che par vivere all'insegna del tanto peggio tanto meglio possa operare contro la sua volontà per rinnovarsi. Induce al pessimismo della ragione la stessa vicenda del 382 (il decreto da cui nel 1980 avrebbe dovuto partire la rigenerazione dell'Università) il cui processo riformatore, già avanzato con tutte le cautele, è uscito stravolto con la compiacenza dei legislatori successivi, in modo tale che ne è stata esaltata, non ridotta, la carica potenzialmente restauratrice. Non incoraggia, ma non meraviglia, percepire nelle facoltà umanistiche, che pure negli ultimi 30 anni hanno espresso molto del buono che la cultura italiana ha potuto presentare sul mercato internazionale, un fenomeno di evoluzione spontanea di forme nuove verso contenuti già noti: basti osservare che i nuovi corsi di laurea destinati alla formazione dei tutori del pa- . trimonio culturale nascono sganciati dal rapporto fra preparazione professionale e richiesta sociale, ma con l'aria familiare di voler ridare olio ai congegni moltiplicatori degli insegnamenti; o anche che i dottorati di ricerca sono stati costruiti con esclusiva funzione produttiva dei docenti universitari: basta scorrerne i curricula. E la riproduzione s'annuncia ancora una volta copiosa e disponibile a rivendicazioni corporative senza fine, viziata com'è la formula del dottorato dall'idea del privilegio da distribuire e da amministrare, senza sbocchi previsti in direzione di richieste che non siano soltanto universitarie. Si potrebbe continuare per molto: le denunce, si sa, lasciano il tempo che trovano, soprattutto quando troppo iterate. Le conosciamo anzi così bene che ognuno sa perfino ritagliarvi spunti che giustifichino operazioni da non proporsi ad esempio. E lo stesso può dirsi per le proposte di antidoto. Ma val la pena tentare (le une e le altre) perché c'è sempre il rischio che vengano raccolte da volontà forti ed oneste, che ancora esistono, capaci di ricavare costruttive lezioni da quello che «a poco a poco a grado a grado» siamo divenuti o stiamo divenendo come docenti e come docenti di facoltà umanistiche; e dunque in grado di ricreare il clima intellettuale in cui solo può formarsi la volontà (che deve divenire politica) di modificare le regole del gioco, «assurdo». La rivincita di Cencelli Dai partiti ai concorsi universitari Giuseppe Petronio Sui recenti concorsi a cattedre Maria Corti ha scritto cose giuste e belle; qualche ossP-rvazionevorrei aggiungere io sul concorso di Letteratura italiana, perché veramente, senza esagerare, esso è stato per i suoi risultati un modello di impudenza lottizzatrice: la rivincita di Cencelli, che scacciato {almeno a parole) dalla pratica del suo partito si è rifatto esportando il suo manuale nell'Università. Non farò questione di nomi, cioè di merito. Sono stato troppe volte commissario, in troppi diversi concorsi, per non sapere che giudicare del merito è difficile, terribilmente difficile; senza rendercene conto, con la migliore buona volontà di questo mondo, siamo portati a cogliere i pregi di chi lavora in modi ·simili ai nostri, ad apprezzare meno chi lavora in modi diversi. Farò dunque cifre. Le cifre parlano, e come; in questo caso poi strillano. Dunque, la Commissione. La volontà del popolo e la grazia di Dio (cioè le votazioni e il sortegOMERO ODISSEA A CURA 01 M. FERNANOEI.-GALIA~O. J. R. HAJNS\\ ORTH. A. H EudECK, A. HOEKSTRA, J. RLS>O, S. \\ F.ST TRAUl:/JONE DI G.A. PRIVJTERA LC s gio) l'avevano messa su con un certo equilibrio. Culturalmente, i nove commissari andavano. dall'ignorante di razza (una ignoranza bollata a suo tempo da stroncature di Maestri) ai modesti travet di mezza tacca, a un paio di critici. Politicamente, si andava dai ca~toIico-clericali ai «laici» di gradazioni diverse, ai comunisti. Solo geograficamente la grazia divina si era sbilanciata: nove commissari, sei università rappresentate, quindi tre università presenti con due commissari ciascuna. Però una folla di candidati, e ben trentaquattro posti, assai più di quanti se ne potessero coprire degnamente. Un'occasione unica per i commissari, e la possibilità rara di fare qualche pasticcio e non sporcarsi . troppo le mani: far vincere tutti quelli che l'opinione comune, concorde questa volta come non mai, riteneva degni di cattedra, e poi mettere dentro ognuno il suo preferito: fare insomma delle malefatte ma coprirle con una mano di vermce. E invece, invece ecco i dati: i numeri, con la loro strillante eloquenza. Le sei università rappresentate in Commissione avevano messo a concorso otto (dicesi otto) cattedre: tre Pisa, due Roma (una a Lettere, una a Magistero) due Milano (alla Cattolica), una a Bologna. Torino (due commissari) e Napoli (due commissari) non avevano chiesto nulla. Ed ecco i risultati. Le sei università benedette dalla volontà del popolo e dalla grazia di Dio hanno ottenuto, tra i vincitori, ventidue (dicesi ventidue) candidati, cioè il 76% dei concorrenti rispetto al 23% delle cattedre messe a concorso. Tutte le altre università italiane, che avevano messo in palio ventisei cattedre, hanno avuto tra i loro concorrenti dodici (dicesi dodici) vincitori. Se non è lottizzazione questa! Nemmeno alla ASS RAI! Più analiticamente. Torino: nessuna cattedra a concorso, tre vincitori. E si tenga conto che nei due concorsi precedenti (pur non avendo commissari, almeno in uno) aveva sistemato già non so quanti dei suoi. Roma: due cattedre messe a concorso, sei vincitori. Ma Roma aveva «padrini» potenti; confessionalmente, politicamente, culturalmente diversi, ma non è stato l'Ariosto a raccontare della gran bontà dei paladini: nemici, di fe' diversa, ma abbracciati a galoppare sullo stesso cavallo dietro la preda? Napoli: cattedre bandite, nessuna. Vincitori quattro. Ma Napoli, è noto, da Francesco De Sanctis in qua è terra di Maestri, specialmente in quella fucina di studi italianistici che è l'Istituto Orientale. E Firenze? Firenze, evidentemente, è in declino: ahi, disfiorata Fiore! E il Friuli-Venezia Giulia? La fascia adriatica? Le isole? Zone, si sa, di sottosviluppo, e poi, Dio non gli ha dato commissari, e dunque che vogliono? Ho detto che non avrei fatto nomi e non avrei parlato di merito. Ma un'eccezione va fatta, anche perché qualche criterio oggettivo per giudicare dal merito c'è, e come. Primo: i nomi dei vincitori probabili che, appena bandito il concorso, a Commissione non ancora nominata, correvano negli Istituti, nei congressi e convegni: l'opinione pubblica dunque, quella generale, della Corporazione. Secondo: chi si accinge a una ricerca e scorre la bibliografia sul suo tema, mentalmente si divide gli autori in tre gruppi: quelli che deve leggere prima di mettersi a scrivere; quelli che leggerà con calma durante il lavoro; quelli che, se mai, leggerà a .lavoro finito, per scrupolo. È un criterio infallibile. Ebbene tra i candidati ce n'erano almeno due che questi criL teri mettevano in primo piano: Franco Fido, Gianni Scalia. A essi abbiamo pensato tutti, appena bandito il concorso. E chi si metterebbe a scrivere oggi di Boccaccio, Goldoni, la letteratura venetà, senza leggersi prima i lavori di Fido? Dell'Illuminismo, di Tenca, di tanto Novecento, senza aver letto Scalia? Si può dire lo stesso di tutti i vincitori? Si può dire di tutti e nove i commissari? Francamente, onestamente, no: non si può dire. Eppure Franco Fido e Gianni Scalia non sono tra i vincitori. E ce ne sono tanti invece che ci sono costati non so quanto il giorno che si è conosciuta la lista. «Ha vinto il tale», telefonavamo a un collega, a un altro, a un altro ancora. «lo non lo conosco, e tu?» «Boh ... » «Dove lavora?» «Boh ... » Perché sono rimasti fuori quei due? Cencelli Io spiega. La lottizzazione riguarda i numeri, le caselle, non le persone. A te ne spettano tanti, a scatola chiusa, i nomi te li scegli tu. A me tanti altri, e nessuno ci deve mettere il becco. I nomi (cioè le persone, gli uomini vivi, i libri che hanno scritti, le idee che hanno messe in circolazione, le sciocchezze che hanno dette) non contano; a casa sua ogni commissario è padrone, cosa sua; che c'entrano gli altri? E se Tizio insegna in America ed è estraneo ai nostri giri, se Caio è rimasto fuori da ogni corrente, che vogliono? Peggio per loro. lo debbo far bella figura nel mio Istituto, far vedere in Facoltà che sono potente, sistemare il mie «ricercatore», l'amico, l'amica, l'amico o l'amica degli amici. E i bravi? Si arrangino. E preghino Dio che la volta prossima ci sia in Commissione il loro «padrino» e che gli spettino le caselle occorrenti, come ha insegnato e insegna Cencelli. SECONDAEDIZIONE . •', .,· ' ': '.,(: :: .~}: ~"'i~ ~~ . ', ... Anwl(lo~Edi/ore '-, ~- )l""~f,~. '"" '. ~~- '~ ~ p • Dagli Scrittorigreci e latini allo Specchio, dalla Medusa ai Meridiani ai Passaggi. Nelle collane Mondadori un ventaglio di opportunità per chi ama i clas,slcai ntichi e contemporanei. E per chi non li conosce ancora. FORSTER ,,,~~',' -; _.;~.~~:.~:: . -. i· /t~/Uto ----~-t· '.,_: MONDADORI
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