Alfabeta - anno VIII - n. 90 - novembre 1986

J. M. Straub-D. Huillet Klassenverhaltnisse 1985 G. Lukacs L'anima e le forme Tr. it., Milano, Sugar, 1963 f.c. K. Lòwit Saggi sulla storia Tr. it. Firenze, Sansoni, 1971 f.c. F. Kafka America Tr. it., Milano, Mondadori, 1964 pp. 320, lire 2.500 K lassenverhiiltnisse (Rapporti di classe) è il titolo del film che, con scrupolosa fedeltà testuale, Jean Marie Straub e Danièle Huillet hanno tratto da America di Franz Kafka. Non una parola è aggiunta e ben poche sono tolte, eppure siamo di fronte a un'interpretazione molto particolare del mondo kafkiano. L'impostazione ricorda in modo sorprendente il motivo ricorrente dei film di Mizoguchi, che Straub e Huillet hanno ripetutamente citato come uno dei loro maestri: un piccolo errore iniziale, un equivoco, scate-. na - in un rigido regime di relazioni classiste dove l'inferiore non può discolparsi o non è creduto - la rovina dei personaggi. Così accade, per esempio, negli Amanti crocefissi o nella Vita di O'Haru. Da qui alla tematica di Kafka il passo è evidentemente breve e senza sforzo le vicende di Cari Rossmann, spogliate di ogni alone metafisico (che del resto qui è meno percettibile che negli altri due romanzi) sono ricondotte a una precisa matrice familiare e sociale; non un mondo incomprensibile, ma un mondo governato da rapporti di produzione capitalistici, determina la forma di destino (e di destino malevolo) da cui il protagonista è ripetutamente travolto. C'è qui una delle possibili letture di Kafka, quella «bolscevica» che Brecht dava a Benjamin parlando dello «stupore» di chi sente precipitare infiniti spostamenti senza riuscirsi ad adattare ai nuovi ordinamenti; in questo ostinato ascolto vi è un'autentica forza profetica. L'interpretazione benjamiLeHere Carissimi Dorfles, Giovanni Anceschi, Sassi, Colonetti Leggendo Alfabeta del mese di settembre, ho saputo che in un caldo pomeriggio di quest'estate vi siete trovati a chiacchierare al Caffè, mangiando gelati. Pur essendo da tutt'altra parte, siete riusciti a portarmi tra voi, tirandomi per quei pochi capelli che il tempo mi ha lasciato in testa. Cosi, devo anch'io dire qualcosa anche se non mi sento a mio agio, perché il vostro assomiglia un po' a un ritrovo di reduci che se la contano per ricordare i bei tempi passati. Le battaglie più eccitanti. mi par di capire, erano quelle delle Facoltà di Architettura tra gli anni '6070. Era proprio vero che la parola magica design-progetto serviva alniana, come è noto, presentava un caratteristico slittamento «teologico», le cui radici stanno nella concezione rosenzweighiana del tragico come «metaetico» e nella continuità fra ·destino mitico e regno della legge. Kafka avrebbe denunciato lo smarrimento delle chiavi di accesso alla legge, rinunciando a una verità intrasmissibile per non rinunciare alla trasmissibilità. I suoi eroi, quelli destinati a redenzione messianica, sono i deboli, i malriusciti, che hanno rinunciato al mito del potere e non sono quindi più soggetti alla fascinazione del destino: Bucefalo sbarazzatosi di Alessandro Magno, il contadino che si fosse stufato di attendere alla porta della legge... Un profilo diverso, ma non incompatibile con la messa in rilievo dei «rapporti di classe» dell'universo kafkiano, come intimamente solidale e contraddittoria fu l'amicizia di Brecht e Benjamin. In ogni caso in piena opposizione a ogni facile (e consolatoria) lettura di Kafka quale cantore dell'insondabilità del mondo e dell'inesorabilità del destino. Anche per i film che abbiamo citato è giusto ribellarsi. Q uesta risoluzione del destino in una connessione razionale e contrastabile di interessi di oppressione e sfruttamento è l'opposto di ogni abbandono compiacente e complice alla fatalità, quale spesso balena o nell'opera d'arte o nella sua interpretazione (pensiamo alla polemica brechtiana contro l'immedesimazione teatrale, che riprende spesso alla lettera le accuse di Nietzsche alla demagogia wagneriana). La lucidità contestativa di StraubHuillet, qui liberata da taluni precedenti limiti di intellettualismo troppo insistito, si affianca alla razionalità critica dei modelli loro cari: Renoir, Ford e, come si è detto, Mizoguchi. Ma anche ad autori apparentemente lontani - Godard, Rohmer - cui si avvicinano non solo per scelte tecniche e di linguaggio (a cominciare, come ormai sanno anche i sassi, dalla presa diretta del suono) ma proprio per la sperimentazione di stili rappresentativi della vita fondati sul rifiuto della colpevolezza, sulla naturalità della morale. Certo ad accomunarli è l'arbitrarietà del fora per cambiare il mondo. Vedo che la nostalgia è tanta per quello che si voleva fare e non si è poi fatto. C'è disinteresse, dite, per il design sociale, comunitario; non si pensa a uniformare le scritte delle strade, della segnaletica, a curare l'arredo urbano. Non ci si meravigli allora se le cartacce sono per terra e se persone cenciose ingombrano i marciapiedi. Insomma un bel discorso al tavolino del Caffè; tanti ricordi, tanti desideri; il caldo fa scivolare le parole, non ci sono incertezze; col sole che c'è, nemmeno l'ombra di un dubbio. Si sentono lamenti sui ritardi dei treni, sulle tasse e sulle Usi, perché i miei amici non possono lamentarsi del/'arredo urbano, della qualità della segnaletica stradale? Fin qui tutto scorre tranquillo, e io me ne stavo tranquillo dov'ero. Poi però deve essere successo qualcosa: forse sarà caduto per terra il gelato a Colonetti, a Dorfles avranno portato il conto ... , non si spiega altrimenti la stizza che monta improvvisa. Ma perché, dicono i miei amici pluralismo; eppure le differenze ideologiche rispetto all'opzione costante di Rohmer e a quelle assai tumultuose e nel tempo variabili di Godard non devono essere talmente radicali se il risultato espressivo rende questa percepibile aria di famiglia. . i Il comune sconvolgimento della struttura della «storia» cin~ato- ·I scriveva Lòwith: «Il discorso sulla mancanza di un senso ... è ambiguo. Può significare che la storia non ha un senso; ina può avere anche un significato positivo, che ci siamo liberati dalla questione del senso e che ne siamo liberi perché non ci aspettiamo dalla storia che essa possa dare alla vita dell'uomo un senso che questa poI. .. Lirica per Pianoipotesi ( 1981) grafica rinvia a un processo più generale di sconvolgimento del senso della storia, alla perdita di una tenuta espressiva che corrispondeva a pretese ormai decadute di moralità e di narrazione - ciò che vale sostanzialmente anche laddove (in Straub-Huillet o nel Godard anni settanta) figurava un rimando ideologico forte. Vale qui quanto un po' concitati, design e progetto sono parole che si possono solo bisbigliare quasi fossero sconce, perché le piazze devono fare schifo, perché l'arredo urbano sLè fermato a quello che era stato fatto vent'anni fa per la metropolitana. La colpa di tutto questo, dicono sempre più seccati guardando il gelato che si squaglia e il conto che sta sul tavolino, è che manca una cultura adeguata, manca una teoria del progetto. Nella gloriosa Milano dello styling la cattedra di Estetica non dice niente di tutto questo. E avete proprio ragione, lo so bene perché dalla cattedra di Estetica del/' Università di Milano insegno io. Sarà che essendo veneziano ho un'altra idea della storia dell'arte, sarà che ho soldi a sufficienza per spostarmi a Milano col taxi, ma devo proprio dire che non mi sono mai appassionato degli indicatori stradali interni alla metropolitana, anche se sono realizzati da Bob Noorda. Potevo benissimo starmene zitto, pur essendo adesso tra voi, perché, per quel che mi riguarda, potete appassionarvi di trebbe anche, senza la storia, non avere o non trovare« (op. cit., pp. 57-8). L'uomo, con lo sgretolamento del nesso moralità-destino e della sua iscrizione in un mondo fantastico dove l'interesse e il dominio si travestono da chiamate epocali, è restituito alla storia naturale. Si aprono le assunzioni per il Teatro Naturàle di Oklahoma e quel che vi pare. Ma siccome mi sembra che per voi tra un bel termosifone di un noto designer e un quadro di Van Gogh non ci sia differenza, ecco, vorrei solo dirvi che io a quella differenza ci tengo, e se un mio studente non la vede, lo boccio. Per fortuna è passato quel ventennio in cui l'Impero della Semiotica e il passaggio del bulldozer marxista sbeffeggiavano la scrittura di una poesia (a meno che non fosse antipoesia) ed emarginavano qualsiasi filosofia del fondamento o qualsiasi ermeneutica. Davanti al gelato voi ricordavate con emozione le premesse di quel ventennio, e, anche se - come si dice - la storia non si ripete, trovo sempre un po' rischioso confondere un termosifone con un quadro di Van Gogh. Oggi almeno si può continuare a leggere poesia e non fa scandalo pensare sui testi di Husserl o di Heidegger. Questo significherà molto poco per .qualcuno, ma a me serve per spiegare la differenza che c'è tra le poesie di Lamberto Pignotti, che tu caro Dorfles mi avevi fatto cotutti sono benvenuti. Nella lettera a Leo Popper che apre e nel saggio che chiude l'Anima e le forme G. Lukacs - che sin dai suoi inizi ancora non marxisti si colloca idealmente sul fronte, per così dire, opposto a quello di Kafka, Brecht e Banjamin - stabilisce un nesso forte fra destinabilità (intesa pre-esistenzialisticamente come vertice dell'autenticità, dell'essere-per-la-morte), forma ed eticità profonda della sua rappresentazione. Al vertice la tragedia rappresenta il mondo sotto il simbolo di un rapporto di destini; persino il critico è colui il quale, in un processo di secondo grado, sa intravvedere nella forma l'elemento fatale. La metapersonalità del personaggio tragico è simbolo di una relazione fondamentale di destino (ciò che significa esattamente l'opposto della categoria di «metaeticità» di Rosenzweig), estremità dell'esistenza, assunzione cosciente della colpa come un che di proprio. Il Lukàcs «marxista» non farà altro che trascrivere questa intuizione giovanile - uno dei punti alti della tradizione che va da Yorck e Dilthey al primo Heidegger - nella categoria del «tipico» e nel gioco dei rapporti necessari fra arte, storia teleologicamente ordinata e forze politiche di mediazione. Il nucleo della divergenza con Brecht è' qui già tutto dato e si costruisce proprio nella relazione tra forma e destino, che valorizza in ogni modo (prima esistenziale e poi storicistico) la necessità del secondo - una sorta di amor fati pochissimo nietzschiano-, laddove gli altri autori che abbiamo citato pongono l'accento sulla dissoluzione del nesso di destino, sulla sua riduzione e variabilità nel corso delle pratiche sociali. La forma «classica» che Lukàcs contrappone alle avanguardie cela sin dall'inizio un profondo abbandono fatalistico e una fitta ricaduta moralistica. Al suo confronto perfino Kafka può sembrare «spensierato». E questa leggerezza ci sembra salvaguardata nella lettura brechtiana che di America ci ·hanno dato Straub e Huillet. È una leggerezza che scaturisce non dalla rinuncia a incidere sulla realtà, ma dalla fiducia nella sua modificabilità. noscere quando ero un tuo studente alla Statale, e una poesia di Novalis. Menomale che non tutte le colpe sono della cattedra di Estetica. Il guaio è, dite tra voi, che manca a Milano la cattedra di Semiotica. E anche questo è vero. Ma sinceramente non mi sembra cosi grave se l due più grandi semiologi del mondo, Roland Barthes e Umberto Eco, sono i primi a non dare gran peso alla semiotica. L'uno, per parlare di ciò che gli sta più a cuore, l'amore, ha detto che la semiotica non serve a niente, l'altro (lo voglia o no) ha affidato la sua immortalità sul pianeta terra ad u~ romanzo di successo, da cui si farà un film di cassetta. Scusandomi cari amici se non sono riuscito a scherzare, vi pregherei, adesso che arriva l'inverno, di non prendervela con la mia cattedra di Estetica, quando vi capiterà di sfiorare il termosifone e di pensare che siete in pochi a trovargli la stessa dignità di un quadro di Van Gogh. Con affetto, Stefano Zecchi ,··

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