Alfabeta - anno VIII - n. 91 - dicembre 1986

Mensile di informazione culturale Edizioni Cooperativa Intrapresa Dicembre 1986 Numero 91 I Anno 8 LireS.000 Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo III/70 • Printed in Italy (PapiV, egeHiF, errariRs,ella 1 Rovalh1 , · .,• , . , . , . , ·........-.-.. , (Vegelh, AlessioP, etronio) • . . . • , (VitarellLi,acatena) · LuperinBi,arillDi, elPonte,FaclinMi, anzoni, ManganoM, arrama·oM, ontuoIrlil,uminati ,/.. ~, Supplemento: ,,..~···... . . AnceschA~scarBi,arbierBi,ranzaglia~Caltbrese CalligarFo,aetiF, rena,Giovannosli.", "'~·. ••. Baldazzini, Berthoud, Bertotti, Brolli, Bums, Codelo, Calligaro, Carpinteri, Fara, Giacon, Josa Ghini, Giandelli, Grassilli, Igort, Jori, Liberatore, Mattioli, Mattotti, Mufioz-Sampayo, Pazienza, Scala, Scozzari, Tamburini

le immagindiiquestonumero Il fumetto e le cose Q uando un linguaggio, visivo e verbale, viene decontestualizzato ed entra in contatto con altri supporti, altri materiali, altri linguaggi, insomma altre finalità comunicative, subito manifesta la sua specificità e, soprattutto, le sue potenzialità espressive, questa decontestualizzazione dovrebbe anche evidenziare le sue eventuali autonomie estetiche e semantiche. Non sempre questo accade, e se non accade, è la prova, per quel linguaggio particolare, di essere completamente funzionale al suo contesto e quindi di essere totalmente dipendente dall'altro: una sorta di protesi comunicativa del committente. Questo è il caso del fumetto? Non lo so, è una domanda, ma potrebbe essere anche una provocazione. La copertina di questo numero di Alfabeta mostra degli occhi, mentre il materiale visivo delle pagine interne documenta una parte della storia del fumetto di questi ultimi anni, sempre secondo una logica di parziale estrapolazione: una striscia, un'immagine, una tavola, un particolare della tavola, luoghi dove difficilmente sono rintracciabili il racconto, la trama che danno forza e capacità di lettura al fumetto, inteso come sequenza linguistica, visiva e verbale. Gli occhi guardano, hanno tempi di lettura variabili, si soffermano, ingrandiscono, si allontanano, si possono facilmente chiudere quando l'immagine è fastidiosa: sono tempi veloci quelli degli occhi. Soltanto la Sommario Ricoeur, una filosofia dell'intrigo Pier Aldo Rovatti Franco Rella Maurizio Ferraris Mario Vegetti Fulvio Papi pagine 3-6 Romano Luperini Biografia e interpretazione (Eugenio Montale: immagini di una vita, di F. Contorbia) pagine 7-8 Renato Barilli La narrativa normalizzata (Strana la vita, di G. Pascutto; La donna dei fili, di F. Camon; Ballo di famiglia, di D. Leavitt) pagina 8 Prove d'artista Amalia Del Ponte pagina 9 Ricercatori & Co. ('/ bastasi, di Eugenio Vitarelli; La nuvola radioattiva e Gli specchi, di Umberto Lacatena) pagine 10-11 Da Budapest A cura di Gianpiero Cavaglià e di Maurizio Ferraris pagina 12 Cfr. pagine 13-14 II degrado accademico (Ili) Mario Vegetti Gian Carlo Alessio Giuseppe Petronio pagine 15-16 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute: ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale: in caso contrario sare- • mo costretti a procedere a tagli: b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei lib.-i occorre indicare: autore, titolo, editore (con città e data). numero di cornice, dentro la quale l'immagine è tradizionalmente inserita, crea uno stacco, un ripensamento tra un segno e un altro, realizzando così anche le relazioni narrative, i rapporti tra testo verbale e immagine. Giustamente il visivo è stato privilegiato sul verbale; giustamente l'occhio è stato evidenziato rispetto agli altri organi di senso, perché nel fumetto anche il testo è immagine visiva. Voglio dire che una delle peculiarità del fumetto è la contemporaneità del visivo e del verbale dove, e questo dipende dalla capacità sintetica del disegnatore, l'immagine, anche se estrapolata e poi decontestualizzata, mantiene la certezza del messaggio, nel senso che il rapporto tra i tratti delle figure e le parole o l'assenza delle parole, è tutto risolto senza un ulteriore rimando al prima o al dopo. Le immagini di queste pagine realizzano, credo, un racconto, anche se gli autori, le provenienze culturali e il gusto delle tavole sono diversi: Lorenzo Mattotti, Marcello lori, Daniele Brolli, Filippo Scozzari e gli altri si situano in orizzonti di riconoscibilità non omogenei, anche se il tratto comune dell'irrealtà li accomuna tutti, in un'atmosfera di impalpabilità, dove tutto e niente sono ugualmente possibili. Il fumetto trasgredisce la realtà proprio perché, affondando in essa le sue radici e le sue motivazioni culturali, sorvola sui nessi controllabili e ci racconta, bidimensionalmente una storia, senza preoccuparsi troppo del/'organizGiorgio Patrizi Prospettive rinascimentali (Il Rinascimento dei moderni, di G. Mazzacurati; Il fasto delle lingue, di I. Paccagnella; Il padre di famiglia, di D. Frigo) pagina 17 Enrico Formica Giacomo Noventa (Opere complete I: Versi e poesie, di G. Noventa) • pagine 18-19 Silvio Perrella I tre sensi (Sotto il sole giaguaro, di I. Calvino) pagine 19-20 Giacomo Marramao La casa del corpo (La casa del corpo, di M. Fortunato; Il linguaggio nella poesia, di M. Heidegger; Per il battesimo dei nostri frammenti, di M. Luzi; Tutte le opere, di J. L. Borges; Il labirinto della solitudine, di O. Paz) pagina 20 Ubaldo Fadini L'utopia di Canetti (Canetti, a cura di M. E. D'Agostini; Dialogo sulle masse, la paura e la morte, di E. Canetti e T. W. Adorno) pagine 21-22 Giacomo Manzoni Gli anni trenta di Vienna (Il gioco degli occhi, di E. Canetti) pagina 21 Alberto Giovanni Biuso • Melanconia (La melanconia dell'uomo di genio, a cura di C. Angelino e E. Salvaneschi; Saturno e la melanconia, di R. Klibansky, É. Erwin e F. Sax/; Melanconia e società, di W. Lepenies) pagina 23 Attilio Mangano Raniero Panzieri (Dopo Stalin, di R. Panzieri, a cura di S. Merli) pagina 24 pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commissione. zazione tridimensionale e dinamica della realtà. Le sue sono parole trascritte visivamente, e questa caratteristica transita anche nel disegno vero e proprio, trasfigurandosi in stile, in un modello riconoscibile di scrittura: parlando di semantica del fumetto, Umberto Eco già nel 1964, nel suo Apocalittici e integrati, scriveva che «il segno grafico è usato in funzione sonora con un libero ampliamento delle risorse onomatopeiche di una lingua». Il fumetto fa parlare le pareti mute di una stanza, traduce, come nelle tavole di Mattotti e di lori, le intenzioni degli stilisti in rappresentazioni autonome di stati d'animo, di sensibilità evocative che, difficilmente poi, l'abito realizzato sarà in grado di restituire, una volta indossato. Ecco, allora, un'altra caratteristica del fumetto: la sua capacità di essere sempre al di qua o al di là della realtà, senza mai coincidere, nemmeno parzialmente, con essa. L'inafferrabilità del fumetto costituisce anche un elemento che, spesse volte, impedisce di leggerlo e di gustarlo come un qualsiasi altro prodotto della comunicazione visiva; la polisemia del segno del fumetto, mentre evoca orizzonti possibili, itinerari nuovi sempre aperti, indefinibili, conferma la sua natura di rappresentazione realistica del pensiero, del vorrei ma non posso. Forse è proprio da ricondurre a questa tipologia espressiva la ragione di una certa diffusione del fumetto all'interno della pubblicità: anche quando Enrico Diciotti Paternalismo (Saggio sulla libertà, di J.S. Mili; Paternalism, a cura di R. Sartorius; Paternalism, di J. Kleinig) pagina 25 Gianfranco Gabetta La forma dell'inventiva (La forma dell'inventiva, a cura di R. Boeri, M. Bonfantini, M. Ferraresi) pagina 26 Jole De Sanna Rotture di simmetria (Simmetrie infrante nella scienza e nel- !' arte, di G. Cagliati) pagina 27 Paolo Rinaldi Il bene dell'arte (Convegno su: L'arte contemporanea come Bene culturale, Genova 18 giugno 1986) pagine 27-28 Francesco Montuori e Augusto Illuminati Mies van der Rohe a Barcellona (Domus, n. 674, luglio-agosto 1986; Casabella, n. 526, luglio-agosto 1986) pagina 28 Silvana Turzio Kokkos, scenografo pagina 29 Giornale dei Giornali Questionario sul sistema televisivo pagine 30-31 Indice della comunicazione Quotidiani economici pagina 30 Supplemento L'arte del fumetto A cura di Omar Calabrese e di Dariele Barbieri Le immagini di questo numero Il fumetto e le cose di Aldo Cofanetti Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti-e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Alfabeta respinge lettere e pacchi inviati per corriere, salvo che non siano espressamente richiesti con tale urgenza dalla direzione. Il Comitato direttivo parla di tecnologia, il /umettò sembra evocare situazioni e atmosfere premoderne, pre-industriali. Sa di antico il suo linguaggio, e come tutti i linguaggi antichi, ad esso tutto è perdonabile, ogni trasgressione è possibile. Le immagini di questo numero di Alfabeta mostrano un altro elemento, progettualmente interessante: il fumetto può rimettere in circolazione linguaggi artistici desueti, facendo così un'operazione culturale, pedagogicamente apprezzabile. Prendiamo il disegno di Pablo Echaurren e il suo Kubofumetto: il taglio delle sequenze, gli spazi interni al disegno che si organizzano secondo ritmi geometrici inaspettati, la possibilità di entrare e uscire dal racconto isolando un'immagine o, addirittura, un particolare dell'immagine; tutti questi elementi lo rendono adulto proprio perché sono state sedimentate, non ricopiate passivamente, altre tradizioni culturali. Il fumetto diventa così un'altra cosa: parla di sé, anche se, contemporaneamente, parla di altro. Questo, credo, può rappresentare uno dei prossimi sviluppi di questo linguaggio: il futuro del fumetto, e le immagini di Alfabeta sembrano dimostrarlo, consiste nella sua capacità di comunicare ambiguamente le cose, senza comunque dimenticare che senza le cose, il fumetto diventerebbe autoreferenziale, perdendo così la sua ragion d'essere in quanto linguaggio. Aldo Colonetti Errata corrige Nel n. 89 (ottobre 1986), p. 21, quarta colonna, ventitreesima riga (ci si riferisce alla nota (1) dell'articolo di Gianni De Martino, La valigia di Thomas Mann) al posto di: « ... obliterazione dell'industria ... », occorre leggere: « ... obliterazione dei viventi e dei loro problemi, in nome di un'identificazione dell'industria ... ». Ci scusiamo della omissione con l'Autore e i lettori. alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese Maria Corti, Gino Di Maggio Umberto Eco, Maurizio Ferraris Carlo Formenti, Francesco Leonetti Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti Gianni Sassi, Mario Spinella ·Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Studio Asterisco - Luisa Cortese Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 50.000 estero Lire 65.000 (posta ordinaria) Lire 80.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 8.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

• Ricoeur,. unafilosofiadell'intrigo Gli scritti pubblicati qui di seguito (di P.A. Rovatti, F. Rella, M. Ferraris, M. Vegetti e F. Papi) prendono spunto dalla traduzione italiana del I volume di Temps et récit di Paul Ricoeur (P. Ricoeur, Tempo e racconto, voi. I, trad. di G. Grampa, Milano, Jaca Book, 1986, pp. 340, lire 32.000). Ricoeur ha 73 anni ed è uno dei massimi filosofi viventi: legato alla fenomenologia e ali'ermeneutica, in Temps et récit (tre voli., 1983-1985) ha proseguito la ricerca iniziata con La metafora viva (1975), un libro che ha suscitato grande interesse anche nel dibattito italiano: dal problema della metafora e della sua importanza decisiva per la filosofia è passato a quello contiguo, non meno rilevante e certo più intrigante, della narrazione. Questa sua ultima, monumentale ricerca è destinata a sollevare molte discussioni e polemiche nella scena filosofica italiana, già da anni particolarmente sensibile a simili tematiche di frontiera. «Alfabeta» segnala ai suoi lettori questo fatto culturale con la formula dell'intervento breve a più voci. Raccontare l'invisibile Pier Aldo Rovatti Nei tre volumi di Tempo e racconto ( di cui la prima parte è ora uscita in italiano) Paul Ricoeur dà parola a un'impresa teoretica fuori dai canoni cui ormai siamo abituati: un'opera progettata, costruita, massiva che tenta di far sistema attorno a un nucleo problematico e che alla fine esperimenta - non senza pathos - l'impossibilità di venirne a capo. Il nucleo problematico è racchiuso nella domanda: si può descrivere l'esperienza temporale? L'ipotesi di Ricoeur è: no, si può solo tentare di «raccontarla». Domanda e risposta ci introducono in una singolare peripezia di pensiero che è la trama o l'intrigo (con personaggi e situazioni tra loro intrecciate) attraverso cui è «costruito» questo libro di filosofia. I personaggi sono Aristotele, Agostino, Husserl e Heidegger. Le situazioni fondamentali sono i due grandi universi del discorso narrativo: la «finzione» letteraria e la narrazione storica. L'intreccio cerca di stringere quella «x» che è il tempo: finzione e storia, spinte ai loro limiti interni, dovrebbero rivelare la loro complementarietà e insieme il segreto racchiuso in quell'atto quotidiano e vitale che è il raccontare; e nel far questo dovrebbero indicarci l'unico - forse - passaggio tra il nostro dire (visibi- ~ le) e l'essenza del nostro fare: il -S tempo (invisibile). ~ c.., La costruzione, il progetto degi scritto nella fondamentale parte .......introduttiva, è già fin dall'inizio un ~ circolo: un circolo ermeneutico, 1 nel senso di Heidegger (perché il -~ racconto è una rifigurazione del- "l:::S l'esperienza la quale ha già in sé ....... °' una struttura pre-narrativa, è fatta i:: di storie che chiedono di essere ~ raccontate); ma anche un circolo l necessariamente vizioso, che por- ~ ta propriodove il camminoeracominciato per manifestare, nel medesimo tempo, il fallimento e l'importanza dell'impresa. Dopo mille pagine, l'intrigo del problema è ancora là: le lunghe·digressioni ne hanno solo rimandato la ricomparsa? In ogni caso, la trama ben costruita sembra alla fine spezzarsi come un involucro e far segno a un altro libro ancora da scrivere. Seguiamo, per convincercene,. lo svolgimento della trama. Aristotele ci dà l'idea del racconto come intrigo (il racconto tragico come mimesi dell'agire); Agostino ci sprofonda nelle aporie della esperienza temporale (il tempo dell'anima inconciliabile con il tempo del mondo, il presente e l'eternità), la fenomenologia (di Husserl e di Heidegger) raccoglie e consegna a noi questo paradosso. Prima digressione (che copre la seconda parte del voi. I): il racconto storico e le sue interne (travagliate e dissolutrici) vicende. Seconda digressione (che copre il voi. II intite nell'ultima pagina Ricoeur - che io abbia voluto con tutte queste analisi reimpadronirmi di un qualche «senso» o dar sign.o. ria a una qualche idea di soggetto; volevo solo mostrare come il «mistero del tempo» ci costringa a pensare «in un altro modo», e volevo mostrare ciò proprio facendo vedere come «la pertinenza della risposta del racconto alle aporie del tempo diminuisca di stadio in stadio». Ma perché il fallimento dell'impresa (che Ricoeur stesso sembra avvertire come inevitabile) ne evidenzia anche l'importanza? Il problema è di sapere se riusciamo a dare un senso a un'affermazione come questa: il tempo non si può raccontare, si può solo raccontare. Anche il finale della Metafora viva del 1975 (e Ricoeur avverte subito: sono due opere «gemelle») faceva oscillare il «come se» dal registro del linguaggio metaforico al registro dell'essere. La mia ipotesi sta in piedi - sembrava di legnon è forse possibile leggere tutto Tempo e racconto cercando di individuare, in questo stesso libro, l'intrigo di due registri, o trame, o racconti? Tale che, per intravvedere il secondo, occorre (proprio come diceva Ricoeur a proposito della referenza della metafora) «sospendere» la pertinenza del primo? Se ogni libro di filosofia è un racconto (nel caso scelga di dirigersi verso quella esperienza che non tollera «descrizione»), ogni racconto filosofico deve essere illusorio per potere, nelle pieghe, alludere a un'altra paradossale, ma decisiva narrazione. In questa prospettiva acquistano anche rilevanza alcune osservazioni di Ricoeur (sempre nella conclusione) a proposito della poesia. Tra questo raccontare indebolito e la poesia l'incrocio è inevitabile. Ricoeur sì accorge di aver forse dato l'impressione di voler parlare di prosa, separata, considerata semanticamente più Ò lA5~ARI:. LTROlvCl~A .ANT MO FE.Rl1lDA . 1 E: 51 PULISCA t11TO,DHICI Filippo Scozzari, Capitan Dulciora, in «Cannibale»», n. 15, 1979 tolato La configurazione nel racconto di finzione): la narrazione letteraria e i suoi percorsi, con tre esempi di analisi (Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, La montagna incantata di Mann e La Recherche di Proust). Ma poi (voi. III: Il tempo raccontato) Ricoeur torna alla filosofia e alle aporie del tempo in Husserl e in Heidegger, e quindi intraprende il tentativo di intrecciare il racconto storico e il racconto di finzione: entrambi, in modi diversi, immaginano, entrambi si riferiscono a un «passato». La traccia dello storico e il «come se fosse avvenuto» del narratore possono forse incrociarsi e alludere a quella esperienza che non si lascia dire, né del tutto reale, né del tutto irreale, che è il tempo, infinito e mortale. Giunto a questo esito, Ricoeur tuttavia non può fare a meno di interrogarsi ancora una volta, e questa volta ancor più radicalmente, sul tempo e sul racconto. Vi sarete accorti - sembra dire - che nelle pieghe di tutto il mio faticoso lavorio è andata insinuandosi un'aporia ancor più profonda: una specie di arcaica magia si è mostrata attorno all'esperienza del tempo che adesso merita il nome di «imperscrutabile». Come se la capacità di «rifigurazione» assegnata al racconto, il suo essere la «sintesi dell'eterogeneo» ovvero la capacità di tenere assieme dimensioni discordanti, rivelasse un sottofondo destinato a portarci in altri territori. Non crediate - avvergere - solo se riusciamo a metaforizzare l'essere stesso! Qui, similmente, sembra che possiamo usare il racconto come un passeggero solo se il racconto perde via via la sua pertinenza. Ma cosa può significare «impertinenza»? Impertinente potrebbe essere quella narrazione, mai completamente dichiarata e resa visibile, che accompagna e svia ogni trama e ogni storia progettata. Come se il raccontare fosse sempre duplice e sdoppiato; e mancasse il suo scopo (filosofico) quando pretende di cancellare la propria ombra, o anche di impossessarsene negando da se stesso, narratologicamente, l'esperienza limite che sta nascostamente «raccontando». Mi chiedo, come controprova: Lorenzo Maltolti, Doctor Nefasto, in «alter alter», gennaio 1983 produttiva rispetto alla poesia. La praxis (cioè l'agire nel tempo, l'orizzonte del racconto) e il pathos (il patire lirico o tragico) non sono invece disgiungibili, come la trama avrebbe richiesto. Il tempo raccontato, indicandoci il paradosso dell'eternità e della morte, non sembra poter fare a meno di quello che Heidegger chiamava il «pensiero poetante». Il potere della finzione Franco Rella Ricoeur, uno dei massimi filosofi viventi, è autore di tre opere che non appartengono soltanto alla storia pensiero, ma anche alla storia personale mia e della mia generazione. Mi riferisco a De l'interprétation. Essai sur Freud del 1965, (tradotto in Italia da Il Saggiatore nel 1967), a La métaphore vive del 1975, (tradotto dalla Jaca Book nel 1981) e a Temps et récit, concluso nel 1985 (il primo tomo tradotto dalla Jaca Book nel 1986). È mia convinzione che il tema dell'identità, non più come dato, ma come risultato di «una sequenza di rettifiche e correzioni di una serie di racconti», che è alla base del Saggio su Freud; che il tema dello statuto tensionale della costellazione metaforica; e infine il tema dell'intrigo narrativo abbiano contribuito a mutare radicalmente il modo stesso in cui pensiamo alla filosofia: o più generaimente il modo stesso del pensare. Le mille fitte pagine di Tempo e racconto si aprono con la nozione di «intrigo» narrativo, «in virtù del quale dei fini, delle cause, dei casi sono raccolti nell'unità temporale di un'azione completa». In questo senso, il racconto, in quanto «sintesi dell'eterogeneo» è assimilabile alla metafora, come già aveva capito Vico, in quanto nei due casi «del nuovo- del non ancora detto, dell'inedito - sorge dentro il linguaggio». Nel caso del racconto si tratta di una complessa rifigurazione dell'esperienza in cui vengono approssimati casi lontani, e, come nell'andirivieni sinuoso di un fiume, le cose si intrecciano, spariscono, ritornano, offrendo i «tratti di un'esperienza temporale» diversa da quella chiusa all'interno delle aporie della riflessione filosofica sul tempo. Infatti, come dice Ricoeur, «il tempo diventa umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo; e viceversa il racconto è significativo nella misura in cui disegna i tratti dell'esperienza temporale». La filosofia come insegnano le trattazioni del tempo in Agostino, in Aristotele, in Husserl e in Heidegger, rimane prigioniera di aporie, legate alla prospettiva fenomenologica e alla prospettiva cosmologica, che finiscono per occultarsi reciprocamente. Ricoeur dunque passa all'analisi della narrazione propriamente storica (e della sua epistemologia) fino a giungere alla definizione del «terzo tempo» degli storici: il tempo del calendario, della sequenza delle generazioni, il tempo della traccia. Ma nella narrazione storica, «proprio per la preoccupazione di quest'ultima di legare il tempo storico al tempo cosmico», l'esplorazione «delle risorse del tempo fenomenologico» rimane come inibita. Ed è infatti nella narrazione di finzione che la rifigurazione del tempo in esperienza umana giunge più a fondo. Infatti, «la finzione non si limita a . esplorare successivamente gli aspetti della concordanza discorde legati alla costituzione orizzontale del flusso temporale, e poi le varietà di discordanze discordi legate alla gerarchizzazione dei livelli di temporalizzazione, e infine le esperienze-limite che segnano i confini del tempo e dell'eternità. La finzione ha in più il potere di esplorare un'altra frontiera, quella dei confini fra la fabula e il mito». E se con Aristotele, per esempio nella nozione di intrigo della Poetica, «il mormorio della parola mitica continuava a risuonare sotto il logos della filosofia», la finzione narrativa dà a questa emergenza mitica «un'eco più sonora», che la fa irrompere decisamente sulla scena del pensiero. Il racconto «è il guardiano del tempo», in quanto la temporalità «non si lascia dire nel discorso diretto della fenomenologia» ma richiede la mediazione narrativa. Più specificatamente la narrazione interviene nell'aporia in cui tempo psichico e tempo cosmico tendono a coprirsi e a occultarsi a vicenda, producendo il nuovo dell'identità narrativa. Come dice giustamente Ricoeur, «senza il soccorso della narrazione il problema dell'identi-

Einaudi Nella nuova «Biblioteca dell'Orsa» le opere • dei grandi autori della modernità: ' PierPaolPoasolini Letter1e940-1954 La scoperta della poesia, gli incantesimi del mondo contadino, la guerra, la militanza politica, la «meglio gioventu», lo scandalo di Casarsa, la fuga a Roma. Una autobiografia attraverso le lettere, che arricchisce in modo decisivo il ritratto dell'uomo e dello scrittore. A cura di Nico Naldini. pp. CXXXII-740, L. 42 000 RobeMrtusil Romanbzrievin,ovelle eaforismi Il Torless, Tre donne, Pagine postume pubblicate in vita, e 250 pagine di testi inediti: racconti, aforismi e «glosse» sui fenomeni dell'attualità e del costume, multiforme laboratorio narrativo, filosofico e poetico. Introduzione di Cesare Cases. pp. XLIII-768, L. 42 000 MariRoigonSitern Amordeiconfine La guerra e la pace, gli uomini e gli animali, i boschi e le piante: la favola vera dell'Altipiano. «Supercoralli », pp. 212, L. 18 000 Il raccondtoiPeuw bambincambogiana tradotetopresentadtaoNatalia Ginzburg La tragedia della Cambogia sotto Poi Pot nella testimonianza di una bambina scampata ai massacri. Una Anna Frank dei nostri anni racconta una storia di incubo e di speranza. «Gli struzzi», pp. xv-355, L. 14000 • MeyeSrchapiro L'artemoderna Cézanne, Courbet, Van Gogh, Seurat, Picasso, Chagall, Mondrian ... Gli scritti del maestro americano tracciano un profilo compiuto dell'arte moderna dal realismo all'astrattismo. Introduzione di Cesare Segre. «Biblioteca di storia dell'arte», pp. XXIX-300, L. 50 000 AntoBnlok Lamafidaiunvillaggio sicilian1o8,60-1960 Il primo tentativo di analizzare il fenomeno mafioso dall'interno, attraverso l'osservazione quotidiana dei comportamenti e della vita di una comunità della Sicilia occidentale. «Microstorie», pp. x1x-280, L. 24000 GiorgVioasari LeVitede'piueccellenti architetpti,ttoreitscultori italiandi,aCimabuinesino a'tempniostri nell'ediziopneer i tipdi iLorenzo TorrentiFniorenz1e550 La prima edizione, finora trascurata, ma «incomparabilmente piu pura e artistica» (Schlosser) e letterariamente piu viva della grande opera del Rinascimento italiano. A cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi. Presentazione di Giovanni Previtali. «I millenni», pp. LXIV-1020, con 33 illustrazioni fuori testo, L. 95000 tà personale è votato a un'antinomia senza soluzione». La soluzione - e qui Tempo e racconto si ricollega al Saggio su Freud - è nel tessuto di storie che costituiscono la storia di una vita, che è una storia della vita di un individuo o di una comunità. La seconda grande aporia, quella della unità delle tre grandi ekstasi del tempo, passato, presente e futuro, viene risolta nell'imperfezione stessa di questa unità nel racconto: nel carattere plurale di questa unità, che tiene insieme le tre dimensioni dell'attesa, della tradizione e della forza del presente. Il presente diventa la forma di transizione - Proust avrebbe detto di «attraversamento» - fra attesa e memoria. Ma è la terza l'aporia più grande. È l'aporia della impensabilità, o dell'inscrutabilità del tempo. «La confessione dei limiti che la narrativa incontra fuori di se stessa e in se stessa» attesta che «il racconto, nemmeno lui, esaurisce la potenza del dire che rifigura il tempo». Ma paradossalmente, come paradossale è in fondo ogni pensiero della narrazione, è «proprio nel modo in cui la narratività è portata verso i suoi limiti che risiede il segreto della sua replica alla inscrutabilità del tempo». I limiti possono essere interni, là dove il racconto si esaurisce in prossimità dell'inscrutabile, che, proprio per questo, viene se non rappresentato almeno presentato. E i limiti sono esterni, là dove il racconto deborda, come in fondo ogni grande finzione narrativa, «in altri generi di discorso che, a modo loro, si impegnano a dire il tempo». Il racconto è meglio equipaggiato di ogni altro discorso per portarsi verso la frontiera interna dell'inscrutabile. Le «varianti immaginative», che lo costituiscono, ci portano, via via, a quella frontiera fra tempo e essere nel tempo, che è la frontiera stessa fra fabula e mito. «E solo la finzione, perché è finzione, può permettersi questa ebbrezza». Ma è sul debordamento fra narrativo e non narrativo che Ricoeur dice la parola più grande del suo libro, la parola che riconnette il suo testo al detto eschileo, che per gli uomini phronein è pathein. Se la nostra identità è una storia fatta di -mille storie intrecciate, proprio questa identità dobbiamo proiettare e investire nel campo del sapere. Il nuovo «discorso sul metodo» filosofico non può più riportare tutto a un ego disincarnato, ma investire la propria identità plurale, la propria carne nel suo rapporto con il mondo e con la verità. «Il lettore, scrive Ricoeur, avrà riconosciuto, dissimulato in vari punti del nostro testo, sotto il pudore e la sobrietà della prosa, gli echi della sempiterna elegia, della figura del lamento». Il racconto, giunto ai suoi limiti estremi, diventa il «lirismo del'pensiero meditante», del pensiero che «va dritto al fondamento senza passare per l'arte del raccontare», che è stata, in questo punto, oltrepassata. La riflessione lirica di Proust, che affonda nel passato per risalire alla speranza dei nipoti, è il confine della grande narrazione della Ricerca del tempo perduto, così come queste righe finali sono il limite della riflessione di Ricoeur sul tempo e sul racconto. Ma come il «lirismo del pensiero meditante» di Proust non chiudeva l'opera, ma la apriva a un compito futuro, così è anche per questa affermazione di Ricoeur. Questo è un confine che apre, e non che chiude. Questa non è la parola che conduce al silenzio. «Il mistero del tempo non equivale a un interdetto che pesa sul linguaggio; _suscita piuttosto l'esigenza di pensare di più e di dire altrimenti.» Si può non essere d'accordo con singole analisi di Ricoeur, o anche con pezzi consistenti delle sue opere, ma non si può negare che egli si sia spinto radicalmente nella direzione del pensare di più e del dire altrimenti. Il «circolo ermeneutico» si spezza proprio per la - forza di questo «altrimenti», che è la metafora, che è l'intrigo narrativo, che è il dramma, che è il lirismo meditante, che moltiplicano le energie del pensiero, e che fanno di ogni risultato la traccia, e al contempo una tappa, verso l'impensato. Ipotesi su Ricoeur Maurizio Ferraris Secondo Heidegger, noi non abbiamo forse ancora incominciato a pensare; nei tre volumi di Tempo e racconto, Ricoeur individua quello che ai suoi occhi è il punto e il tema preciso in cui si manifesta il limite speculativo della tradizione filosofica: e cioè il tempo, che da Aristotele a Agostino, da Kant a Husserl dà luogo a aporie ricorrenti. La principale è quella che contrappone una concezione cosmologica della temporalità (il tempo pensato come un elemento esterno, in maniera fisica o epistemologica, come modificazione del movimento, Aristotele, o come analogo dello spazio, Kant); e una concezione psicologica e fenomenologica (il tempo come ciò che si NONOSTANTE L~ IN GINI DELLA POLIZI N E:'ANCORA STA~ IVIOOATO L'OHICID SPETTA UN RE NlO DICON I poralità, e rivendica (contro gran parte della esegesi heideggeriana) l'autonomia e la compiutezza del capolavoro filosofico del «primo» Heidegger: Essere e tempo non è la parte incompiuta di un processo ripreso per tutt'altra via nel «secondo» Heidegger, ma forse è il .momento culminante della carriera filosofica heideggeriana. Poi, Heidegger ha cambiato strada, addentrandosi in sentieri interrotti, e visibilmente Ricoeur non lo segue in questa svolta che va piuttosto nella direzione di un linguaggio poetico. Perché questo rifiuto del «secondo» Heidegger? Qui gli argomenti di Ricoeur - non tanto in Tempo e racconto, ma principalmente nelle sue opere precedenti - si incrociano con argomenti analoghi di Hans-Georg Gadamer. Forse la ricerca di una parola poetica originaria è ancora un modo per pensare la temporalità prima della frattura tra soggetto e oggetto. Ma è una maniera sapienziale, una illuminazione che tocca il nocciolo ma subito si perde o si equivoca. La poesia è un linguaggio assoluto o, che è lo stesso, è il linguaggio della povertà, che si lascia alle spalle la storia e la tradizione. Già l'esserci era piuttosto povero nel suo rapporto esclusivo con l'essere, di là dalla tradizione metafisica: ma quantomeno si distendeva in una ricchissima analitica esistenziale; spogliato di quella fenomenologia, l'esserci cade nel mutismo, diviene una monade • • ::::::::::::::::::::::: ···===?if II ~ :•:•:•:•:- ·.·.·.·.·.· Roberto Baldazzini, Martin Trevor, in «Orient Express», n. 9, marzo 1983 presenta in me, distensione dell'anima, Agostino, o coscienza interna, Husserl). Questa aporia è di gran lunga la più importante perché segna l'alternativa - per dirla in breve - tra il tempo come· dato oggettivo, pubblico e comune, e il tempo come coscienza soggettiva; qui le due visioni della temporalità sono il simbolo della antica aporia filosofica tra esterno e interno, oggetto e soggetto. Heidegger sembra avere superato questa alternativa ponendo l'ontologia come terreno comune anteriore alla dicotomia fra soggetto e oggetto, psicologia e epistemologia; perché psicologia e epistemologia sono subordinate a una ermeneutica dell'esserci, di quell'ente, cioè, che è il solo a porsi il problema dell'essere. Un problema la cui radicalità subordina ogni asserzione e ogni giudizio: la mia coscienza interna del tempo discende da una coscienza ontologica della temporalità, che precede anche ogni descrizione cosmologica del tempo come parte di una estetica trascendentale o come modificazione del movimento. Ricoeur valorizza molto i risultati a cui Heidegger perviene in Essere e tempo, la ricchezza delle descrizioni di questa concezione ontologica della temsenza porte né finestre. A questo punto, però, le strade di Gadamer e di Ricoeur, accomunate dal sospetto nei confronti del linguaggio poetico di Heidegger, divergono. Per Gadamer, il superamento della dicotomia soggettooggetto avviene nel dialogo, una dimensione urbana, un linguaggio ordinario tutt'altro che sapienziale o esoterico, ma che si pone di là dal monologismo della tradizione metafisica; nel dialogo, la soggettività e l'intenzionalità degli interlocutori, il loro solipsismo, si sfaldano sotto la pressione delle esigenze del comprendersi reciproco. Per Ricoeur, invece, la mediazione tra soggetto e oggetto, interno e esterno, è svolta dal racconto; che non è l'illuminazione in fondo vuota della poesia, bensì una storia che mette in comunicazione il vissuto soggettivo, la coscienza interna del tempo, con l'oggettività esterna, il tempo cosmologico e fisico. Non esiste tempo che non sia raccontato, e nel racconto soggettività e oggettività vengono a coincidere (così come coincidono, nella sua mediazione, il tempo poetico della storia con il tempo epistemologico della storia; si vedano le analisi dedicate da Ricoeur alla identificazione, tipica del nostro secolo, tra la storia come racconto e la storia come oggetto delle scienze storiche). Perché il racconto e non il dialogo? Anzitutto perché nel dialogo si perde proprio la dimensione della temporalità. Nel dialogo tutto il passato viene riportato al qui e ora in cui si trovano gli interlocu-. tori; lo stesso dialogo con la tradizione, l'interrogazione di testi del passato, è superamento della distanza temporale - ciò che ci viene tramandato nella forma della scrittura, secondo Gadamer, è potenzialmente contemporaneo a qualsiasi presente. Scegliendo la storia in luogo del dialogo, Ricoeur sembra far valere una obiezione già mossa a suo tempo dalla critica della ideologia nei confronti della ermeneutica gadameriana, per cui la distanza temporale sarebbe appiattita dalla attualità del dialogo. Questo tipo di vicinanza tra Ricoeur e le esigenze della critica della ideologia è confermato da un secondo elemento. In realtà, la storia come racconto o come sapere storico non si identifica, per Ricoeur, con la tradizione. Ciò si vede sin dal modo in cui è composto Tempo e racconto; dove Verità e metodo raccontava una storia e ricostruiva una tradizione precisa, lo sviluppo delle scienze dello spirito nella tradizione tedesca e le loro origini umanistiche - Ricoeur invece sembra non inscriversi in alcuna tradizione particolare. Ci si potrebbero chiedere infatti, di fronte a quei tre volumi, non i motivi delle inclusioni, tutte ugualmente legittime, ma piuttosto le ragioni delle esclusioni. La monumentale bibliografia di Ricoeur, in fondo, si identifica idealmente con l'universalità enciclopedica del sapere; tutto è storia o racconto, dunque Tempo e racconto dovrebbe a rigore occuparsi di tutto. Le ragioni di questo enciclopedismo apparentemente nichilistico sono chiare: ci sono infinite storie, secondo Ricoeur, e non (come per Gadamer) una storia e una tradizione; più che come recupero della tradizione, l'ermeneutica vale qui come simbolo di una tradizione dispersa e moltiplicata. E allora l'ermeneutica è già emancipazione della tradizione, non è semplice tradizionalismo: la scrittura, le storie raccontate, si prestano a infinite letture che non sono minimamente pre-orientate dall'appartenenza a un unico corso storico necessitante. L'ermeneutica quindi per Ricoeur non si oppone alla critica della ideologia (e viceversa, soprattutto); piuttosto, l'ermeneutica è la critica della ideologia, il segno della emancipazione dalla storia condotta attraverso le storie e i racconti. Perché, tuttavia, questo sconfinato Bouvard et Pécuchet intorno alle opinioni storiche su storia e racconto non è (come invece il libro di Flaubert) nichilistico? Perché, a differenza di Gadamer, Ricoeur non si ferma su un piano di immanenza fenomenologica (l'immanenza della tradizione, la fedeltà al tema del circolo ermeneutico). C'è un modo di uscire dal circolo ermeneutico, dalla continua pre-implicazione della interpretazione nella tradizione: è la trascendenza. La storia forse non è storia della emancipazione, ma è sicuramente storia della redenzione (è questa la teodicea che governa, qui implicitamente, altrove molto esplicitamente, la teleologia ~ di Ricoeur); e il libro, il racconto e .5 la storia non si consumano intera- ~ Cl.. mente in una tradizione mondana. 'C ~ Sono calati dal cielo, sono storia ~ sacra. Per questo il massimo di ni- ~ chilismo (qualsiasi storia va bene) 1 può coniugarsi in Ricoeur con un ~ appello alla trascendenza: qualsia- ~ si storia va bene, perché ogni sto- O: ria e ogni libro si modellano originariamente sulla Bibbia come ori- ~ IU gine e come promessa della nostra l cultura. ~

Storia e narrazione Mario Vegetti I. Che cos'è la narrazione storica? Da sempre, il problema è consistito nel decidere se fosse essenziale il sostantivo oppure l'aggettivo, la differenza specifica. Ricoeur perviene, attraverso un confronto assiduo, talvolta estenuante, con le posizioni dell'epistemologia e della filosofia analitica anglosassone, a proporre la prima soluzione. In inglese, e brevemente, si potrebbe dire che the history is a story. In altri termini, la storia è essenzialmente racconto, mise en intrigue, mythos nel senso della Poetica aristotelica, cioè intreccio della tragedia. In quanto tale, essa non è né cronaca dispersa né scienza totalizzante, ma, al tempo stesso, configurazione attiva del corso degli eventi e costruzione del loro senso, ottenute, l'una e l'altra, nella forma del racconto interpretativo: «Grazie alle virtù dell'intreccio, fini, cause, casi, sono riuniti sotto l'unità temporale di un'azione totale e completa» (Ricoeur). La sintesi narrativa della storia è già spiegazione da un lato, donazione di senso dall'altro - non dimostrate, tuttavia, secondo un modello epistemologico «forte», ma esibite dall'ordine narrativo. Al pari di ogni racconto, la storia ha dunque bisogno di un principio e una fine, di una temporalità sua propria, di suoi personaggi o quasi-personaggi; essa produce un «mondo del testo», con una sua verità ed un suo senso - se si vuole, con una sua «morale della favola». A questa provvisoria conclusione Ricoeur perviene attraverso il constatato fallimento dell'epistemologia neopositivistica della storiografia, in particolare del modello nomologico proposto da Hempel nel 1942 e delle sue successive elaborazioni. Contro il tentativo neokantiano di garantire un rifugio epistemologico alle scienze dello spirito, cui veniva assegnato uno statuto «idiografico», ermeneutico, distinto da quello «nomotetico» riconosciuto alle scienze della natura, Hempel sosteneva che la spiegazione scientifica può soltanto essere nomologica. La storiografia dunque veniva posta di fronte ad un'alternativa secca: o spiegava i suoi fatti sussumendoli sotto leggi empiriche universalmente valide che esprimono regolarità dei rapporti causali fra eventi (e convalidava la sua capacità di spiegazione mostrando inoltre una funzione predittiva, resa possibile da queste leggi), o rinunciava a qualsiasi statuto di scientificità. Ma, di fatto, la storiografia non ha mai potuto adeguarsi a questo modello; né l'epistemologia neopositivistica ha potuto per contro negarle una potenzialità conoscitiva, pur mettendone in questione lo statuto di rigore. Da Veyne a White allo stesso Ricoeur, si è dunque articolata una linea di uscita da questa impasse epistemologica che ha condotto, sia pure problematicamente, alla prospettiva «narrati vista» che ho sommariamente riassunto. Una soluzione, va detto subito, che non propone tanto quel che la . storia dovrebbe essere ma piuttosto descrive quel che essa è semlr) c:::s pre stata - almeno in una sua parte -5 essenziale - anche se spesso mal- &° I::). grado le false immagini di sé che ....... °' ha cercato di proporre, per un'adeguazione mimetica alle epistemologie dominanti o nello sforzo di legittimare l'uso retorico-politico che ha spesso fatto delle sue verità, all'insegna della historia magistra vitae. ~ 2. Che la storia sia insieme narra- ~ zione e verità, e che tuttavia il se- ~ condo termine rechi in sé una tendenza violenta ad occultare il primo: anche questa è una storia, e come ogni storia ha un principio. Il principio è naturalmente la decisione epocale di Aristotele (Poetica 9) che la poesia è più «filosofica», cioè più ricca di capacità conoscitive, della storia, perché quest'ultima è registrazione e cronaca dei singoli eventi effettivamente accaduti (in tutta la loro particolarità e casualità), mentre la mimesis poetica è costruzione organica di un mondo possibile, secondo le figure universalizzanti del verosimile e del necessario. Il mythos tragico sta dunque alla cronaca storica come l'universale al particolare, il vero/verosimile all'effettivo, il necessario al casuale; esso produce situazioni dotate di valore paradigmatico capaci di illuminare conoscitivamente la sterminata variabilità dei casi individuali, la cui mera registrazione non è invece né generalizzabile né trasferibile. Non importa qui stabilire se Aristotele renda o meno giustizia ali' esperienza storiografica greca che lo precede (è piuttosto da credere che Erodoto e Tucidide avessero già risentito, nella compaginatura narrativa delle loro storie, precisamente di quel modello della poesia tragica che Aristotele contrappone alla historia). È cersul versante della spettacolarità a detrimento della costruzione sapiente dell'intreccio. Importa, invece, si diceva, il chiasma polibiano: la costruzione di una storia organica e necessaria la trasferisce sul terreno che Aristotele aveva assegnato alla verità della tragedia, e consente per contro di bandire quest'ultima e i suoi mythoi, ora solo verosimili, da quel terreno. L'effetto sulla autorappresentazione del lavoro storiografico sarà profondo e ambiguo: tanto più esso abbandona la cronaca dei fatti per costituirsi nella forma poetico-tragica dell'intreccio organico, del tempo coeso, del personaggio drammatico, tanto più rivendica a sé l'immagine di un'indagin.€ della verità, e abbandona la sua matrice nel terrain vague del verosimile, del mitologico, del falso. Salvo, naturalmente, a rendersi disponibile a ogni epistemologia della verità: da quella, positivistica, dell'adeguazione ai fatti-referenti della narrazione, a quella, neopositivistica, della spiegazione nomologica, causale e predittiva. 3. Ricoeur, e gli autori «narrativisti» con cui egli simpatizza, non fanno dunque che restituire il lavoro dello storico alle sue matrici originarie, alla consanguineità col viene assegnato nel momento dell'accadere e nella tradizione che concresce su di esso, perché le sue dimensioni temporali sono infinitamente variabili; perché, insomma, il fatto storico è un risultato, non una premessa, del lavoro dello storico, della sua configurazione narrativa, della mise en intrigue. Solo qualche esempio: la caduta dell'impero romano è un fatto storico? E si tratta di un fatto istantaneo, accaduto il 28 agosto del 476 quando Odoacre depone Romolo, o di un processo secolare dai contorni incerti e complessi? La «scoperta del!'America» coincide con il primo avvistamento di Colombo (che vede tuttavia, come racconta Todorov in un libro magistrale, l'India, l'oro, le grandi città, i cannibali), o con un lungo processo di trasformazione del mondo? Ancora: il 14 luglio 1789 viene distrutto a Parigi un castello fatiscente, difeso da una diecina d'uomini male armati, che alloggia tre prigionieri. È questa la «conquista della Bastiglia» oppure essa risulta da una concrezione di senso che matura lentamente nel fuoco di una battaglia ideologica destinata a durare decenni? Potrei naturalmente continuare a lungo, ma credo di aver mostrato come sia difficile pensare l'intenzione di vet.iNFE.flft,1iEPEARA GiA' AL suo PoSTQIN COQ.P.iooio, PRONTA A R.iCEV~ NEiJ.. /:RJOS,'10 CONrENi~ LACASSETTA. l' N>e.QTtJRA cn cui SAnEBBé SC.HiZ1ATAf:(JOR.i E.RA UNP<Y [3AS'SA E. CoSTai IJé:éYA L'ADDETT(ACHEN. ON EnA Ni&JTE:~. ) A T&-J&l.E. IA SfHi&.A. AE.GATA .COIIONEL ~ UE_ SlG(J€... s, DE.VEP. REoc - Nl.E. 1 CARO5:GNO il-JOLTfl.O ~ .St.!A 'cJ.JiliSTA,M ,,,. . . .·/.:~-.:::;:/-i r ;: <\·~-'.:}•:'·. ·, Massimo Giacon, Praticamente Natale, in «Linus», luglio 1983 to invece che la storiografia successiva tenterà di rimontare lo svantaggio epistemologico che pesava su di essa dopo la condanna aristotelica, fino allo straordinario chiasma concettuale operato da Polibio, che domina l'intero sviluppo successivo della vicenda - fino, probabilmente, .al dibattito ricostruito nelle pagine di Ricoeur. Polibio mira a costruire una storia che risulti, secondo la sua definizione memorabile, una «narrazione dimostrativa» (4.40.1); una storia «organica», che esibisca il principio e la fine/il fine degli eventi (Pr. 3-4), la loro concatenazione necessaria e universale; una storia, dunque, che si collochi dalla parte della «rigorosa verità», non solo nel senso della fedeltà ai fatti, ma soprattutto in quello del loro ordine e del loro senso. Questa storia può aspirare al riconoscimento aristotelico di «filosoficità», respingendo per contro la ve- , rosimiglianza della tragedia sul versante dell'illusione spettacolare e della falsità (2.56). Anche qui, non importa quanto abbia agito su Polibio l'immagine di una fabulazione tragica degenerata, rispetto ai tempi «classici» di Aristotele, mythos poetico-tragico sperimentata già in modo più o meno consapevole da Tucidide e da Polibio e al tempo stesso negata, per l'ambiguo effetto del verdetto aristotelico, in nome della verità che appare d'ora in poi la posta in palio fra le due forme di narrazione. Una volta riconosciuta questa consanguineità, si tratta tuttavia di distinguere la narrazione storica dalla fiction propriamente detta. Ricoeur, da narrativista moderato, ha ragione di impegnarsi in questo sforzo: ma i criteri che egli propone per fondare la distinzione appaionò deboli o almeno poco convincenti. Il primo di essi consiste in un'evidenza offerta dalla fenomenologia del lavoro storico: la coscienza storica è orientata da un'essenziale intenzione di verità. Che cosa significa però «verità» in questo contesto? Se la si intende, positivisticamente, nel senso di adeguazione al «fatto», ci si scontra subito con le aporie insormontabili dell'epistemologia del fatto storico. Il quale appare, come è ben noto, inafferrabile: perché è strettamente vincolato al testimone o al documento che lo attesta, perché è inseparabile dal senso che gli rità dello storico come il semplice sforzo di adeguazione a fatti che sarebbero già là, prima del suo lavoro di costruzione del senso. Se per intenzione di verità si intende invece la configurazione di un mondo possibile dotato di senso e di ordine, allora questa intenzione non può certamente venir negata all'autore della fiction: aveva certamente ragione Aristotele nel ritenere «filosofica» la grande fiction poetica, e Dante, Shakespeare o Mann l'avrebbero confermato nella sua convinzione. Il secondo criterio di distinzione proposto da Ricoeur è l'aggancio strutturale della narrazione storica ai documenti, tracce del passato e luogo della sua permanenza nel presente. Ma l'epistemologia del documento non è meno problematica di quella del fatto. Il documento, che sia scritto sulla pietra degli obelischi faraonici o nei registri parrocchiali, è anche e sempre un testo, un messaggio di qualcuno per qualcun altro ( i sudditi, l'autorità, i posteri, la divinità ... ). La natura comunicativa e interattiva del documento impedisce sicuramente di considerarlo una positiva attestazione di fatti: ogni faraone si attribuisce l'asservimento di Negri e Semiti nonché una spedizione alla Terra di Punt, anche se ha regnato in modo pavido e inglorioso. Al tempo stesso, proprio questa natura comunicativa costituisce un vantaggio epistemologico del documento, perché esso non può di norma superare quei limiti di verosimiglianza (in un senso retorico largo) che lo rendono attendibile e persuasivo per il pubblico cui è destinato. In ogni caso, il rapporto del racconto storico con i suoi documenti non può venir pensato come un'epistemologia un po' vecchiotta pensava quello intercorrente fra teoria scientifica ed esperimento; piuttosto, si tratta di una relazione di intertestualità, dell'interazione fra due livelli di messaggio, quello del documento (con il suo emittente e il suo destinatario), e quello dello storico che ne parla ristrutturandone il senso con una strategia diversa e per un pubblico diverso. Se né il fatto né il documento offrono dunque una garanzia di oggettività referenziale per la storia, si perde qualsiasi possibilità di fondarne la differenza rispetto alla fiction? Credo di no, anche se qui posso soltanto indicare sommariamente una via per venire a capo del problema. Si può partire, credo, proprio da una reinterpretazione dei caratteri che Aristotele assegna al mythos tragico: quello, retorico, della verosimiglianza, e quello, teorico, della necessità. Una storia - proprio come i suoi documenti - dovrà essere verosimile se vorrà rendersi plausibile, per l'intreccio narrato e per il senso costruito, al suo pubblico; in questo senso, si può dire che l'orizzonte della verosimiglianza del racconto e del senso è trascendentale rispetto ad ogni possibile verità. E, più importante ancora, una storia dovrà essere «necessaria», sia pure in un'accezione debole del termine: dovrà cioè accettare i vincoli della teoria sociale che costituisce il necessario orizzonte di pensabilità del mondo raccontato e del senso del racconto. Se si accetta, per esempio, la teoria marxista dei modi di produzione, nessuno potrà raccontare una storia del mondo antico senza tener conto della schiavitù: qui il «fatto duro» non è tanto l'esistenza degli schiavi - un fatto che, come è noto agli specialisti, può venire indefinitamente sfumato fin quasi a dissolversi - ma proprio la teoria del modo di produzione schiavistico, il quale, naturalmente, è un concetto e non una cosa. Certo, l'orizzonte della verosimiglianza è lar- 'go, e le teorie sociali implicate possono essere più d'una, sicché le storie possibili e plausibili saranno certamente una pluralità, tuttavia limitata. E si apre a questo punto il problema del criterio di preferibilità. Ma questo è il principio di un altro discorso, che ci porterebbe - ancora, del resto, in compagnia di Ricoeur - sui cammini difficili dell'interpretazione. 1 Nota (1) Ho sviluppato più ampiamente questi temi in una conferenza,tenuta a Locarno nel maggio 1986. Oltre alla letteratura discussa da Ricoeur, segnalo l'ottima antologia a cura di P. Rossi, La teoria della storiografia oggi, Milano, Il Saggiatore, 1986, e il libro di G. ·Iggers, Nuove tendenze della storiografia contemporanea, introduzione di M. Mazza, Catania, Prisma, 1981. Il libro di T. Todorov cui mi riferisco è La conquista dell'America, tr. it. Torino, Einaudi, 1984. Ho proposto qualche riflessione su teoria marxiana e storia in Marx e l'antico: una storia impossibile, «Materiali filosofici», 8, 1983. Le aporie del tempo Fulvio Papi Tra i vari tracciati che si possono scegliere per parlare dell'opera di Paul Ricoeur priviligerò quello

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