Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

. I I , I I ' , . I da sempre sono andato orgoglioso. Faccende da poco, condivido. Me ne burlavo, pure. Mi guardavo nello spesso cristallo che ricopre la mia scrivania; sapevo che presto le pieghe cascanti degli occhi, il volto gonfio e rossiccio, i ciuffi grigi di capelli e le pupille spente e sporgenti sarebbero scomparsi di colpo: bastava, che con un balzo, io corressi a rivedermi nello specchio del bagno. Cercavo, insomma, d'essere io a guidare il gioco, di regolarlo. Temevo di perderne il senso, di perdermi? Ma in quel periodo anche i sogni cominciarono a burlarsi di me. Se ne restavano con le loro bocche smosse, dirottate: erano i miei carnefici vestiti di abiti cristallini. Fu appunto dopo un incubo che le cose mutarono. Nel sogno io osservavo una zanzara ... Ma qui occorre che sappiate come distinguere una zanzara Culex (molesta ma innocua) da una Anopheles (che trasmette il plasmodio della malaria). Dunque: a differenza della Culex che si dispone con l'addome parallelo al sostegno (parete, finestra o soffitto che sia), l'Anopheles forma con esso un angolo acuto. Io sapevo di non sbagliarmi. La vedevo succhiare, vedevo la sua testa ritmicamente gonfiarsi del sangue di mia madre e sgonfiarsi. Ma me ne restavo fermo, silenzioso, sereno. Mi chiedevo solo se anche quella specie di Anopheles possedesse all'interno della sua pompa cibaria i denti per spezzare i globuli rossi di mia madre, per digerirli. Mi svegliai, mormorando tra me: «Quante uova di Anopheles arriveranno a maturazione?» Ma io vi sto nascondendo qualcosa: nel sogno mia madre non dormiva, come vi ho lasciato credere. Se ne stava, tutta sudata, con le cosce arricciate in alto e mi mostrava, ridendo bestialmente con i suoi denti marci, infestati dal tartaro come alghe su una roccia, il suo sesso bianco, spampanato, orrendo. Così corsi a guardarmi nel cristallo della mia scrivania; poi nel bagno. Più volte. L'immagine non mutò più. La nuvola radioattiva Umberto Lacatena N ei pochi gesti franchi ti muovevi efficiente, ansiosa, ::::: la sedia rigonfia di panni frettolosi. Ora le cose ca- ~ dono tra me e te come specchi malmessi, un po' da ·@> film dell'orrore. Lo sai? ho un angolo d'occhio che mi c:i... piange così, per suo conto. Si è fatta la sua specializzazio- ~ ne, si vede. Mi sorprendo timoroso e sbucciato come un -. bambino, col pallone che gli sfugge lontano. Perciò non ho l altra scelta che di parlarti. Custodisci ancora con cura le ~ tue carte nautiche per le gite nel lago? Ho ancora tante cose ~ da dirti. Per esempio che le albe mi cadono tra le mani -. come giocattoli inservibili. Fra poco mi muoverò col mio °' ~ solito passo di gigante da fiera; ma stai tranquilla: ormai S non cerco che rose dipinte. Forse solo certi schizofrenici 15 possono amarsi davvero tra di loro: unti come piatti da Andrea Pazienza, Zanardi - La prima delle tre, in «alteralter»,gennaio-febbraio1985 pirsi, con un sorriso straziante per la stessa strada dove io, impaurito e schivo, mi muovo cauto, prudente, contento che non mi abbiano chiesto nulla, neppure di averne pena. Divento ogni giorno più cattivo (non sono capace che di distribuire un po' del mio odio strano, parziale), sono contento che i Bot mi rendano qualcosa, ho un'amica di pronto impiego. Si tocca la punta del naso con la lingua. Crede d'essere divertente? Ha dei seni sgonfi come fichi non raccolti a tempo, un corpo ridicolo, cascante - le occorreva ben altro che una cura dimagrante! Prima di fare all'amore (come suona impropria questa parola .. .) urina. Si accovaccia davanti alla mia auto con un sorriso idiota, timido, soddisfatto e pigro. Ha sempre voglia di masturbarsi: lo fa, tranquillamente, in mia presenza. Vuole che le ruoti un po' i capezzoli. Faccio del mio meglio. Mi sembra di avvitare dei bulloni. Se le sono dentro mi chiede, con voce lamentosa, ansiosa, esaltata: «Laggiù come stai... ? come stai?» Poi mi implora di «sporcarla», di farle insomma tutte quelle cose lì che gli altri le hanno fatto prima di me; è già tutta programmata per l'orgasmo, come un computer. «Li nascondi bene i capelli bianchi!» mi fa; e: «Dovresti metterti un po' di crema per le rughe sulla fronte». Cerca di farmi sentire vecchio: spera che mi rassegni a lei? «Hai un alito cattivo», così le dico (glielo avrei detto comunque). Certe sere ci accoppiamo nel letto di casa sua. Abita con una zia. La vecchia godrà dell'usufrutto della casa fino alla morte (è questo che l'angoscia). Falle bere latte fresco e raccontale che fa bene contro le radiazioni. -Le ho consigliato. Certo che ora, dopo Chernobyl (ma a proposito, mica sei incinta?) in sala parto faranno bene a mettere un boia incappucciato col suo ceppo. Se nasce con un sol occhio e due lingue, zac! E via. Quella tipa vuole rendermi padre ad ogni costo. Per convincermi di come ami la maternità non ha trovato nulla di meglio (tra un pianto e l'altro) che parlarmi delle sue fantasie: comprarsi del seme o farsi ingravidare da qualche straniero. Non avrei mai sospettato fosse così matta. E poi, per dirtela tutta, mi fanno proprio ribrezzo quelle coppie che, sedute su una panchina, guardano il neonato in carrozzella: lui sforzandosi d'apparire giulivo e scherzoso, lei fissando il suo prodotto con le labbra un po' protese in avanti, in un moto involontario di leggera repulsione. Lo so: il ricordarti non è il sistema migliore per vivere decentemente. Ma non è giusto che ognuno si scelga almeno il suo carnefice? No, le cose non vanno poi tanto male. Solo mi secca che quel mattino hai sorpreso sulla mia giacca di pelle un po' di forfora. È per questo che non ti sei fatta più sentire? Neppure tu, per la verità, eri al meglio. Quel tuo pellicciotto, di cui andavi tanto fiera, comincia ad essere vecchio: mancava anche di un bottone. E poi, quel rossetto così sbavato! La verità è che stiamo cadendo su noi stessi come giraffe prese a volo. Come va con mia madre? Posso solo dirti che mi sento disperso come un cobra tra le sbarre di una gabbia; abito stanze in cui già non morire sembra un piccolo miracolo. Svegliarmi mi riesce per trucco antico. Questa sera, in cui aspetto che la nuvola radioattiva mi passi addosso, ho pensato alla morte. Chi piangerà per me? Occorre che provveda a tempo. Basteranno i miei Bot, qualche senso di colpa che pure riuscirò (spero) a diffondere? Sembra che siamo destinati al tumore alla tiroide, ma anche le ossa ed i genitali hanno le loro probabilità. Secondo alcuni non dovremmo preoccuparci troppo. Che giudichino il cancro una forma di adattamento al!'ambiente? Goffredo, te lo ricordi? poco tempo fa mi diceva che stava coordinando dei lavori sul «limite sorgente»: espressione che, mi ha spiegato, nel loro gergo significa il massimo di dispersione radioattiva prevedibile in condizioni catastrofiche. Cercò anche di convincermi che la bolla di Three Miles lsland non poteva scoppiare, che comunque qui in Italia possiamo stare tranquilli con la loro «difesa in profondità». Dovrei decidermi a telefonargli. Vorrei chiedergli se mi autorizza ad utilizzare certe notizie mica tanto note che mi fornì sulle nostre centrali nucleari. Ali' idea dello scoop non ho ancora rinunciato ... e pensare che domani può darsi che non ci siano più alberi! Ieri sera mi sono seduto sugli scogli del porticciolo turistico; dei granchi si muovevano marzialmente sulle loro chele e sui loro arti. Ho pensato che anche gli uomini, per spostarsi, dovrebbero essere costretti a schiacciare la bocca sulla terra. Così imparerebbero a stare zitti. E poi ho visto il profilo delle montagne ed ho pensato a quelle completamente distrutte di Trinaty, nella zona indiana dove fecero esplodere la prima bomba atomica. Ho letto che nella loro mesa, sul pianoro, la radioattività è alta ancora oggi e gli indiani non lo sanno. Oggi mi ha telefonato quel rospo per dirmi ch'era stata dal ginecologo per via della pillola; durante la palpazione del seno le è uscito un po' di sangue da un capezzolo. Che dici, sarà un cancro? L'ultima volta non mi veniva proprio, così ho cercato di ricordare com'erano fatte le tue natiche. Inutilmente. Come vedi ho nostalgia di te. Spediscimi un tuo occhio o anche un dito. Può bastare. ~ ~c=a~s::_er~m~a'...., ~s~an~n~o~r~ic~o~n~o=s~c:e:rs~i~e~v~a~n~n~o'...., !_P a~r la~n~d~o~se~n~z~a~c~a~- __: ~~~ ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~!!!!~~~~~~~~~~~~~:_:=:_:__=:___:=::~:__J

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