Alfabeta - anno VIII - n. 90 - novembre 1986

Novecento» diretta da Giuliano Manacorda. Il volume comprende, dopo una densa e informata introduzione della Mascia Galateria, 38 lettere di Corrado Alvaro (dal 1925 al 1954), 75 di Bontempelli (dal 1922 al 1953) e 40 di Nino Frank (dal 1922 al 1950), i tre maggiori protagonisti della controversa avventura di «900». Il programma del nuovo periodicp (che si collegava piuttosto strettamente alle posizioni espresse dal quotidiano «Il Mondo») sollevò proteste e polemiche immediate sin da quando, nella primavera del 1926, cominciò ad essere diffuso: «Ho fondato una rivista - scriveva allora Bontempelli a Nino Frank, suo collaboratore a Parigi - uscirà ogni tre mesi, si intitola "900". Non ci saremo che io, tu, Alvaro, Vergani e cinque o sei altri ancora ignoti: più francesi tipo che va da Aragon o Morand, spagnoli Ramon Gomez, tedeschi tipo Sternheim ecc. E uscirà in francese. Nella giustificazione preliminare spiegherò che siamo antilirici, antisurreali, antipsicologi ecc. - e che per noi il criterio di un'opera d'arte è d'essere traducibile e raccontabile: e che perciò rinunciamo al vantaggio che ci può dare lo scrivere nella nostra lingua, e ci presentiamo tradotti: così otteniamo anche maggior diffusione». L'internazionalismo di «900» era il bersaglio preferito per i numerosi mediocri rappresentanti di un ambiente letterario sempre più autarchico e provinciale, sicché Bontempelli trascorse l'estate del 1926 tentando di individuare i suoi effettivi alleati (ad esempio Malaparte, responsabile della libreria «La Voce» che avrebbe stampato la rivista, rivelava un'inattesa progressiva ostilità) e replicando alle accuse dei nemici dichiarati, tra i quali spiccava Ungaretti, ·col quale l'ideatore di «900» diede vita addirittura ad un duello il 9 agosto nel giardino della villa romana di Pirandello. Naturalmente le polemiche sulla rivista annunciata non si fermarono al piano dei battaglieri letterati; lo stesso Mussolini si insospettì e in questi frangenti Bontempelli, che contava proprio su/l'amicizia del duce per ottenere un altrimenti improbabile lasciapassare, rivelò grande abilità nel muoversi con calcolata e proficua ambiguità: il 7 settembre si fece ricevere da Mussolini e gli espose il programma di «900», spiegandogli che il ricorso al francese consentiva di esportare il fascismo: il non troppo perspicace maestro di Predappio abboccò e concesse a Bontempelli quell'approvazione ufficiale che gli consentiva di zittire i suoi nemici legati al carro del regime. Naturalmente però il crisma dell'ortodossia ottenuto in Italia insospettì i collaboratori stranieri, che mai avrebbero accettato di scrivere sulle pagine di un organo di propaganda fascista. E così, il 14 settembre, Bontempelli suggeriva astutamente a Frank alcuni punti per presentare a Parigi in un'ottica non fascista l'ormai imminente primo numero della rivista:· «"900" non si occupa di politica; e non so di che cosa abbiano paura. Poi dovrebbero aver visto che qui in Italia, mentre alcuni fascisti lo combattevano o sui nomi (per esempio Soupault e Kaiser, accusati rispettivamente di comunismo e di erotomania) o sulla sua collaborazione internazionale, e gli uni e l'altra sono rimasti intatti. Fai anche osserva- • re che perfino dei collaboratori italiani fin dal primo numero ne appaiono alcuni de/l'opposizione (Alvaro già del «Mondo», Emilio Cecchi firmatario del noto manifesto antifascista)». Ne/l'avanzato autunno del 1926 uscì in Italia ed in Francia il primo fascicolo di «900», certo non inosservato ma oggetto di rinnovate polemiche e sabotaggi, tra i quali il più sorprendente veniva proprio dalla casa editrice, che ridusse al minimo la distribuzione a/l'estero. Senza dubbio «900» ospitava autori (di Joyce era pubblicato il primo capitolo della seconda parte di Ulysses) che in Italia non potevano essere accolti senza curiosità, ma anche con molti sospetti poiché quasi tutti (come anche la maggior parte dei collaboratori dei quattro successivi fascicoli) appartenevano a posizioni di netta rottura rispetto al clima provinciale della prevalente cultura italiana, dal romanziere francese Pierre Mac Orlan allo spagnolo Ramon Gomez de la Serna, al drammaturgo tedesco George Kaiser, i quali con Joyce formavano il comitato direttivo di «900». In essa lo spazio per gli scrittori italiani era molto ridotto e concesso nella quasi totalità a dichiarati avversari del regime; era il caso, tra gli altri, di Corrado Alvaro che, già collaboratore del «Mondo» dal 1922 al 1926, proprio contemporaneamente alla nascita di «900» viveva sulla propria pelle la umiliante esperienza di un giornalismo asservito allo stato: «Mi hanno lasciato stare alla "Stampa" - scriveva a Frank il 31 dicembre 1926 - ma i nuovi direttori sono pieni di paura e ad ogni piccolo attacco s'impressionano e sospendono la pubblicazione dei miei articoli». Non so quanto Bontempelli supponesse che la sua rivista potesse andare avanti, per nulla sostenuta dall'editore e osteggiata da numerosi avversari; spesso egli, già carico di debiti, dovette far fronte col proprio denaro al compenso per i collaboratori di maggiore prestigio e ad alcune impellenti spese vive: è certo che Bontempelli puntava molto su «900», convinto dell'importanza dei suoi principi estetici in essa sostenuti e, di riflesso, del grande ruolo attribuito a se stesso nell'ambito della letteratura novecentesca, tanto da dichiarare in un articolo non troppo modesto apparso il 30 aprile 1926 sul «Tevere»: «Se la mia arte non avrà influenza sui nuovi scrittori sarà un gran peccato per la letteratura italiana del Novecento». " Oltre e più dei principi teorizzati nella citata lettera primaverile a Frank, Bontempelli (che in Italia viveva in una condizione di sostanziale isolamento culturale) riteneva allora che «900» dovesse rappresentare una palestra internazionale di «bontempellismo», quel «realismo magico», nato prima ed indipendentemente dal fascismo, che voleva andare incontro al pubblico con un romanzo di tipo popolare, rifondato però su/l'invenzione e l'intreccio e che, per essere diffuso al di fuori dei confini nazionali e sempre più nazionalistici d'Italia, doveva trovare il suo ottimale centro di irradiazione in Parigi, la «silenziosa protagonista di queste lettere» (secondo la felice osservazione della Mascia Galateria) che allora non significava solo Francia, ma anche Europa e ponte ideale per le Americhe. Attratto però dal prestigio dei collaboratori stranieri, per lo più reclutati da Frank tra le file di diversi settori dell'avanguardia (dal dadaismo al surrealismo, alla scrittura antirealistica tra fantasia ed assurdo), Bontempelli finirà con l'ospitare su «900» ben pochi testi effettivamente aderenti ai canoni del «realismo magico», anche perché frenato da Frank, che il 1° marzo 1927 lo sollecitava: «Nessun bontempelliano, ti raccomando. I tuoi imitatori possono essere pericolosi. (. ..) Soprattutto, non bisogna fare che i Cardare/li e i Soffici dicano ch'esiste una ricetta per scrivere in "900"». Il gioco d'equilibrio di «900» con il fascismo continuò ancora per qualche mese, quando ormai era fin troppo chiaro che la rivista non esportava proprio nulla che potesse appartenere al regime; abilmente tuttavia Bontempelli nella scelta di autori poco ortodossi sottolineava l'opportunità di «presentare il fatto compiuto prima che se ne discuta» (19 dicembre 1926) e la necessità di «non commettere imprudenze, anche innocentissime, per non rovinare tutto di colpo» (IO aprile 1927). E inevitabile giunse il momento in cui ogni equilibrismo fu inutile: sul ritardato fascicolo estivo del 1927 era apparso il racconto Caffè Florian di Jlya Ehrenbourg, nel quale si irrideva alle camicie nere e si presentavano le mura di Venezia con scritte inneggianti a Lenin; e questo fu probabilmente il pretesto atteso per segnare la fine di «900», che infatti nel febbraio del 1928 sospese le pubblicazioni, per riprenderle, redatto in italiano e ormai snaturato, nel giugno e avviandosi a/l'epilogo de/l'avventura che avvenne nel giugno del 1929. Di queste vicende nessuna traccia si trova nelle lettere di Bontempelli e di Frank ora pubblicate; qualche vago e frettoloso accenno compare solo in una lettera di Alvaro. Così come nulla più di sibillini accenni farà più tardi Bontempelli a Frank per alludere ali'allontanamento da Roma, cui era stato condannato nel 1938 per una sua celebrazione dannunziana risultata sgradita al regime per le troppo trasparenti accuse alla violenza e al militarismo. Né, come ovvio, nelle lettere autocensurate di Bontempelli degli ultimi anni del fascismo si trova alcuna traccia del suo rifiuto a ricoprire a/l'università di Firenze la cattedra di letteratura italiana offertagli nel 1939 per sostituire Attilio Momig/iano, allontanato per ragioni razziali; questo rifiuto costò a Bontempelli la sospensione dall'Accademia d'Italia cui era stato chiamato con molti onori il 23 ottobre 1930 e segnò l'epilogo del suo rapporto tra ortodossia e trasgressione intrattenuto per molti anni col fascismo: il tempo degli equilibrismi era ormai finito. Alvaro - Bontempelli - Frank Lettere a «900» a cura di Marinella Mascia Galateria Roma, Bulzoni, 1986 pp. LIX + 284, lire 27.000 NOVITA' SETTEMBRE-DICEMBRE 1986 "Confini" HENRYJAMES I TACCUINI pagine 480 lire 38.000 Prima edizione italiana dei celeberrimi Notebooks. Il diario dello scrittore e dell'uomo, un'immensa officina di idee, progetti letterari, racconti abbozzati: il romanzo aei romanzi di Henry James. LA MAGIA DI LEWIS CARROLL a cura di John Fisher pagine 180 lire 22.000 La logica, il paradosso, l'infanzia: viaggio nella «misteriosa» matematica di Carroll. "Letterature" LLORENç VILLALONGA MARCEL PROUST CERCA DI VENDERE UNA DE DION-BOUTON Racconti pagi_ne 160 lire 18.000 ,, Il tramonto in grande stile di una vitalissima aristocrazia, una società letteraria ilare e pettegola, I I I I 11 Marce! Proust e la duchessa di Guermantes, e altre stravaganze, chiacchiere, mondanità: il mondo di Tomasi di Lampedusa visto da Luis Buiiuel. "Riflessi" ERNST W. 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