attraverso slittamenti metodologici dei quali è possibile ricostruire una storia è crollato il mito dell'Ònniscienza e, con esso, la centralità panottica dell'osservatore, dissolta nei vincoli ricorsivi che attraversano la conoscenza sistemica. La nuova evidenza che riconosciamo anche su un piano vago e quotidiano ha orientato peraltro anche una tensione positiva verso una conoscenza della conoscenza: l'invito di G. Bateson per un «apprendimento ad apprendere» e le «nozioni del secondo ordine» elaborate da von Foerster hanno avviato quella dimensione costruttiva della complessità sulla quale Morin sta addensando una ricerca di lungo periodo (cfr. La Méthode /, Paris, Le Seui!, 1977 e La Méthode II, Paris, Le Seui!, 1980). Nella sua polarità la sfida mantiene comunque un invariante: il limite invalicabile dell'incertezza. L'auto-organizzazione presenta una dimensione costitutivamente irriducibile, la contingenza evolutiva rende ogni oggetto di scienza - non più soltanto quelli subatomici - oscillante e indeterminabile, la dinamica dell'interazione tra sistemi si fa fluttuante e souple, la stessa consistenza ontologica degli oggetti complessi è affidata a una incerta demarcazione, mentre l'osservatore, reinserito di fatto nel circuito della legislazione scientifica, appare indebolito nel suo statuto di legislatore. L o scenario della ricerca produce uno scarto denso di informazione anche rispetto a quello vissuto da Bachelard, al punto che l'epistemologia noncartesiana viene letta come frontiera di intellegibilità dinanzi all'avanzare del caos sistemico (cfr. R. • Cavaillés, L'épistémologie de Gaston Bachelard et la «révolution cybernétique», in Il Protagora, genn.-giugno 1984, pp. 175-189). Tuttavia la strumentazione scientifica approntata dalle «scienze del complesso» possiede una potenza indiscutibile. Qualche parziale sondaggio nel corpus offerto dal volume potrà offrirne uno sfumato riflesso. Prigogine, ad esempio, valorizza il ruolo costruttivo della fisica del non-equilibrio e, facendo leva sulla nozione fisico-matematica di attrattore, prospetta una storia naturale del tempo che riavvicini - nello spirito della nuova alleanza - la scienza alla temporalità dopo la separazione prodotta da Einstein e da Bergson. Una risposta della nuova fisica a sentimenti ontologici fondamentali, quali quello del rapporto tra essere e divenire, tra autonomia e appartenenza, che vuole riconciliare nel nome'di una «razionalità limitata» gli uomini con il mondo. Varela e Atlan mettono in scena dal canto loro ricerche complementari e/o contrapposte sui sistemi complessi: il primo, richiamandosi a N. Wiener, individua la logica dei sistemi autonomi attraverso le nozioni di chiusura operazionale e di creazione di senso (cfr. anche H. Maturana-F. Varela, Autopoiesis and cognition - 1980 -, tr. it. Padova, Marsilio, 1985), il secondo si avvicina ai sistemi viventi muovendo dall'osservatore èsterno e, coniugando la biologia molecolare con la teoria dell'infor- ~ mazione, prospetta un approccio i:::s osservativo complesso in quanto -~ inseparabile dall'ignoranza (e ~ quindi dall'arbitrarietà) che si ~ pròietta sul sistema osservato. Sol- -. tanto un'epistemologia compren- ~ siva della complessità può rendere ..C) E complementari l'opzione eterono- ~ 5 ma della «complessità mediante ~ rumore» e quella autonoma, che ~ fa perno sulla messa tra parentesi t:i dell'oggettività esterna. Peraltro i ~ sistemi complessi sono oggetto da ~ tempo della sinergetica, disciplina ~ con la quale Haken ha inteso individuare i nessi che permettono di ordinare in un sistema macroscopico i processi di auto-organizzazione prodotti ai livelli microscopici; la complessità naturale viene così compresa in una teoria che mira ai principi generali attraverso un'opera di riduzione e di stratificazione. Altre aperture interpretative propone il campo delle neuroscienze: ce le presenta Pribram, che ci conduce nel mondo delle strutture cerebrali non causali e ci offre un'immagine del cervello in cui coesistono logiche non integrabili e in cui l'informazione si diffonde secondo il modello dell'ologramma (ovvero in ogni frammento strutturato è presente in poten- - I riferimento indispensabile per orientarsi nel rigoglio costruttivo delle «scienze del complesso». U rge a questo punto porre il terzo interrogativo, chiedersi quale consistenza e quale direzione una epistemologia della complessità può comportare. Di rilievo, a questo proposito, il saggio della Stengers, che si cimenta in una distinzione storico-filosofica tra complicato e complesso. Emerge in tutta evidenza la cesura tra un complicato desunto dal semplice come suo limite e un complesso che si ritrova nella descrizione sistemica, formalizzata e finita. Ma emerge anche la negazione di una qualche ~<teoria nica si traduca efficacemente - se ne è fornito sopra un piccolo saggio - in strumenti teorici affinati, in grado di promuovere ciascuno per suo conto un'epistemologia forte. La possibilità stessa di un'epistemologia unitaria della complessità si pone invece su un piano meta-scientifico e impone una direzionalità non soltanto conoscitiva, ma anche etica, politica: un «discorso sulla complessità» motiva i curatori ad avviare un' «epistemologia della costruzione» che viva di pluralismo problematico, interdisciplinare, evolutivo, nella prospettiva di un futuro possibile, di una scienza centrata sull'evoluzione incerta delle possibilità. Mi chiedo in cosa consista !'in- - IO Il mensile italiano dell'alimentazione e della cultura materiale letto in tutto il mondo. Perchè è scritto nel linguaggio del gusto. LaGola Un linguaggio che da gennaio avrà un nuovo formato (cm 24 x 34). 96 pagine a colori Lire 7.000 Per chi si abbona undici numeri costano come dieci Lire 70.000 Per chi si abbona entro il 31 dicembre 1986, o è già abbonato alle testate di Intrapresa, c'è anche un regalo: • il volume Futurismo futurismi Inviare l'ifhp-orto a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano za l'intera informazione). Sorprendente inoltre lo sforzo di sintesi che le «scienze del complesso» impongono sul piano delle società umane. Laszlo colloca i sistemi sociali in una prospettiva evolutiva unitaria che comporta un'unica logica per prodotti e per processi: il carattere isomorfo dell'evoluzione cosmica, fisico-chimica e biologica permette di scorgere una direzionalità nella complessificazione dei sistemi sociali. L'applicazione della teoria evolutiva all'ordine mondiale contemporaneo fa auspicare una scienza del cambiamento che fornisca scenari di prevedibilità in cui le società specialiste attuali si aprano alle fluttuazioni di un'economia interattiva. La rassegna, ben più ampia, rende il volume un ContoCorrentePostale 15431208 della complessità» (prospettata invece in altri interventi, e soprattutto in quello di Morin), in nome di un'apertura pratica all'esperienza scientifica («Finirla coi paradigmi, salvaguardare l'intrepidità che rende bella e interessante la questione sperimentale, superando l'incoscienza che viene così spesso rivendicata oggi come condizione di questa intrepidità. Prendere, accettare ed essere capaci di misurare il rischio», p. 82). Ci si rende conto di come le «scienze del complesso» abbiano comportato un indebolimento delle categorie scientifiche e filosofiche «moderne», dislocando la filosofia in posizione intersiziale, debole e necessariamente postuma, e di come la loro potenzialità teetrinseca «novità» di tale rottura con la tradizione se non· si vuole porre in gioco la polarità paradigmatica e/o evolutiva implicita nell'idea.di un «superamento». Se si può riconoscere l'assenza di ogni esplicita tentazione olista e di pretese pansemiotiche, non viene però meno la sensazione che alcune delle teorie elaborate dalle «scienze del complesso» si candidino per forza assimilatrice e grado di sofisticazione a un ideale di onnicomprensività; può essere il caso della termodinamica delle strutture dissipative, della teoria • evolutiva dell'equilibrio puntuato o anche della teoria delle catastrofi (assente dal volume), o di altre ancora. Anche in mancanza di paradigmi comuni, traspare la hybris dell'inglobamento progressivo. Ma il punto non risulta soltanto metodologico, non concerne esclusivamente la questione se valersi o meno di una lettura per paradigmi, di tipo conflittuale e polarizzato (non foss'altro che nella freccia ancora una volta progressiva vecchio-nuovo; e cosa rimane allora dell'asserito declino dell'idea di ··progresso, della c_risidel «paradigma di Pangloss» e del tramonto della direzionalità storica?). Sorgono interrogativi più pressanti sul versante etico-politico. Una sfida impone una delimitazione di campo, comporta un presenzialismo progettuale, interagisce con centri istituzionali e di potere. Spingere verso la coagulazione di pratiche teoriche equivale a raccogliere forze, in vista di uno scontro dilazionabile ma inevitabile; nuovamente un campo di battaglia, con vincitori e vinti, a dispetto di tutte le rivendicazioni di «erranza», marginalità, decentramento. Lf erranza comporta - come è configurata emblematicamente in M. Serres (cfr. Genèse, Paris, Grasset, 1982, p. 133)- il solitario, u-topico e a-cronico vagare, rifuggendo la tentazione di stabilir recinti e stanziare greggi. La ricorsività non distingue nettamente il «nuovo», può accettare anche il rischio della spaziatura, del silenzio, ma non comprende la lingua della sfida (l'intramontato logos). Si potrebbe anzi asserire paradossalmente che i luoghi deputati della comunicazione si trovano ben lontani dalla complessità produttrice di segni e informazioni, che la traccia è visibile nel deserto come la voce è plongée nel silenzio. La suggestione delle «scienze del complesso» svela quanto la soggettivizzazione della conoscenza abbia moltiplicato le produzioni di senso, dissolvendo tuttavia i contorni del mondo da conoscere, oggi che nessuna soggettività scientifica può proporre la propria supremazia sulla complessità del reale. E le teorie scientifiche - più potenti a volte del récit fantascientifico - rendono i propri servizi all'immaginario collettivo. Se ne potrebbe concludere che non è tanto il termine - tutto sommato generico e indeterminato - di complessità a far problema e che neppure la prospettiva postmoderna dell'indebolimento ontologico (leggibile anche nelle «scienze del complesso», se pure trasposta sul piano forte dell'epistemologia) richiede urgenza di soluzioni, ancorata com'è alla profondità dialogica di uno scenario quasi secolare (basti pensare a Bergson, M. Weber, Heidegger). Se la sfida lanciata in questo volume possiede una crucialità filosofica,-essa risiede - a mio avviso - in un'altra direzione, in quella di un'odissea dell'intelligenza nella quale le modalità del pensare, sciolte dai vincoli binari e antinomici del logos e volte alla densità ricorsiva, pre-logica e figurale del mythos, rendano efficaci tutte le variabili del «sentire insieme»: avvicinarsi, accoppiarsi, consentire, simpatizzare, comunicare. L'epistemologia può allora tradursi in una filosofia etico-politica che conduce un'opera di «salvazione». Dinanzi ai diaframmi sempre più complessi che hanno sostituito l'iperreale al reale rendendoci tutti superstiti, ostaggi, è necessario sperare in modalità di pensare che ristabiliscano un contatto - forse non irreversibilmente spezzato - con la «natura», prima che questa si vendichi, con l'annichilimento, della nostra violen;za.
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