Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

Raniero Panzieri DopoStalin a cura di Stefano Merli Venezia, Marsilio Editori, 1986 pp. 228, lire 28.000 A quattro anni di distanza dalla pubblicazione, presso Einaudi, del primo volume degli scritti di Raniero Panzieri riguardante il periodo 1945-1955 (L'alternativa socialista, 1982), la casa editrice Marsilio pubblica gli scritti del periodo 1956-1959, anche essi raccolti e curati da Stefano Merli. È una raccolta che completa in modo esauriente la conoscenza dell'opera di Panzieri; accanto a testi e documenti già noti per le precedenti pubblicazioni a cura di Dario Lanzardo (Per la ripresa del marxismo leninismo, Sapere, 1973), di Giovanni Pirelli e dello stesso Lanzardo (La crisi del movimento operaio. Scritti interventi lettere 1956-1960, Lampugnani Nigri, 1973) Merli ha inserito infatti numerosi inediti, appunti dattiloscritti, interventi su bollettini, articoli de «L'Avanti», atti congressuali ecc. offrendo in tal modo uno spaccato assai vivo di un lavoro politico e culturale esemplare, che già da solo documenta importanza e ruolo del Panzieri dirigente socialista e organizzatore culturale. Data l'accoglienza e anche il tipo di polemiche seguite alla pubhlicazione del primo volume (lo stesso titolo sull' «alternativa» fu accusato di strumentalismo expost) è facilmente prevedibile che obiezioni e sospetti riemergeranno, dal rimprovero sull'opportunità di pubblicare scritti che nulla aggiungono alla conoscenza del «vero» Panzieri (per intendersi, quello dei .«Quaderni rossi» fra il 1961 e il 1964) a quello di una appropriazione indebita di parte socialista. Ma anche in questo caso, proprio riconoscendo che il problema di quale sia il «vero» Panzieri e dove cominci la rottura o la continuità nella sua elaborazione è un problema storico e politico reale, non solo sarà difficile affermare che un intero quindicennio di militanza socialista in Panzieri vada considerato alla stregua di un peccato di gioventù, ma sarà inoltre riconosciuto da tutti che c'è comunque un legame di continuità fra l'elaborazione della proposta del controllo operaio nel 1958 e la successiva ricerca dei «Quaderni rossi». Il punto in cui la querelle torna a riaprirsi sta probabilmente qui, nell'interpretazione per cui solo a partire dalle Tesi sul controllo operaio è riconoscibile il «vero» Panzieri nella sua anticipante cultura politica che lo colloca oltre la sinistra storica, vero e proprio padre fondatore della nascente «nuova sinistra» degli anni sessanta. Implicitamente Merli rifiuta questa interpretazione, documentando con rigore come il tema centrale di Panzieri nel 1956-1959 non è il controllo operaio ma la ripresa della morandiana politica unitaria di classe (di cui semmai il controllo operaio rappresenta la prosecuzione in termini adeguati alle trasformazioni del capitalismo italiano ed internazionale). D'altra parte la tesi della stessa rottura di continuità nel Panzieri del 1961-1964, pur esaltando il momento della rottura contro tutto il resto, non abolisce il problema delle radici stesse in cui essa viene coltivandosi. E se queste radici affondano in una metodologia RanieroPanzieri - come osserva lo stesso Merli - è corretto riconoscere che Panzieri può appunto arrivare a una rottura politica col Psi proprio tenendo ferma una fedeltà di «metodo»: in questo caso è il metodo di porre il partito stesso al servizio della classe, il rovesciamento di fatto del rapporto giacobino-leninista fra partito e classe, l'inversione metodologica (marxianamente ortodossa) per cui il soggetto è la classe e il partito è il suo predicato (o, per dirla col maestro di Panzieri, Rodolfo Morandi, il partito è strumento). Attilio Mangano sinistra si è finito di volta in volta col ritagliare per Panzieri la figura di padre fondatore di un rinnovato marxismo-leninismo o dell'operaismo particolare dei seguaci di Mario Tronti prima e di Toni Negri poi. Appropriazioni indebite, letture e accostamenti che dovevano spesso tacere o glissare su altre peculiari diversità di Panzieri stesso: diversità rispetto al leninismo, ad esempio, perché se è vero - come tutti questi scritti del secondo votura con lo stalinismo è in Panzieri netta, ostile a ogni recupero storicistico e a ogni ricaduta nelle classiche doppiezze della cultura politica terzinternazionalista. La sua riclassificazione delle forme teoriche, dal ritorno a Marx alla valorizzazione del consiliarismo, all'attenzione per la politica cinese, al confronto più alto con la moderna cultura sociologica, culmina nell'esperienza esemplare di condirezione di «Mondo operaio», che Panzieri dunque perviene a un momento di rottura nella fase in cui, con la proposta del controllo operaio, si propone inizialmente solo l'approfondimento della sua stessa metodologia; essa lo porta in realtà a fuoruscire dalla forma stessa con cui socialdemocrazia e comunismo hanno istituzionalizzato il rapporto partito-sindacato e a cercare un livello di sperimentazione adeguato alle trasformazioni capitalistiche del rapporto tra fabbrica e società. In questo senso, una volta riconosciuto che l'esperienza dei «Quaderni rossi» rappresenta una rottura di continuità, l'importanza degli scritti precedenti non sta affatto nell'essere una sorta di momento preparatorio ma nell'originalità stessa e nell'autonomia di una ricerca che va collocata nel suo contesto reale. «L'unica vera indubitabile rottura nella ricerca di Panzieri, scrive Stefano Merli nella sua prefazione, non avviene tanto (.. ] rispetto al partito socialista, ma piuttosto rispetto alla istituzione-partito e alle forme dell'organizzazione politica e sindacale tipiche della sinistra nel suo complesso.» Per questa reale fuoruscita Panzieri apRoberto Grassilli, • Sabbie, in «alter alter», dicembre 1985 lume provano - che Panzieri non assimila leninismo e stalinismo e propone un ritorno a Lenin, egli stesso precisa in polemica col Pci di quegli anni che va fatto un riesame approfondito, storicamente determinato, del leninismo stesso «senza pietose amnistie storicjstiche» e «senza ulteriori concezioni di sottintesi messianici e catastrofici». Così anche la leggenda del Panzieri operaista finisce col tacere o glissare sulla distanza profondissima e la rottura con lo specifico operaismo di Mario Tronti, con Collana di Poesia Clemente Rebora :cens: partiene indubbiamente alla storia della nuova sinistra, oltrepassando la sua stessa militanza socialista con delle forme che non sono quelle «tradizionali» della scissione e del nuovo partito ma quelle «sperimentali» del gruppo. M a la nuova sinistra ha rivendicato fin troppo malamente il suo Panzieri, con delle attribuzioni di continuità in cui la pur legittima forzatura politica o la necessità di giocare Panzieri contro qualche avversario del momento han finito col produrre guasti interpretativi e mitologie storiografiche. Nel modo stesso di leggere e identificare i «Quaderni rossi» con le origini della nuova la s,va «filosofia della storia» (cui Panzieri irrise apertamente). Anche se a tanti costa fatica, si tratta di ammettere che Panzieri non è stato né un neo-leninista né un operaista ma una figura originale di socialista di sinistra sui generis, in piena ricerca creativa, anche se il suo stesso travaglio di ricerca e la sconfitta politica del suo tentativo di fare del Psi lo strumento adeguato lo porteranno a oltrepassare il suo stesso paradigma. E l'importanza degli scritti panzieriani fra il 1956 e il 1959 va riconosciuta a partire dal contesto reale, politico e culturale, della sinistra italiana dopo il 1956 e la crisi dello stalinismo. La proposta di fuoruscita e rotancora oggi appare come una delle stagioni più belle ed entusiasmanti di autentico rinnovamento del socialismo italiano. Ma essa fu il frutto cosciente di ·una battaglia politica aperta, il tentativo estremo di vivificare e modernizzare la tradizione del socialismo di sinistra per farne il polo trainante di una rifondazione. e erto il problema rimane: l'originalità di Panzieri è più che altro il risultato di quella lezione (morandiana) e di quel metodo ereditati dal socialismo di sinistra o è il risultato di una complessità di apporti e di culture? Merli dichiara che dopo la sconfitta del 18 aprile 1948 il socialismo di sinistra «viene ad esaurimento e brucia nell'appuntamento del Fronte le prospettive su cui aveva costruito la sua strategia e il suo ruolo trainante nella sinistra italiana». Panzieri eredita il morandismo e anche la sua sconfitta politica, ma è al tempo stesso partecipe, negli anni del frontismo e della subalternità, di una ricerca che faccia del Psi non più un partito ausiliario ma un «partito nuovo». Gioca le sue carte con questa volontà strategica che permane come progetto di un Psi autonomo e alternativo. Per questo, osserva giustamente Merli, il 1956 e la crisi dello stalinismo non lo colgono di sorpresa e Panzieri può evitare ricadute, come in Nenni, piattamente empiriche e le banalità del riformismo storico che sente altrettanto usurato del comunismo storico. Anzi trova nuovi interlocutori e sceglie di confrontarsi con tutti quei momenti innovativi di ricerca che si vanno aprendo da sinistra: con la crisi degli intellettuali del Pci, con le riviste del «neomarxismo» e con quelle del disgelo culturale, con le avanguardie del sindacato. Se ognuno di questi interlocutori rimane in disaccordo con Panzieri a proposito del suo morandismo è vero però che essi ne subiscono tutti il fascino e riconoscono in lui l'interlocutore fondamentale. Il Panzieri straordinario organizzatore culturale (che Merli contrappone giustamente a Mario Alicata per evidenziare il contrasto fra due linee nella sinistra), teorico delle autonomie e di. una cultura non ancillare, il Panzieri che sceglie come interlocutori e collaboratori i Bosio, i Montaldi, i Della Mea, si muove rincorrendo il progetto di una terza componente nel Psi, non nenniana e non frontista, adottando una linea «che non si struttura in corrente, secondo il vecchio metodo, ma si muove in modo unitario», senza frontiere di partito. Ma egli perde la sua battaglia, dopo una stagione di estrema creatività che fra il 1957 e il 1958 riguarda una larga parte del Psi, ma non sedimenta una posizione organizzata ed autonoma. Il congresso di Napoli del 1959 conclude negativamente questa fase ratificando quel ritorno all'ordine e quella chiusura degli spazi di dibattito che aprono la crisi profonda di Panzieri e ne avviano l'isolamento. Ormai egli sta maturando culture e proposte che oltrepassano le vecchie doppiezze e mal sopportano il primato del parlamentarismo e della nenniana politique d'abord. La stessa peculiare cultura «morandiana» di Panzieri finisce con l'essere di ostacolo nei confronti dei morandiani d'apparato che in seguito formeranno il Psiup. E non seguirà nemmeno «i gruppi degli anni sessanta, di cui pure è stato il Battista, nel loro precostituirsi in nuova guida esterna [... ] La discriminante è nel richiamo all'interpretazione attiva della politica unitaria». Emerge insomma una sorta di doppio rifiuto, né frontismo subalterno (vedi Psiup) e nemmeno settarismo (vedi i «gruppi minoritari») ma sperimentazione unitaria dal basso attraverso lo strumento della rivista, del gruppo di inchiesta, della sedimentazione di una nuova cultura. Una scelta che anche nei «Quaderni rossi» produrrà incomprensioni e rotture. La stessa morte precoce, interrompendo una ricerca ancora in corso, ha contribuito a fare di Panzieri un mito mettendo in sordina il suo stesso isolamento. Così appropriarsi di Panzieri e della sua lezione è stato a volte un terreno di impegno politico e di identità e a volte una bandiera da agitare, con fraintendimenti molteplici che han comunque contribuito a farne coi:iosceree studiare l'opera. Nel suo isolamento e nelle sue sconfitte Panzieri non ha lasciato forse dietro di sé un panzierismo, nonostante i molti richiami alla sua lezione esemplare, e impone di interrogarsi sulla portata delle sue sconfitte e l'attualità o meno della sua stessa elaborazione. Ma qui il giudizio storico sulla sconfitta politica del Panzieri del 1958-1959 non può che rovesciarsi. Se Panzieri perde la sua battaglia nel Psi vince infatti quella più strategica di aver fatto lievitare e sedimentare una cultura politica realmente attrezzata a misurarsi con le trasformazioni del capitali- ""' smo, senza gli attendismi e le mi- ~ tologie, le doppiezze e i piccoli ca- .5 botaggi quotidiani che caratteriz- ~ zarono i «dieci inverni» del dopo- 'O ~ guerra. Nella sua lunga battaglia ....,. per il superamento radicale della ~ cultura politica terzinternazionali- 1 sta, Panzieri ha combattuto e vin- -~ to per tutta la sinistra, cui ha infi- -c::s ...... ne imposto il problema stesso del- °' la ridefinizione delle forme della ::! politica, che sarebbe esploso in se- ~ guito come il problema di fondo ~ della sinistra contemporanea. è:i

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