Alfabeta - anno VIII - n. 90 - novembre 1986

scienza moderna, se ci vieta di considerare il mondo come progettato, ci autorizza a considerarlo come progettabile» (La qualità sociale, p. 310). , È questa petizione di principio a 1 gettare luce su alcuni aspetti del lavoro di Ruffolo che apparirebbero altrimenti paradossali. Ruffolo analizza i vincoli ambientali (esaurimento delle fonti energetiche, dissesto ecologico, ecc) e sociali (crescente resistenza e opposizione ai costi sociali della crescita economica sia all'interno - rifiuto del lavoro alienato - sia all'esterno - conflitto paesi ricchi - paesi poveri - del sistema industriale sviluppato) che hanno decretato la fine del mito di una crescita economica illimitata. Mette in luce la crisi dello stato del benessere, travolto dall'accresciuta complessità sociale, dall'eccesso di domanda politica, dai livelli stratosferici dell'indebitamento pubblico. Assume le tematiche dei nuovi movimenti, ecologismo, femminismo pacifismo, come determinanti ai fini della definizione di una p0 rofonda trasformazione culturale e politica, al punto di affermare l'esistenza di un «terzo sistema» legato ali'espansione di una «economia informale» che tende a sottrarsi tanto ai vincoli del mercato quanto a quelli dell'organizzazione amministrativa, un terzo sistema di «attività non finalizzate al lucro e produttrici dirette di valori d'uso: un sistema di relazioni economiche e sociali dirette, che non ha né la possibilità né la pretesa di sostituire gli altri due; ma la possibilità concreta di sviluppare una nuova dimensione della complessità sociale, che con le altre due, oggi determinanti, possa coesistere e integrarsi» (op. cit., pp. 199/200). Di più. Assume una suggestione che ha ispirato le teorizzazioni più radicali del movimento degli aµni settanta in Italia: la distinzione fra lavoro produttivo e improduttivo non ha alcun fondamento «oggettivo», si tratta di una determinazione squisitamente politica: «è improduttivo il lavoro che è considerato tale»,. per cui dal punto di vista di una società produttivistica le attività del terzo sistema (il movimento avrebbe parlato di «rifiuto del lavoro» e di «autovalorizzazione») sono «parassitarie», e solo un radicale rovesciamento di prospettiva culturale può mutare tale giudizio. Ma, ecco il paradosso, il compito di produrre le condizioni del rovesciamento, di sostenere il processo ad un tempo di demercatizzazione e di destatalizzazione che caratterizza le attività sociali più Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (a cura di) La sfida della complessità Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 435, lire 42.000 N on da oggi si pone l'urgenza della demarcazione tra tradizione scientifica della Modernitiit ed emergere irriducibile del «nuovo». Dinanzi alla «svolta» della teoria della relatività ristretta e, ancor più, della meccanica quantistica nella formulazione «ortodossa» della scuola di Copenaghen Gaston Bachelard proponeva un'epistemologia non-cartesiana che negasse ogni reductio ad unum sia nella pratica scientifica che, di riflesso, nella lingua filosofica, valorizzando la complessità innovative, è affidato alla programmazione democratica dello stato, di questo stato! «È vero che la complessità genera incertezza. Ma crea anche margini di libertà e di discrezionalità più ampi. Là dove gli uomini non trovano più certezze nell'ambiente, sottratto al loro controllo individuale - ad esempio, non più in un mercato autoregolato dalla concorrenza - il loro accordo esplicito può introdurre nuove certezze e nuovo ordine. La pianificazione, in altri termini, è tanto più necessaria e possibile quanto più il sistema è complesso e incerto» (op. cit., p. 259). Senza pianificazione statale niente destatalizzazione; le parole d'ordine neo-liberiste e neoanarchiche che, da diversi punti di vista, affermano la necessità di un «governo debole», di uno «stato minimo», vengono liquidate come «utopie reazionarie». Come anticipavamo, la tensione fra aumento della complessità sociale e incremento delle prestazioni del sistema politico si ricompone grazie al principio «costruttivista» su cui Ruffolo basa la sua concezione di progetto: «Peccato che progetto sia una parola inflazionata dall'abuso del linguaggio politico. Ricuperato al suo significato, il concetto esprime una intenzione di finalità e di ordine che trascende la gestione, ma rifiuta l'utopia. È un concetto costruttivo. Progetto è un sistema di obiettivi e di norme inteso a regolare lo sviluppo della società secondo una volontà consensuale» (op. cit., pp. 261/262). Sono quindi chiare le condizioni che permettono di assumere il tema della complessità nei termini di un'intensificazione della volontà di potere del discorso teorico: come Ageno non rinuncia a consolidare la posizione del soggetto della conoscenza, Ruffolo non mette in questione la centralità del «sovrano», del soggetto della volontà politica. Un punto, quest'ultimo, che viene in evidenza nell'analisi critica che Ruffolo dedica alle teorie di Luhmann: non è possibile definire una società come sistema «sulla base di una funzione astratta, senza presupporre il soggetto», né è possibile spiegarne l'evoluzione «indipendentemente da un progetto»; Ruffolo accusa Luhmann di idealismo, di descrivere una società che, in quanto priva di soggetti e di scopi, si presenta governata da un «destino trascendentale»; per parte sua, difende la più classica delle categorie trascendentali del pensiero moderno: il soggetto; anche in questo caso la lezione cartesiana sembra in grado intellegibile al di sotto delle apparenze semplici («Mentre la scienza di ispirazione cartesiana costruiva molto logicamente il complesso col semplice, il pensiero scientifico contemporaneo cerca di leggere il complesso reale sotto l'apparenza semplice offerta dai fenomeni», Le nouvel esprit scientifique, tr. it. Bari, Laterza, 19782,p. 126). Nel volume, importante, curato da Bocchi e da Ceruti si percepisce, in un inedito sguardo d'insieme, l'accumularsi imprevedibile di teorie prodotte - nel segno di una nuova radicale «svolta» - dalle «scienze del complesso» negli ultimi 40 anni. Gli scritti presentati derivano da iniziative successive e richiamano soprattutto un convegno internazionale organizzato di raccogliere la sfida della complessità. La complessità non è un paradigma L'apriori del soggetto, sia esso sperimentale o progettuale, non viene scalfito se la nozione di complessità non mette in gioco le nostre idee sul tempo. Dalle posizioni sin qui esaminate, infatti, emerge come soggetto della conoscenza e soggetto della sovranità tendano a scambiare la certezza del necessario con la certezza del possibile, di modo che, nel passaggio fra paradigma determinista e paradigma indeterminista, il futuro resta comunque «assicurato». Le cose mutano quando, seguendo le suggestioni del saggio di Isabelle Stengers citato in apertura, l'idea di complessità non viene assunta come nuovo paradigma, ma come messa in questione della nozione stessa di paradigma. Secondo Stengers, il paradigma è un modello che «rappresenta in ma-. niera particolarmente adeguata il gioco tra concetti e possibilità di sperimentazioni», che trova una certa spiegazione «in un esempio semplice, in cui concetti e sperimentazioni si articolano effettivamente, ma d'altra parte afferma, a proposito di quest'esempio, una pretesa ... che l'esempio in questione è rappresentativo e costituisce di diritto la via d'accesso a situazioni o problemi che saranno allora detti "complicati" nel senso che noi disporremmo nei loro riguardi del sapere ad essi adeguato» (op. cit., p. 63). Sulla coppia semplice/complicato si fonda la classica opposizione fra punti di vista finito e infinito: il mondo ci appare complicato perché ci propone esperienze che acuiscono la consapevolezza del carattere finito del nostro intelletto, senza pregiudicare l'esistenza di un punto di vista infinito, sia esso Dio o l'Universo. Ora è chiaro che autori come Ageno e Ruffolo sono assolutamente d'accordo sulla necessità di sostituire la coppia semplice/complicato con quella semplice/complesso, tuttavia se le tesi di Stengers sono corrette, essi non colgono tutte le implicazioni di questa sostituzione. Secondo questa autrice, infatti, la transizione è effettiva solo se viene posta in discussione anche quella particolare versione del- )'opposizione fra finito e infinito che è la coppia soggettivo/oggettivo. Il significato di questa tesi si chiarisce in relazione al concetto di irreversibilità: teorie come quelle di Ilya Prigogine non comportano un semplice «trasloco» dalla Casa della Cultura a Milano il 25 e-26 ottobre 1984 (prima occasione per la stesura dei saggi di Ceruti, E. Morin, I. Stengers, J.- L. Le Moigne, I. Prigogine, L. Gallino, D. Fabbri Montesano e A. Munari, G. Pasquino, E. Laszlo, G. Bocchi) e un successivo • ciclo di seminari (motivo delle pagine di F. Varela, H. Atlan, H. von ·Foerster); altri contributi di rilievo (quelli di E. von Glasersfeld, H. Haken, J. Lovelock, S. Gould - l'unico già pubblicato -, B. Goodwin, K. Pribram, D. Ho- . fstadter, M. Zeleny) sono stati raccolti in funzione del volume, che verrà edito anche in lingua inglese dalla Pergamon Press. I curatori di ques'te iniziative sottolineano - nella Presentazione dell'oggettività scientifica dal regno del necessario al regno del possibile, esse richiedono il superamento dell'omologia fra oggettività - comunque intesa - e punto di vista infinito: «Per dare un senso intrinseco all'irreversibilità, il punto di vista finito deve spezzare il suo rapporto di accordo reciproco con il punto di vista infinito. Occorre che la definizione di questo punto di vista diventi positiva, vale a dire che il formalismo stesso non implichi più la possibilità di un punto di vista infinito» (op. cit., p. 68). In altre parole: il complesso non si limita a sostituire il complicato, contribuisce anche a ridefinire il semplice; il modello semplice non può più assumere valore di paradigma, non deriva più il suo interesse dalla possibilità di generalizzare ciò che esso afferma, ma assume un significato esclusivamente locale e contingente, designa una situazione singolare che può essere compresa solo retroattivamente. Non bisogna sostituire un'evidenza oggettiva ad un'altra ma imparare a interrogare effettivamente il reale, a chiedergli risposte che non sono più finalizzate alla conferma di previsioni teoriche. La prospettiva temporale che costituisce il rapporto soggetto/oggetto è dissolta. Immagine e tempo È possibile, seguendo questa lezione, porre in alternativa due letture «politiche» dei nuovi modelli di razionalità scientifica: la prima (che corrisponderebbe al pensiero di autori come Ageno e Ruffolo) «riformista» e «neoprogettuale», la seconda (che seguirebbe piuttosto le idee di Prigogine-Stengers, ma anche di Serres e molti altri) «libertaria» e «antiprogettuale»? La questione risulterebbe mal posta se riferita ad una opposizione concettuale. Che la sfida della complessità assuma o meno contenuti culturali «radicali» non dipende da differenze concettuali, quanto dalla tendenza a derivare diverse immagini del mondo da un quadro concettuale sostanzialmente unitario. Più esattamente, sono in gioco diverse immagini del tempo. Il forte rilievo che questi elementi - immagine e tempo - vengono ad assumere nel dibattito teorico, restituisce piena attualità al pensiero di Henri Bergson, e mette in crisi, come annota Pier Aldo ·Rovatti nella sua breve ma densa introduzione al volume Opere 1889-1896, da lui stesso curato (Milano, Mondadori, 1986), il luogo comune che liquidava questo pensatore come critico «ro- - quanto di oggettivo v1 sia nel mutamento dell'universo scientifico e come di fatto si tratti di accettare o meno una sfida epistemologica non più lanciata da settori decentrati (quali, ad esempio, quello degli studi sulla convezione condotti da Henri Bénard nel 1901), ma individuabile in un ampio insieme di discipline. Da qui l'impressionante effetto di varietà prodotto, nell'opera, da teorie e riflessioni meta-teoriche: cibernetica e neurofisiologia, biologia molecolare e fisica del non-equilibrio, sinergetica e geofisiologia, teoria dell'evoluzione e scienza del comportamento, intelligenza artificiale e psicologia culturale, politologia e simbionica sono scienze che - con i loro neologismi - hanno gemantico» della scienza. L'ipotesi di un Bergson anticipatore dei maggiori nodi teorici della ricerca scientifica contemporanea, è assunta esplicitamente da scienziati come Ilya Prigogine e da filosofi della scienza come Miche) Serres, che sottolineano l'importanza delle idee anticartesiane del filosofo francese e del modo in cui egli affronta i problemi della casualità e del nuovo processo evolutivo, unificandoli nella sua concezione di «creatività». Ma, secondo Rovatti, è soprattutto sul piano squisitamente filosofico dell'analisi della durata che l'insegnamento di Bergson si rivela di grandissima attualità. Alla luce del dibattito teorico sulla complessità, l'immagine-tempo elaborata da Bergson perde i connotati «soggettivi» e «letterari» che le venivano rimproverati ed offre al contrario, grazie alla distinzione tra l'idea comune di possibilità e l'idea bergsoniana di virtualità, uno strumento di fondamentale importanza per discriminare le due prospettive temporali che stiamo qui tentando di mettere a fuoco: «Secondo Bergson ... la possibilità, nel suo senso comune (e accettato da gran parte della filosofia tradizionale), implica un movimento all'indietro, retrogrado, a partire da una realtà che abbiamo già assunta come un fatto compiuto: così, nella misura in cui questo è il movimento stesso mediante il quale cerchiamo di stabilire ciò che è "vero", realtà-possibilità-verità formano una sequenza omogenea e indiscussa e il sapere (sia filosofico sia scientifico) procede prevalentemente a passo di gambero. Se invece ci sforziamo di pensare ... la realtà come virtualità, dobbiamo convincerci che la realtà non è un fatto compiuto, che il presente è un taglio utile, praticamente necessario, ma anche completamente artificiale; e, ancora, che tra presente e passato c'è una paradossale concomitanza e che tra la "memoria" e la incessante e impregiudicata apertura creativa verso il futuro passa un medesimo dinamismo; infine, che tra questo processo che si traduce costantemente in fatti ma che ha un "livello di realtà", più alto, qualitativamente diverso da ogni raccolta di fatti, e ciò che Bergson chiama "materia", non c'è opposizione, o dualismo ... ma un'unità di tipo nuovo, una coesistenza che aspetta ancora le parole in grado di avvicinarne il senso» (Introduzione, cit., pp. X-XI). nerato in breve tempo nuove forme di sapere interdisciplinare. Ma non si tratta soltanto di un riconoscimento di fatto, in quanto gli stessi curatori propongono «la costruzione di un discorso sulla complessità» che, pur senza sedimen- ~ tarsi in un paradigma, richiede . c:::s .s uno sforzo soggettivo verso un'e- g::i pistemologia costruttiva. Dinanzi r:::i.. a un engagement talmente com- · ~ • prensivo è allora opportuno inter- ~ rogarsi sull'ambivalenza della sfi- l da, sulla «scatola di arnesi» con la E: quale si affronta l'impegno, sul ~ mutamento di direzione che si in- ::: tende indicare. • ~ Le «scienze del complesso» han° ~ no indubbiamente segnato «l'irru- ~ zione dell'incertezza irriducibile l nelle nostre conoscenze» (pp. 7-8); ~

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