bi dell'allattamento le si passa sul seno il cordone ombelicale, segno della reversibilità simbolica dei suoi effetti di nutrimento. Durante tutta la gravidanza, per quanto reale, per quanto vivente appaia nel fantasma di immanenza al corpo materno, il bambino continua a funzionare in un regime immaginario, come oggetto immaginario venuto ad appagare l'antico desiderio. Funziona come tappo a volte anche dell'angoscia. Fantasmi di esplosione e di uccisione a volte reciproca irrompono in questo equilibrio: È però soltanto al momento della nascita. quando il bambino reale assume all'esterno il posto che occupava all'interno, che lo scarto tra oggetto reale e oggetto immaginario apre uno iato inquietante. Non perché ci sia qualcosa che non va nel bambino rispetto a quel che era atteso: esso è semplicemente su un altro registro: è reale. E non è più assimilabile al fantasma di completamento precedente, non lo sostiene più, anzi lo distrugge attivamente, non fosse che per il ritmo dei suoi bisogni e il suo mostrarsi, essere visibile. In qualche modo minaccia a morte la costruzione narcisistica della donna raggiunta faticosamente attraverso la gravidanza e lungamente preparata dal tempo lontano della sua scelta edipica. Ecco perché questa ennesima separazione e alterità dell'oggetto sono avvertiti in modo irreparabile, giustamente irreparabile. E i momenti successivi al parto possono non aver niente di «naturale» o «idillico». Anzi la fenomenologia clinica che si può dire «normale» rivela una gamma caratteristica di difficoltà che vanno dalla depressione lieve alla psicosi puerperale associata al delirio di assassinio. E si può spiegare così non solo in termini di fenomenologia la ben nota impunibilità post-parto della donna riguardo alla vita del bambino. Se queste sono le ipotesi della psi-· coanalisi, e sta a ciascuno ritrovarcisi o no, è interessante sapere che cosa accade alla donna incinta e partoriente non solo durante un 'aIMAGO: Graffito alchemico a uno e due strumenti (198I) nalisi (ed è il percorso delineato fin qui) ma alla fine dell'analisi stessa. Ho proposto prima che la gravidanza sia il dono immaginario del padre, dono fallico per eccellenza del padre, cui la fantasia inconscia sostituisce facilmente l'analista, uomo o donna che sia, cui può rispondere in analisi un fantasma parallelo: quando le parole dell'analista possono assumere il ruolo di un fecondatore-figlio maligno e distruttore, complementare all'idea del bambino sapiente come prodotto dell'analisi. Ci si può allora chiedere a mo' di giusta verifica, se ci sia modificazione di questa struttura del narcisismo femminile, quando una gravidanza s1 produce in corrispon- ~ ~ I denza e in causa della fine dell'analisi. Per ridurre a formule (che sono sempre un po' pericolose) si può dire che se nelle tappe precedenti il figlio è in qualche modo il figlio dell'analista, in quest'ultima situazione il figlio è l'analista-figlio. Nel senso per cui questo fantasma indicherebbe allora il reale inassimilabile dell'oggetto che l'analista vela e insieme svela come figura di una alterità dell'oggetto che può essere assunta finalmente come non distruttiva. La donna, in altri termini, sa o può arrivare a sapere, in questo modo come probabifmente in altri modi, che l'alternativa dello specchio «o te o me» (trasformata indefinitamente in «e te e me»), vicissitudine presentissima, come abbiamo visto, nei fantasmi di gravidanza, questa alternativa insomma si produce in un falso dilemma. E anche che la sua duplicità o spartizione costitutiva la donna non è costretta a rinnegarla, non ha come unica soluzione per •sostenerla quella di ricoprirla in un doppio reale, con il figlio-tappo, come spesso anche l'analisi infantile drammaticamente testimonia. Su questo falso dilemma si può arrivare, da donne, assai presto attraverso l'analisi. Una bambina di sei anni è in cura da-circa un anno per una balbuzie con cui rende irriconoscibili le parole spezzandole, balbuzie insorta dopo il trasloco dalla casa natale, casa madre si potrebbe dire. Nell'ultima seduta prima delle vacanze di Natale disegna una figura femminile con i suoi propri, inconfondibili tratti, ma non più bambina, donna. La vita, molto sottile, è segnata da qualcosa che appare come una strana cintura. La bambina chiamandosi Maria, questa figura si rivela essere, per l'appunto, la Madonna. Interrogata a proposito di questa strana cinta, Maria risponde che non si tratta affatto di una cinta, quanto piuttosto di quella cosa che si usava una volta per fare luce. Una bugia? conclude l'analista. Si direbbe che per Maria al posto della cinta nel luogo mitico c'è una bugia. Va da sé che le associazioni successive riguardino un segreto svelato sulla vera natura del donatore di Natale. Maria ha potuto sapere che non c'è più Gesù Bambino, ma bisognerà pur sostenere questa bugia per mamma e papà. Dirà con un lapsus dopo Natale «per deluderli». La delusione infatti c'è ma in quell'altro vero segreto di cui si tratta, di bambini e anatomia femminile, di cui però vuole e può dire proprio con la mamma. Per dire che può, insomma, sopportare questa delusione della perdita, inflittale dalla madre, e di cui è stata riedizione intollerabile la perdita della casa natale. Può allora articolare proprio con la madre il segreto insondabile del suo essere madre, il segreto del legame con lei. È in questa «bugja che fa luce», che ci riporta in modo singolare allo schattenhaft, alla consistenza dell'ombra notata da Freud, e anche all'idea di un «tramonto» in fondo impossibile dell'edipo, che il parto è cruciale, segno mi pare della sopporfabilità del doppio, dell'esser non-una che una donna è. Ilsentimentdo'amore E. Forni Il mito del sentimento Bologna, Capelli, 1984 pp. 188, lire 19.000 Il tema delle passioni nella storia della filosofia Convegno di Bolzano, 29-31 maggio 1986 Q u_alcheanno fa, in u~a sue~ cmta premessa a1 suoi Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes muoveva dalla considerazione che «il discorso amoroso è oggi di una estrema solitudine», vittima di quel rovesciamento di valori che ne rende oscena la anacronistica «sentimentalità» a favore di una imperante e non più trasgressiva sessualità. Solitario perché inattuale, sempre più isolato nel circuito privo di grandeur delle sue ambivalenze psicologiche, il «sentimento» d'amore sembra essere destinato a non trovare il suo Bataille o il suo Platone moderno. Questa solitudine non è tuttavia assoluta, se Barthes stesso corag- ~ giosamente rilancia il discorso -~ amoroso come il «luogo di un'af1::l.. fermazione», dimenticato posto di confine, limite estremo in cui, proprio per questo, possono delinearsi i contorni di una nuova soggettività: sia che essa risulti dalla fusione tra Eros e Psiche, come vorrebbe J. Hillman (Il mito dell'analisi, Milano, 1979), o dall'amore di transfert, in cui J. Kristeva sembra ~ vedere, in prospettiva freudiana, l la via regia dello stato amoroso ~ (Histoires d'amour, Paris, 1983). Ma non è solo in ambito linguistico o psicoanalitico che si fanno sentire voci decise a sottrarre il sentimento amoroso al pericolo di una oscura rimozione; la stessa filosofia, nelle sue frange più sensibili al problema della costituzione del «moderno», sembra voler promuovere il discorso sulle passioni e sull'amore a capitolo meno marginale della sua austera e gerarchica struttura tematica. Non è casuale dunque che l'oggetto d'indagine del libro di Fornipromotore peraltro del recente convegno filosofico sulle passioni - sia quello che viene universalmente riconosciuto come il primo romanzo psicologico moderno, La Princesse de Clèves (1678) di Mme Lafayette, un testo arditamente sottratto agli spazi angusti dello specialismo letterario per essere assunto a modello ideai-tipico di una «tappa» della storia del sentimento; tappa cruciale, come già N. Luhmann aveva stabilito nel suo Amore come passione (Bari, 1985), collocando nella seconda metà del Seicento il primo mutamento fondamentale delle forme del codice amoroso, in corrispondenza della più complessa differenziazione della struttura sociale, caratteristica del passaggio al «moderno». La teoria sistematica luhmanniana fornisce d'altra parte all'analisi di Forni molto più di una semplice coincidenza interpretativa, costituendo il principale punto di riferimento per la riproposizione di una «antropologia filosofica» fondata su un nuovo modello di Elena Pulcini razionalità e dell'ego (inteso nel senso della fenomenologia): nuovo perché supera la polarità del paradigma classico Cartesio/Kant (dualismo/monismo) sostituendo il concetto di «funzione» a quello di «soggetto», ed analizzando l'agire sociale a partire dal piano della comunicazione e dei meccanismi riflessivi del linguaggio (sulla linea che va da Gehlen a Wittgenstein fino ad Austin e Searle, passando attraverso Lévi-Strauss). L'analisi del romanzo sarà condotta dunque per mezzo del modello linguistico, che cerca la razionalità nel sistema (linguaggio e azione) e non nella coscienza; non quindi nella prospettiva teleologica di una coscienza che fonda i valori diretti verso uno scopo, ma secondo il modello di un agire dotato di «senso» nell'accezione luhmanniana, orientato cioè verso qualcosa che rinvia sempre ad altre possibilità non attualizzate. Ciò che distingue infatti - secondo il modello sistemico di Luhmann fatto proprio da Forni - la società moderna in quanto società altamente complessa e differenziata è quella unità nella diversità, quella pluralità dei valori (intesa nel senso della «compossibilità» leibniziana) tale per cui ogni scelta comporta sempre la riduzione e insieme la conservazione della complessità. Sistemicamente inteso, l'amore opera dunque - e come tale va analizzato prima di addentrarsi nelle maglie e sfumature storicamente mutevoli del <~entimento» - come mezzo di comunicazione in grado di rendere «probabile l'improbabile»: •di realizzare cioè il progetto paradossale della totale accettazione del!' Altro (alter ego) in un mondo in cui la dispersione dell'ego e la scomparsa della distinzione tra «essere» e «apparire» rendono altamente improbabile il trattamento comunicativo della individualità. Saranno dunque gli atti linguistici, i meccanismi della comunicazione a venire analizzati nella Princesse de Clèves, assunta come modello ideai-tipico (in senso schiettamente weberiano di uno scorcio della storia del sentimento o della passione d'amore. Ma il modello non può essere completo se è privo di una dimensione storica che permetta di focalizzare i mutamenti a cui la variabile «tempo» sottopone il sentimento amoroso. La costruzione di un «linguaggio espressivo» che abbia la pretesa di dar ragione dell'agire umano,,, ha bisogno sia di uno schema sincronico (analisi del linguaggio e della comunicazione tra i personaggi) che di uno schema diacronico, che permette un raffronto con altre «tappe» storiche alla luce di un criterio definito in base all'ottica dell'osservatore contemporaneo. Per rispondere a questa seconda esigenza, Forni si rivolge ali' Estetica di Hegel, dove trova la chiave interpretativa dello sviluppo del sentimento d'amore dalla contrapposizione amore-matrimonio fino alla loro fusione nella letteratura borghese, fino cioè al trionfo di quel sentimento coniugale che solo conferisce all'amore un carattere di universalità. ' E la prospettiva diacronica fornita dall'interpretazione hegeliana che permette il raffronto con un altro testo, questa volta settecentesco, fondamentale per la problematica amorosa moderna: La Nouvelle Heloise di J. J. Rousseau, in cui il conflitto tra amore e matrimonio - tutto iscritto, come Forni riesce acutamente a vedere, nell'opposizione tra amore e natura, intesa questa come ferreo legame tra genitori e figli - trova il suo superamento nella scelta coniugale della protagonista, Julie, obbediente alla «legge naturale» della devozione filiale. Allo stesso tempo però, La Nouvelle Heloise è anche il momento di crisi dello schema hegeliano, al quale la rivendicazione finale da parte di Julie morente dell'amourpassion la rende irriducibile: la confessione di Julie, che ribadisce l'inconciliabilità tra amore e matrimonio, è una smentita, un'infrazione alla visione lineare di un percorso amoroso che progressivamente si libera della falsa universalità romantica per confluire nella vera universalità dell'amore coniugale, capace di inserire il soggetto nella sfera dell'eticità pur conservando la liricità del sentimento d'amore. Occorrerà allora indagare meglio, sincronicamente, quel tessuto comunicativo, quella rete di giochi linguistici tra i personaggi che soli possono dar ragione di
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