una cannonata uguale ai fumi dei battelli a vapore di tante storie di Donald? Il fumetto parla moltissime lingue e usa segni infiniti, che si rincorrono tra loro, forse di secolo in secolo. Note (1) Calculus Cat di Hunt Emerson, su «il manifesto», dal 20 agosto 1986al 29 agosto 1986. (2) P. Davies, Le ultime elezioni, Milano, Feltrinelli, 1986. (3) D. Rinaldi, Ritorneranno i personaggi del «Pioniere», Bologna, Edizioni del «Pioniere», 1973. (4) C. Nodier, La fata delle briciole, Parma-Milano, Ricci, 1973. (5) L. Forton, La bande des Pieds Nickelés, Paris, Veyrier, 1973, anche per le citazioni che seguono. (6) G. Celati, La banda dei sospiri, Torino, Einaudi, 1976. (7) G. Valle, Saul Bellow: quelle eterne domande senza risposta, «Grazia», Milano, 14 ottobre 1984. (8) Donald Duck, strisce del 1944 pubblicate in Italia nell'«Albo tascabile» di Mondadori n. 51 del 26 maggio 1949. (9) G. Rosaccio, Viaggio da Venezia a Costantinopoli, Venezia, 1606. (10) G. Scolari, La galèa dalle vele d'argento, «Sorry Album», n. 4, Milano, 1973 (ed. or. 1949). Il disegn@B,riprodoHo I n via naturale il fumetto è solito condividere il suo supporto materiale con altri mezzi espressivi quali la letteratura, l'illustrazione, o anche la fotografia. Eccezionalmente lo abbiamo visto muoversi su territori estranei in sintetiche contaminazioni: sullo schermo televisivo, ad esempio, sono apparse delle vere e proprie strip montate (e non animate), anche di bell'effetto. Rimane tuttavia la carta il supporto deputato: ed è con un foglio di carta (e una matita) che un autore può costruire i suoi mondi. Questo aspetto di povertà non tragga in inganno: da un lato esso rivela la possibilità di creare con assoluta libertà, senza tante infrastrutture, in similitudine con l'operare di un grafico elettronico che fa scaturire immagini dal nulla dello schermo, ma con una differenza abissale negli investimenti per l'acquisto materiali. Dall'altro la dimensione artigianale del mestiere di fumettista si sposa inscindibilmente con il suo aspetto tecnologico, al quale è invariabilmente costretta a fare riferimento. Ogni immagine disegnata deve infatti essere stampata, per essere riprodotta in migliaia di copie. La stampa diventa allora il primo selettore, il più imparziale censore delle storie disegnate, influendo direttamente sul lavoro dell'autore. In base alle possibilità di riduzione e stampa egli dovrà impostare tratteggi o campiture, onde non superare i limiti della macchina riproduttrice; e dato che per ogni target esiste una modalità (anche qualitativa) di proposizione, il fumettista deve sempre tenere d'occhio il canale attraverso il quale appariranno le sue opere, e in base a questo organizzarle. Non si tratta però di una limitazione, o forse è meglio dire che si tratta di una di quelle limitazioni che fondano un mezzo di comunicazione e ne articolano le diffusioni. Si vedano le pagine a fumetti dello scomparso quotidiano «Reporter», ove una serie di fumettisti del secolo scorso, per poi diffondersi sotto forma di striscia nell'edizione giornaliera. Già questa differenziazione impose due canoni organizzativi differenziati: se nella tavola domenicale la cifra unitaria era la pagina, che l'autore montava con soluzioni spesso arditissime (Little Nemo, 1905), nella formula quotidiana è proprio la conformazione della striscia a de- .--, - del cinema nei confronti del quale il fumetto paga un certo ritardo, all'incontro con l'avventura. Se nei decenni precedenti era stato proprio McCay a suggerire tagli ed inquadrature che più tardi verranno definiti «tipicamente cinematografici», ora una tendenziale linearità nell'impaginazione si accompagna ad un realismo mimetico che a ben vedere tradisce le possi- . - - • Louis Forton, La Bande des Pieds Nickelés, Parigi 1908-1912 cresciuti sulle riviste d'autore ha aggiustato le proprie tecniche espressive in vista di un formato anomalo e di una carta che non poteva «reggere» molto. Ma dove li stampavano, i fumetti? Quasi • tutti sapranno che i comics sono nati sull'inserto domenicale dei quotidiani statunitensi, alla fine terminare il ritmo di lettura. Una simile articolazione tenderà poi a stemperarsi nelle stesse pagine domenicali, nelle quali continua la vicenda giornaliera (Little Orphan Annie, 1934). Questa situazione si stabilizza con l'avvento dei comics avventurosi, forse anche causa l'influenza bilità di invenzione grafica insite nel mezzo. Ecco il perché dell'importanza del naso aquilino di Dick Tracy (1929), o della china data a pennello del Terry e i pirati caniffiano (1934). Negli anni trenta l'industria editoriale statunitense sforna però una grossa novità: il comics-book, ovverossia l'albo a fumetti. Nato originariamente come inserto pubblicitario, nel 1933, esso diffonderà dapprima materiali già editi, poi storie inedite, alla ricerca di un protagonista che troverà poco dopo in Superman (1938), progenitore di tuttti i supereroi. • Ovviamente si è soliti far riferimento alla industria editoriale nordamericana che del fumetto ha seguito nascita e sviluppo senza avere praticamente concorrenti né da un punto di vista qualitativo né, tantomeno, da uno quantitativo fino agli anni sessanta. Va però ricordato che in Italia in questi stessi anni trenta prendeva piede l'idea di una «rivista» di fumetti (anche se non solo di quelli) con i mitici Avventuroso, Audace, Vittorioso ecc., i quali raccoglievano pagine di provenienza statunitense o inglese, oppure autoctone. Ma in America il cambio di formula comporta anche una variazione di tecnica narrativa. Col comics-book appaiono storie da leggersi tutte d'un fiato, svincolate da cadenze giornaliere o settimanali e quindi prive non solo delle loro leggi (quel rapporto difficile di dipendenza/indipendenza di ogni singola unità nei confronti dell'intero racconto), ma anche più libere dalle necessità di dare un appuntamento «forte» ad ogni fondo-pagina, o fondo-striscia, tale che si armonizzassero i ritmi della storia narrata e del discorso narrante. Se anche interviene la frammentazione a puntate, la maggior dilazione di «momenti cruciali» agevola non poco il compito di fumettista, e il distendersi del respiro narrativo.

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