Foucauslt~ga discepoli M. Cacciari Ma la colpa è dei suoi seguaci in «L'Espresso», n. 37 Anno XXXII, 21 Settembre 1986 M. Foucault Préface a Folie et déraison Paris, Plon, 1961 M. Foucault Introduction a L. Binswanger Le reve et l'existence Bruges, Desclée de Brouwer, 1954 M. Foucault Maladie mentale et personnalité Paris, PUF, 1954 «Le forme originali di pensiero si introducono da sole; la loro storia è la sola forma di esegesi che sopportano ed il loro destino la sola forma di critica.» M. Foucault, lntroduction a L. Binswanger, Le reve et l'existence Bruges, Desclée de Brouwer, 1954. H a ragione Maurice Blanchot: l'invettiva, il partito preso, oppure l'elogio, la celebrazione, sono due rituali, opposti e in fondo complementari, assolutamente inutili a chi voglia comprendere profondamente l'opera di Miche) Foucault. 1 Due rituali che in genere hanno bisogno, entrambi, di una semplificazione abusiva di ciò che è mobile, problematico, complesso. Il dibattito dedicato a Foucault, a poco più di due anni dalla sua morte, registra, accanto ai lucidi ed acuti interventi di Blanchot e di Deleuze, 2 anche dei buoni esempi di quelle che vorrei definire le strategie della semplificazione teorica. Un certo uso dei media offre a tali strategie un supporto formidabile: la fisiologica ristrettezza degli spazi e la necessità di rivolgersi anche ad un pubblico di non specialisti possono infatti diventare un comodo pretesto per chi preferisce abbandonare il gusto delle distinzioni, il piacere delle sfumature ed il rispetto della complessità. 3 Tra le semplificazioni abusive di maggior rilievo, ci limiteremo a ricordare quelle che spiegano il pensiero di Foucault con la presenza inavvertita di un presupposto teoretico fondante e con il funzionamento decisivo di un metodo filosofico generale ed unitario. Positività e limite Vorrei cominciare dalla prima semplificazione: quella che assegna alla genealogia di Foucault il presupposto non esplorato o rimosso della filosofia come sapere dell'origine. Questo procedimento critico, anche se suffragato da analisi serie ed accurate,4 semplifica il pensiero di Foucault, se non altro perché lo riduce a coordinate teoriche che gli sono estranee. Se origine è, come è stato detto, quella apertura di senso che instaura la molteplicità dei significati; se origine è dunque dialettica di senso e significato, esposizione di un significato originario, di un principio, che è sia inizio che fondamento, va subito detto che Foucault non solo non ignora questa problematica, ma la colloca tra i grandi temi della filosofia, che hanno prodotto un rafforzamento delle procedure di esclusione e di limitazione caratteristiche del «discorso» occidentale. Tre temi, in particolare, vengono citati: il tema del soggetto fondatore, il tema della mediazione universale e, per l'appunto, il tema dell'esperienza originaria. 5 Temi che sembrano rafforzare quelle_ procedure proprio attraverso il loro «diniego»: il discorso vero finisce infatti per misconoscere il desiderio ed il potere che lo attraversano, soprattutto nella misura in cui la sua essenza viene definita da un rinvio costitutivo o alla mediazione univerle, come assenza d'opera (Préface, pp. III-VII). Le partizioni originarie di cui parla Foucault sono eterogenee al tempo storico, ma comunque inafferrabili ed incomprensibili fuori da esso. Tra il limite instauratore di storicità e le positività dispiegate, descrivibili nelle loro specifiche scansioni spazio-temporali, esiste uno strettissimo legame, di prossimità e di distanza, di coappartenenza e di disgiunzione. In realtà, non di un limite si tratta, non di un'uo E !i.... L'educazione estetica a cura di Lucia Pizzo Russo (].) Un serrato confronto interdisciplinare ro c. rn un annoso problema di scottante attualità Cesare Brandi e o N "O (].) Segno e Immagine L'attesa riedizione di un classico della cultura contemporanea ro (.) +-' (].) .e sono anche in libreria Burke, Inchiesta sul Bello e il Sublime +-' Cl) (].) ro Baum garten, Riflessioni sul testo poetico Russo, Orwell: 1984 sale, o all'esperienza originaria, oppure al soggetto fondatore di significati. È invece nel primo Foucault che troviamo una declinazione particolare del motivo dell'origine, concepita come strappo, come limite, come partizione, non come principio e come fondamento incondizionato. Penso innanzitutto alla Préface di Folie et déraison (Paris, Plon, 1961), che scompare nella succèssiva edizione dell'opera da parte di Gallimard. «Si potrebbe fare - affermava Foucault - una storia dei limiti, di questi gesti oscuri, necessariamente dimenticati appena compiuti, attraverso i quali una cultura respinge qualcosa che sarà per essa l'Esterno.» Continuava, subito dopo: «Questo vuoto scavato, questo spazio bianco con cui essa si isola», la connota, la designa, proprio alla stessa maniera in cui la caratterizzano i suoi valori. Se una cultura riceve e mantiene i suoi valori nella continuità della storia, è invece «in questa regione di cui vogliamo parlare» che essa «esercita le sue scelte essenziali», attraverso le partizioni che assegnano un «volto» alla sua «positività». Secondo Foucault, «interrogare una cultura sulle sue esperienze-limite, significa rivolgerle delle questioni ai confini della storia, sopra una lacerazione che è come la nascita stessa della sua storia. Allora si trovano confrontate, in una tensione sempre sul punto di sciogliersi, la continuità temporale di un'analisi dialettica e la messa in luce, alle porte del tempo, di una struttura tragica». Partizioni originarie, dunque, esperienze-limite, gesti irrevocabili di espulsione e di esclusione: mosse decisive, che hanno per 9ggetto, di volta in volta, il tragico, l'Oriente, il sogno, il desiderio ed infine la follia, concepita, nella sua forma più generanica part1Zione ongmaria, ma di una pluralità di limiti e di partizioni, relativa alla varietà dei campi discorsivi e delle positività storicamente operanti. Il solerte esegeta, dunque, soprattutto se animato da intenzioni critiche, non può trascurare, come è accaduto quasi sempre, il testo della Préface; né può dimenticare la sua strett~ relazione, solo apparentemente contraddittoria, con il rifiuto, da parte di Foucault, di una metafisica dell'origine, concepita come significato ultimo dei discorsi e degli avvenimenti: come luogo di risoluzione della loro specificità spazio-temporàle e della rete di relazioni materiali, di potere, a cui appartengono. Fin dalle sue prime prove, Foucault dimostrò attenzione per le esperienzelimite e, insieme, per saperi positivi già connotati da un certo grado di scientificità. Nell'anno del suo esordio, infatti, pubblicò un lavoro - da lui stesso, più tardi, misconosciuto - sull'epistemologia della psichiatria (Maladie mentale et personnalité, Paris, PUF, 1954), e, contemporaneamente, diede alle stampe una lunga introduzione a Le r~e et l'existence di Binswanger (Bruges, Desclée de Brouwer, 1954).6 Il sogno fondatore Nel primo Foucault, lo studio di un sapere positivo, l'analisi delle sue scansioni temporali, delle sue discontinuità e dei suoi effetti pratico-politici, 7 si accompagna ad una sorta di ontologia d<>ll'immaginario, sviluppata a partire da una riflessione filosofica sul sogno, che prende le distanze sia dall'ermeneutica freudiana che dall'eidetica fenomenologica husserliana. L'analisi fenomenologica riduce il sogno ad una controfigura dell'esperienza vissuta. L'analisi freudiana, da parte sua, riduce il linguaggio del sogno alle sue funzioni semantiche, ancorandolo alla tirannia della significazione. «Lascia in ombra la sua struttura morfologica e sintattica. La distanza tra il significato e l'immagine non è mai colmata, nell'interpretazione analitica, che con un'eccedenza di senso; l'immagine nella sua pienezza è determinata attraverso una surdeterminazione. La dimensione propriamente immaginaria dell'espressione significativa è interamente omessa.» (pp. 19-20) Ed è a tale dimensione, alle sue leggi, alle sue strutture specifiche che Foucault presta particolare attenzione. Il sogno non è mera parola, che «sembra cancellarsi nel suo significato»; è anzitutto un linguaggio, che «esiste con il rigore delle sue regole sintattiche e con la solidità delle sue figure morfologiche» (p. 21). Cifra di un'esperienza originaria, esso fornisce un fondamento antropologico all'espressione tragica, epica e lirica, cioè alle tre «direzioni essenziali dell'esistenza» (p. 99). Le immagini oniriche della luce e dell'oscurità, della vicinanza e della lontananza, dell'ascesa e della caduta rappresentano così gli a priori costitutivi dell'espressione lirica, epica e tragica. In questa prospettiva, il sogno «hon è una modalità dell'immaginazione; ne è una condizione prima di possibilità» (p. 106): alba della storicità, fondamento dell'esperienza, matrice originaria delle pratiche discorsive. Il sogno è ìdios kòsmos, mondo proprio, come voleva Eraclito: manifestazione dell'anima nella sua interiorità e nella sua solitudine, profilo aurorale della responsabilità, «movimento originario della libertà», intesa come «nascita del mondo nel movimento stesso dell'esistenza» (p. 64). Nella Préface del 1961, come nella lntroduction del 1954, Foucault modula dunque il tema dell'origine, situandolo all'interno di un «passaggio dall'antropologia all'ontologia»: un passaggio, un «movimento di riflessione concreta», che porta l'analisi nella direzione di una comprensione radicale della «temporalità» e della «storicità dell'esistenza» (pp. 104-105). Una rifle_ssione teorica approfondita sui rapporti tra Foucault ed il tema dell'origine non può prescindere da questi testi: solo una loro attenta rilettura rende possibile un confronto tra la genealogia e l'ermeneutica heideggeriana, evitando comode scorciatoie o troppo facili appiattimenti. Un'esplorazione di questi orizzonti speculativi non deve necessariamente passare attraverso il filtro del dibattito teorico: può essere compiuta anche a partire dalla problematizzazione di alcuni campi di ricerca storica, particolarmente esposti, se così si può dire, al rischio dell'interrogazione filosofica. Una ricerca storica sulla malinconia, ad esempio, scopre la presenza di costellazioni psichiche straordinariamente stabili, che sopravvivono anche al mutamento del quadro teorico e dei modelli interpretativi. Da Areteo di Cappadocia a Kraepelin, da Freud alla psichiatria fenomenologica del nostro secolo, emerge costantemente la descrizione di un quadro clinico caratterizzato dall'alternanza di malinconia e mania, di depressione e di eccitamento: al punto da farci sospettare l'esistenza di una vera e propria costante antropologica della civiltà occidentale. Viene in mente, a questo proposito, l'assenza d'opera, cara a Blanchot e ripresa da Foucault nella sua Préface del 1961: ripresa e riarticolata come una delle partizioni originarie, che inaugurano e rendono possibili le positività di cui è intessuta la nostra cultura. È per me impensabile un approfondimento di tale problematica fuori da un preciso sviluppo della ricerca, in una direzione che sia insieme storica ed epistemologica. Ed è stata questa, a ben guardare, la cifra inconfondibile dello stile di lavoro inaugurato da Foucault: una caparbia interrogazione filosofica della storia; una postura teorica mobile, che si sposta con lo spostarsi del campo d'indagine. Uno stile-passione Trasformare questa posizione teorica, sempre mobile e provvisoria, in assetto epistemologico costante o, addirittura, in metodo generale, che tratta i territori specifici della ricerca storica come dei semplici campi di applicazione di una filosofia già compiuta: è questa la seconda semplificazione abusiva del pensiero di Foucault; un vero e proprio misconoscimento del suo specifico stile di lavoro, dè1 suo modo atipico di essere insieme filosofo e storico o, se si preferisce, di non essere univocamente né filosofo né storico. Per definire l'amico scomparso, Gilles Deleuze ha proposto due diversi termini, quasi a voler sottolineare l'originalità e le scansioni interne di un itinerario: un nuovo archivista, un nuovo cartografo. A questo vorremmo aggiungere qualche considerazione conclusiva sullo stile, sul linguaggio di Miche! Foucault. Altrove l'ho definito uno stile-passione:8 indicatore estetico di una passione della mente, che varia con il variare dei campi d'indagine. Non è una tecnica retorica, un espediente argomentativo, che colma i vuoti e le indecisioni della teoria, come hanno sostenuto alcuni. È qualcosa di più, e di diverso. È Foucault stesso a dircelo, già nella Préface del 1961: il linguaggio non deve tradire gli oggetti ed i soggetti dell'indagine; deve dare loro spazio e parola. Deve essere «senza sostegno»; deve entrare in gioco, «consentire lo scambio» ed «andare, con un movimento continuo, sino in fondo» (p. X). Deve, appunto. C'è qui - nella scelta di un linguaggio mobile, spesso scandito da movenze drammatiche e da grandi intensità liriche - una componente che è insieme volontaristica, passionale e teorica. Foucault vuole sottrarre il suo linguaggio alla tirannia di un'epistème, al dominio di una griglia interpretativa definita e stabile. Cerca un linguaggio che stringa 'O da yicino le cose di cui parla, che i::s .s faccia corpo con esse, che ne mimi ~ la configurazione, che ne riprenda ~ i colori. Si sforza di farlo uscire ~ dalla sua dimensione classica di -. ~ -e E: ~ ::,. C) .:: strumento della rappresentazione, assegnandogli spesso una densità enigmatica, una polivalenza voluta e ricca di implicazioni teoriche. In questo senso, si può forse dire ~ che lo stile di Foucault è romanti- .:: co. Esso è comunque la superficie ~ visibile di un lavoro su di sé, di l carattere etico e passionale, e di ~
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