Giornale dei giornali l'enig111~,chdid,R@Ykiav S ono le 20.30 circa di domenica 12 ottobre. Non sono pochi gli spettatori che stanno seguendo if TG 2, molti certamente attratti dall'annunciata diretta del Gran Premio di Formula 1, altri curiosi di conoscere l'esito del vertice in Islanda: durante il TG si è appreso infatti che il vertice si stava concludendo e che le due delegazioni stavano per tenere una conferenza-stampa. È uno dei rari casi di «grande politica» in diretta, con una buona dose di pathos. Sul video c'è il conduttore del TG 2, Santalmassi, sempre più inquieto; dal canale audio arriva, di tanto in tanto, qualche strano borborigma: è l'inviato da Reykjavik in attesa di andare in onda; in effetti, è già in onda, ma non lo sa. Dallo studio di Roma Santalmassi lo chiama più volte, senza successo. Intanto, su un altro circuito via satellite, sta per partire, in Messico, il Gran Premio; per gli appassionati di automobilismo perdere la partenza è grave. Santalmassi sottolinea l'importanza per tutta l'umanità dell'esito del summit e quindi la rilevanza delle notizie che stanno per arrivare dall'Islanda; ma i minuti passano e non c'è verso di far sapere all'inviato da Reykjavik che è già in onda e che può fare il suo servizio. Le 20.30 sono passate, inesorabilmente. Disperato, Santalmassi cerca di chiudere il TG e di passare la linea al Gran Premio, affermando che il collegamento con Reykjavik non funziona; beffarda, involontariamente, la voce dell'inviato da Reykjavik mormora «pronto Santalmassi ... Santalmassi ... ». All'ultimo momento, il «ritorno» da Roma perviene in Islanda e l'inviato può dare le notizie: il vertice si è concluso con un fallimento. Il tempo, però, stringe: si dà la linea a Città del Messico. Compaiono le immagini delle vetture di Formula 1, ormai al secondo giro della corsa. Non sappiamo se la RAI abbia ricevuto telefonate di protesta da parte dei più accesi fan della Formula 1. Sappiamo però che qualcosa di analogo si è svolto, contemporaneamente, negli Stati Uniti. «Quando i-notiziari speciali sul vertice in Islanda hanno interrotto le trasmissioni delle partite domenicali di foot-ball, centinaia di fan arrabbiati hanno telefonato alle reti televisive per protestare» scrive The Wall Street Journal nel suo editoriale del 14 ottobre (Reykjavik Saga). Singolare il successivo commento del giornale: «Diversamente dagli "strizzamani" di Washington e degli amhienti diplomatici d'Europa, i tifosi di foot-ball sanno distinguere il mito dalla realtà». Come vedremo, non si tratta di una battuta, ma della conseguenza di un ben definito giudizio politico dell'influente giornale americano. Ciò che, intanto, colpisce è lo sberleffo alle convinzioni di tutti coloro che condividono le idee di Santalmassi sull'importanza dei summit fra le superpotenze: i summit sono un mito, una favola per bambini cresciuti; sono più «reali» le partite di calcio (o le gare di Formula 1). «Coloro che sono diventati troppo grandi per Thor e Odino riconoscono un mito quando ne incontrano uno, e hanno compreso fin dall'inizio che questo vertice non è nient'altro che una grande partita di pubbliche relazioni. Ciò con cui i summit hanno effettivamente a che fare è la disinformazione», prosegue l'editoriale. Secondo The Wall Street Journal, i summit sono «disinformazione», un public relations game, dunque qualcosa di più illusorio di un game di calcio, dove un certo numero di uomini si contendono duramente la palla. Tifosi di tutto il mondo unitevi. Piaccia o meno, il punto di vista del Wall Street Journal ha il merito indiscutibile di ricordarci che le «realtà» (con le relative scale di valori) sono il risultato delle categorie con cui le costruiamo. in dipendenza dai nostri giudizi, politici e non. Questa consapevolezza di ordine generale è utile, ci sembra, per sbrogliare l'ingarbugliata matassa di Reykjavik e dell'informazione diffusa nella settimana successiva al vertice (chiudiamo questa nota nei giorni attorno al 21 ottobre). Che qualcosa non abbia «funzionato» - almeno se si assume come paradigma la normale liturgia, politica e informativa, dei vertici fra le superpotenze - lo si deduce con facilità dalla sequenza dei titoli nei giorni che hanno seguito la conclusione a sorpresa degli incontri fra Reagan e Gorbacev. Reagan-Gorbacev, un fallimento è il titolo a nove colonne del Corriere della Sera del 13 ottobre. il «giorno dopo». L'esempio è tutt'altro che isolato. La stragrande maggioranza dei giornali, in Italia e all'estero, ha parlato di «fallimento» del vertice, quel lunedì. Fallisce il summit di Reykjavik titola La Stampa; e Il Giornale: Reagan deluso, Gorbacev irremovibile I il vertice è fallito sullo «scudo stellare». Ma già martedì 14 si registrano dei cambiamenti di tono. La Repubblica, pur annunciando a grandi caratteri Hanno deluso il mondo, aggiunge a completamento della titolazione: Tra Reagan e Gorbaciov si era sfiorato un accordo storico I Ma Shultz dice: «Il dialogo deve continuare». L'avversativa «ma» ricorre anche nella seconda riga del titolo di testa del Corriere della Sera; nella prima si ribadisce la «disfatta» (/ segreti della disfatta di Reykjavik), nella seconda si aggiunge: Ma Reagan sostiene che USA e URSS «non sono mai stati così vicini sul disarmo». Se La Stampa conserva il tono del giorno precedente ( Così è fallito il grande accordo), Il Indice della comunicazione Giorno annuncia a tutta pagina: Rapporti USA-URSS. Non tutto è perduto. La schizofrenia della situazione dà luogo a qualche caso insolito. Ad esempio. sulla prima pagina del Giornale il discorso televisivo dj Reagan viene enunciato in due titoli diversi: il primo, di testa, su sei colonne dice: Reagan spiega agli USA il suo no I «Non cederemo mai sullo scudo stellare»; il secondo, a metà pagina. su tre colonne, dice, sotto l'occhiello «Il discorso televisivo del presidente alla nazione»: «Sul disarmo, USA e URSS non sono mai stati così vicini». Tra le altre cose, lunedì 13 ottobre il Segretario di Stato Shultz aveva incontrato a Bruxelles i ministri degli esteri della NATO, definendo il vertice un «tremendous success» e polemizzando apertamente con quanti avevano parlato di fallimento; uscendo dalla riunione, Andreotti riferiva che Shultz aveva dato una valutazione «piuttosto difforme dall'interpretazione generale vista sui giornali, per la quale il denominatore comune era la parola fallimento». Dunque, fallimento o tremendous success? Si può capire perché i media non sapessero più che pesci pigliare, vedendosi, per di più, smentiti senza mezzi termini dal Segretario di Stato americano. I giornali di mercoledì 15 attuano, non senza imbarazzo, una ulteriore correzione di rotta. Il dialogo continua annuncia il titolo di testa del Giorno. Gli fa eco Il Giornale, appendendo l'enunciato a una dichiarazione televisiva del leader sovietico: Gorbacev: il dialogo può continuare. Più cauto, il Corriere della Sera si rifugia dietro una metafora «colta», il pingpong, che riecheggia un illustre precedente, la cosiddetta «diplomazia del ping-pong» che contribuì ad avviare il dialogo cino-americano (Il ping-pong Reagan-GorPub~,i!!!~delç!~gresso baciov. Mosca: «Siamo pronti a raccogliere la sfida»). La Repubblica assume un atteggiamento semioticamente più disinvolto. del tipo il vertice è fallito (capitolo 1), ma adesso (capitolo 2) «Dal Cremlino e dalla Casa Bianca si tenta di riannodare il dialogo», come si legge nell'occhiello del titolo principale; la «nuova mano» è messa in evidenza anche dal fatto che Gorbaciov rilancia (prima riga): «L'Europa non deve più essere un ostaggio nucleare» (seconda riga); e che Reagan risponde: «A Ginevra tratteremo» (terza riga). Le metafore della «mano» e del «rilancio» trovano appoggio anche nel titolo del sottostante commento: Quel poker di Reykjavik. Una analisi delle metafore maggiormente ricorrenti nelle figure retoriche di narrazione e di interpretazione di Reykjavik sarebbe di un certo interesse. Quelle più usate sono: «trappola» (quasi sempre tesa da Gorbacev a Reagan); «partita di poker» (quasi sempre in contesti in cui si afferma che Reagan ha fatto male ad accettare l'invito di Gorbacev a rialzare continuamente la posta delle trattative); la «partita di scacchi» (quasi sempre per dire che Gorbacev ha dato scacco matto al suo avversario o almeno ha tentato di farlo; del resto, si sa che gli scacchi sono un gioco in cui i russi eccellono, pur se i media non hanno mancato di ricordare che proprio a Reykjavik si ,era svolto il campionato del mondo di scacchi fra l'americano Fisher e il sovietico Spassky, vinto dal primo). In qualche caso, la metafora viene estesa al di là del- )'incontro di Reykjavik e i contorni della «partita» si allargano. A una settimana dal vertice, Ugo Stille sul Corriere della Sera del 20 ottobre tenta una figurazione più sofisticata, basata sull'abbinamento tra le due metafore del poker e degli scacchi: «La decisione di P arlar male della pubblicità e Più utile è chiedersi perché i livello avrebbe dovuto sondare i turale» medio delle imprese che Ha Sempre Ragione? Perché ci si dei pubblicitari è un gioco pubblicitari italiani, proprio nel possibili scenari della «soc1eta investono in pubbliciÌà. Per quan- è affidati, per celebrare il Conspesso insipido. In occasio- momento in cui vorrebbero ce/e- dell'informazione», alcuni dei to si discorra di postindustriale, gresso medesimo, a una campane del recente Congresso naziona- brare la propria maggiore età, si quali contemplano forse la scom- l'imprenditorialità capitalistica e gna pubblicitaria che trasuda da le della pubblicità, persino il mi- riducono a svelare così platea!- parsa della pubblicità come la il mercato capitalistico sono, in ogni poro una malcelata voglia di nistro De Michelis ha potuto per- mente i propri complessi di infe- concepiamo oggi (basterebbe pen- Italia, ancora ridotti ai minimi ufficialità, di sanzione da parte mettersi il lusso di maltrattare la riorità e la timidezza delle proprie sare all'ipotesi, tutt'altro che pere- termini. Qualche anno fa, Nino dei Magnati della Politica, dell'Ebenemerita categoria, accusando- idee. grina, che i consumatori siano di- Andreatta disse che nel nostro conomia e della Cultura? (Ci semla di aver tenuto un convegno di Una delle ragioni potrebbe stare sposti a pagare le informazioni, paese esiste un po' di «folklore ca- bra che, tra i Citati, ben pochi siaretroguardia, dedicato a ternati- in un equivoco ideologico. Abi- anziché vedersele recapitare gratis pitalistico». Due o tre «salotti no giunti fino alla sala del Conche obsolete. È stato, bisogna dir- tuati ad essere maltrattati dall'i- in forme addomesticate e traverse, buoni», due o tre famiglie, due o gresso... ) lo, più facile che cogliere un bam- deologismo di sinistra, a proposi- date certe condizioni tecnologi- tre partiti continuano a contare Pubblicitari ancora uno sforzo. bino con le mani nella marmella- to e a sproposito, i pubblicitari che, su cui è meglio non di/un- più del mercato, più delle condi- Se lo faranno, se cercheranno di ta, tanto i pubblicitari si erano av- italiani devono aver creduto che garsi. zioni che dovrebbero favorire la rispondere a queste domande con volti nella melassa del trionfali- lo svanire del suddetto ideologi- È"'bene, tuttavia, attenersi al mi- nascita di nuove imprenditorialità pacatezza, anziché allontanarle smo autoelogiativo. L'ultimo smo e l'espansione degli spot tele- nimo, ovvero a/l'adeguamento e la morte delle imprese inefficien- come moschini fastidiosi, come congresso italiano della pubblicità visivi, insieme al corteggiamento dell'Italia agli standard entro cui ti. Il nostro sistema fiscale ne è la hanno fatto troppo spesso in passi era svolto ben quindici anni fa. del tutto formale ed interessato di si svolge l'attività pubblicitaria prova vivente. In una simile tem- sato, il loro sforzo meriterà di esSu una lunga serie di punti non qualche cerchia intellettuale, ba- nei paesi più avanzati. Questi perie, la pubblicità non può che sere assecondato e sostenuto dagli trascurabili sembra che non sia stassero ad assicurare un nuovo problemi debbono essere risolti essere innanzitutto ciò che dovreb- operatori della cultura e dell'ecopassato un giorno. No a una legge livello di operatività e un nuovo anche dai pubblicitari e da chi ha be essere solo marginalmente: uno nomia meno legati ai tratti più ar- ~ che ponga delle regole alla comu- standing alla professione. Eviden- a che fare con la pubblicità. L'in- strumento di potere; l'autocom- caici e indifendibili di una società .s nicazione pubblicitaria e che, per temente non bastano. Occorrereb- cremento degli investimenti pub- piacimento di qualche signor che vorrebbe essere capitalistica, ~ esempio, consenta la pubblicità be perlomeno importare, oltre al blicitari non cura tutti i mali, ed è Brambilla; un obbligo «istituzio- ma ha scoperto la Borsa ieri mat- ~ comparativa, corrispettivo natu- birignao, anche le regole del gioco legittimo sospettare che sia infe- nale» di Grandi Aziende e di Enti tina. Forse i tempi sono maturi ~ raie della competizione di merca- (scritte e non scritte) che si riscon- riore a quel che potrebbe essere se pubblici;· un circuito «politico», per scoprire anche la pubblicità, -. ~ to; difesa ad oltranza del Codice trano da tempo immemorabile nei la pubblicità italiana uscisse dalle prima che economico. Qui, forse, per intero, senza un trionfalismo -e di autodisciplina, strumento di paesi (l'America, per fare un sue condizioni arcaiche e provin- le parti si invertono. Sono pro- che non si addice a un'attività ma- ~ una concezione corporativa delle esempio del tutto casuale) dove la ciali. prio i pubblicitari (o una parte di tura. ~ i::: «regole del gioco», degna del Me- pubblicità è vista come una parte Detto questo, bisogna aggiunge- essi) a lottare per modificare que- ~ dioevo, più che della «società po- del vige{lte sistema economico e re che, probabilmente, le ragioni sto stato di cose. Ma allora perché stindustriale>•salmodiata senza fi- culturale, qual è. più profonde di questo stato dico- non dirlo al Congresso della pub- Congresso Nazionale .::: ~ ne e senza costrutto. Inutile al/un- Ad essere cattivi, si potrebbe ag- se non sono da attribuire ai pub- blicità? Perché è scattato il vetusto della Pubblicità ~ gare il catalogo. giungere che un convegno di buon blicitari stessi, ma al livello «cui- riflesso condizionato del Cliente Roma, 23-24-25 ottobre 1986 ~ ~-------'-;:---------,--'-'-:--,--------------------------------------------------------------' I::!
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