Alfabeta - anno VIII - n. 90 - novembre 1986

rovinare le pareti; mi sembra ad un tratto, che la creatura umana, che grida al soccorso, sia enorme, tutta di carne, e poggi ì piedi sulla strada, in portineria e arrivi con la testa fin quasi al tepo e non potrò mai liberarla chè un braccio è stato abboccato dai denti d'una finestra orrenda e l'altro braccio è rimasto preso fra le commessure di una porta, e tutto il corpo smisurato - il cuore, il ventre, le gambe - sono tra pietra e pietra, fra zolla di cemento e zolla, come un albero cresciuto dentro una casa, quasi innestato dentro una casa. Mi sono alzato e sono corso in una delle camere dell'appartamento a vestirmi in fretta e furia, una camera che è rimasta illuminata all'improvviso e conserva appunto nelle tinte della luce come un soprassalto, come un allarme. Ad un tratto nel cortile mi sembra gridino: «Al fuoco, al fuoco!». Altre grida rispondono e vedo tutte le finestre spalancarsi di botto, gli usci come abbandonarsi via ad una ventata furibonda e uomini, uomini saltare, rincorrersi, gesticolare, cantare una canzone disperata, senza ritmo né metro, sulle parole: «Al fuoco, al fuoco!». Non so che cosa fare, se soccorrere il sotterrato vivo che vuole evadere o gettarmi nell'incendio il quale è ora come un'arsura di mattoni, di tegole e di pareti; dentro una casa è forse rimasto qualcuno, del quale non sento la voce, ma certo vuol fuggire a forza, da uno spiraglio di finestra, da un buco aperto nel muro. I cani abbaiano furiosi e i galli cantano come se debba sopraggiungere un'alba infuocata; i cavalli si staccano dalle carrozze, fuggono dalle stalle; nel vecchio Circo, le scimmie si imprimono nelle sbarre delle gabbie e cigolano e mordono; c'è un gatto impazzito nella strada, che vede topi mostruosi fuggire dappertutto e li insegue e non ne afferra uno. Ad un tratto volgo lo sguardo alla finestra e vedo l'incendio, tutto l'incendio, che si strappa dalle case e sale nell'aria, immenso, puro, incontaminato, senza frangie di giardini, senza moncherini di uomini, senza corazze di ferro, di viali e di negozi. Solo, nell'aria e sparisce, chissà dove. E aspetto, e aspetto e nulla si compie ancora e viaggio nella camera, da un angolo all'altro, da un mobile ad un altro lontanissimo, intorno alla tavola apparecchiata e deserta. Bussano, giù nella strada, bussano. «Aprite, aprite!» Bussano ancora ai portoni delle case vicine e lontane e i colpi si rinnovano, si moltiplicano e sempre la stessa voce di un uomo che debba morire: «Aprite, aprite». Spalanco la finestra, guardo; nessuno. Mi precipito nelle scale, giù a precipizio, batto contro una ringhiera, cado di rimbalzo nel cortile e arrivo al portone: un portone pesante, massiccio, certo, che non cigola e rimane sbarrato. «Chi è che bussa? Che volete?» Nessuna risposta. Torno nella camera e continuo a girovaga_ree ho fame e ho sete: nulla da mangiare, nulla da bere. L'aceto è nella credenza e nei vasi lo sterco liquido dei fiori. Cerco di pensare_alla mia donna, ma non la riconosco più: come è fatta la mia donna? Quale il colore dei capelli? Solo un orrendo costume, per metà da sposa (velo bianco e corona di arancio infissa sulla nuca), per metà da educanda, abito giallo e cappello azzurro pigiato a forza sulla corona: un costume da mendicante che non abbia ove riporre i suoi abiti antichi. Penso: che cosa ha mangiato in questi giorni? Che cosa ha bevuto la mia donna? Chi ha guardato e che cosa? Credo, non so perché, abbia un gran valore il cibo ch'el- ~ la ha ingoiato e le si è tramutato in sangue; così come hanno valore i rottami di un'alluvione, i pasti di una voragine, e la materia atroce con la quale il sole compone fantocci di campagne impastate con pezzi di borgate, e cotte e pietrificate. Mi sembra che ella, la mia donna, guardando, soltanto guardando, abbia voluto essere impressionata dalle cose del mondo, come se il mondo abbia avuto una sola fisionomia, da cercare, una linea, un segnale, una curva, fra tutte le cose del mondo; penso che la sua gola ha bevuto, bevuto un'acqua inverosimile, quella che scende dal cielo e raccoglie pezzi di stelle e di uragani e nebbie di polvere, e cade sulla terra e passa attraverso il corpo degli uomini. Ad un tratto mi vien fatto di guardarmi: ho le mani sudicie, non so di che cosa, i piedi stanchi, gli occhi con lacrime pietrificate: un viaggio lungo intorno alle cose di una camera e la via dei passi non finisce mai. Uno dietro l'altro, avanti e indietro: appoggiandomi ad un bastone, continuo a camminare e le scarpe sembra mi si rompano, si sgretolino ... I capelli sulla fronte, il vestito s'è ridotto a sghimbescio, quasi a tracolla sul mio corpo, come un mante/laccio. Ad un tratto cominciano urla forsennate, nella città: sono cento, mille donne che urlano: si avanzano carponi nelle strade deserte, poi si rivoltano sulle spalle puntando mani e talloni, inarcate, deformi, lo sguardo al cielo, avanzano sempre. Con sforzo, afferrate alla terra, le mani fanno buche e sporgenze. , E urlano: è l'urlo che le manda avanti; quando tacciono, si fermano, rovescioni, le spalle un palmo da terra e si addormentano. Perché si riposino, dopo l'urlo, non basta fermarsi, non basta respirare, non basta chiudere gli occhi: necessita un sonno di tre minuti, di cinque minuti, profondo, duro, dal quale non le risveglia che il nuovo urlo, di soprassalto, e avanti, strisciando e poi nuovamente il sonno. Il 28 aprile scorso, nella sede centrale milanese di Montedison - in occasione dell'uscita del volume Energia e Sviluppo. L'industria elettrica italiana e la Società Edison, per la collana Storica Einaudi, Montedison ha indetto un incontro su «Là Storico e l'Impresa». La relazione è stata tenuta da Alfred D. Chandler Jr., docente di Business History presso l'Università Harvard. L'incontro è sta- - to presentato da Mario Schimberni, Presidente della Montedison, dal Senatore Leo Valiani e da Giulio Sapelli, Direttore dell'Associazione di Storia e Studi su~'Impresa. ENERGIAESVIWPPO 'INDUSTRI.EALETTRICIATALIANA L e LASOCIETÀEOtSON Ad ogni urlo, affretto il passo e dico: «Basta, bastai Signore, esse non reggono più. Uccidetele, fate che non si risveglino più». - <'< Ma nella strada continuano ad avanzare, le cento, le mille donne, in quella posizione orribile, le spalle un palmo da terra. «Basta, bastai». La terra trema; da ogni angolo fugge un'ombra, e cado. Penso ancora: «Basta, basta, Signore!» Poi mi addormento, nero di fuliggine, di sudore, lacero, quasi ebete, sul marciapiede di quella camera imménsa, accosto al muro. Non so quanto ho dormito; un uomo mi sveglia bruscamente, mi afferra per le spalle, sputa in terra, mi lascia e mi riafferra, non so se per felicità o per odio e grida: «Tuo figlio è nato». Ho nelle orecchie un fracasso orrendo: uno scoppio. lo gettato da una parte, mia moglie dall'altra, e in mezzo, un piccolo uomo che piange. Ho vergogna dinanzi a lui e quasi paura. La regina dei pargoli della città Marcello Gallian . L a figlia enorme aveva ridotto in povertà le mammelle ' più celebri delle balie del tempo, le quali passeggiava- . no tutto il giorno, dopo l'avvenimento, sotto i colonnati di San Pietro, decadute, secche e polverose. Aveva stanèato le infermiere degli Asili d'infanzia, le guardiane delle case di Maternità, le più sode e nerborute, quelle che scaricano i figli degli sconosciuti dai boccaporti . foderati di seta e sorreggono i dieci neonati uno sopra l'altro, sulla conca delle braccia ed innalzano_;sul petto maestoso, per affetto, il marito con la giacca, il cappello, il bastone e il giornale appena arrivi nella sera (nell'ora in cui le lampade votive delle chiese si staccano dal soffitto e vanno tutte intorno al Bambino dell'altar maggiore, come api). La figlia enorme non era nata nelle case di maternità, fattorie bianche tutte piene di ranocchi appena nati, pronti a scomparire con un piccolo tuffo nelle bagnaruole di latta; nei cameroni ovattati o dentro le enormi culle ancorate nei golfi grigi delle finestre o negli asili d'infanzia, dove trapezi e sbarre e cerchi e altalene, che sono nelle gabbie delle scimmie e degli uccelli, servono a far divertire i neonati. I due vecchi genitori erano bassi, indecisi e trasparenti; andavano sempre insieme da tempo immemorabile, come un numero di circo: se li avessero divisi, non si sarebbero più ritrovati. Lei con un cappellino patito ed un paralume da sole, tutto merletti e fronzoli, l'altro, sempre vestito di '}ero, le scarpe ammusonite. Con il cappellino, il paralume LOSTUDIODEL PASSATOÈ LAFONTE DELPRESENTE La presenza di Alfred D. Chandler Jr., per Montedison Progetto Cultura, sottolinea la rilevanza e il senso storico della realizzazione e della pubblicazione del primo lavoro di ricerca compiuto sugli archivi Montedison, alla riscoperta delle radici Edison del Gruppo. Con Strategia e.Struttura Alfred D. Chandler Jr. si impose all'attenzione come studioso «rivoluzionario» della storia contemporanea del capitalismo e delle sue strutture imprenditoriali. Si deve a lui l'interpretazione - oggi considerata classica - dello sviluppo della struttura organizzativa come risultato dello sviluppo della «strategia>>a, ttraverso l'alternarsi di fasi storiche di espansione delle risorse e di razionalizzazione del loro uso. E si deve a lui l'aver capitalizzato e svolto creativamente i contributi di J.K. Galbraith, E.S. Mason, W.J. Baumol, E.T. Penrose e d'altri, nella sua opera La Mano Visibile, il cui tema - sono parole dello stesso Chandler - è che «la moderna business enterprise ha preso il posto di meccanismi di mercato nel coordinamento delle attività dell'economia e nell'allocazione delle sue risorse. In molti settori dell'economia la mano visibile del management ha sostituito ciò cui Adam Smith si riferiva col concetto di mano invisibile delle forze di mercato». Alfred D. Chandler Jr.. è attualmente «Isidor Straus Professor of Business History» all'Università Harvard, della quale è membro fin dal 1970. Prima di passare alla Harvard Business School, Chandler aveva insegnato al Mite al Department of History della John Hopkins University. Oggi Chandler sta lavorando alla stesura definitiva di una importante comparazione internazionale sulle mod_alitàdello sviluppo della grande impresa negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania, Francia e Giappone, con l'obiettivo di pervenire a una teoria generale dello sviluppo dei fattori manageriali che stanno alla base del successo della dimensione grande rispetto a quella piccola nello sviluppo dei fattori produttivi. Einaudi e Montedison presentano Energia e Sviluppo. L'industria elettrica italiana e la Società Edison. ILvolume è il frutto dell'incontro tra la volontà culturale dell'Azienda e il prezioso lavoro di ricerca e di studio dell'Assi, Associazione di Storia e Studi sulL' Impresa. Nucleo _centraledi Energia e Svituppo è il saggio di Claudio Pavese sulla Edison. Intorno ad esso ruotano i Lavori di Bruno Bezza sugli investimenti elettrici italiani in Argentina, di Luciano Segreto e di Peter Hertner sui capitali svizzeri e tedeschi impiegati nel settore elettrico in Italia, e di Renato Giannetti sulle caratteristiche tecnologich~ e produttive dei diversi sistemi elettrici regionali. E La storia di «una sfida continua scrive Giulio Sapelli nell'introduzione al volume, di una continua ricerca che si dipana tra vincoli ferrei ma anche tra opportunità e pratiche sociali e culturali. le élites industriali possono lasciar cadere e non intendere simili opportunità, oppure coglierle e perseguirle, assolvendo così appieno al proprio ruolo imprenditoriale». «È difficile immaginare una trasformazione e uno sviluppo delle capacità di governo e di controllo, senza una nuova stagione intellettuale». Così il testo di presentazione al volume Energia e Sviluppo. E continua: «Tanto più in un momento in cui i grandi mutamenti in atto pongono in evidenza la necessità di concepire l'attività imprenditoriale nel contesto di siste:_mintegrati, aperti nei confronti dell'ambiente· esterno». E chiaro il riferimento alla filosofia manageriale· che sta guidando oggi il Gruppo Montedison, che dà l'impronta di sfida continua alle frontiere dell'innovazione. «La disciplina storica ha riservato di recente, anche nel nostro Paese, una attenzione nuova verso il sistema di interrelazioni che esiste tra le varie forme della direzione e della proprietà d'impresa e lo sviluppo più generale della società». Ma questo spiega pienamente il serio e approfondito interesse della Montedison per la propria storia: «Lo studio della esperienza storica dell'impresa può essere una delle condizioni atte a consentire alla direzione manageriale di meglio definire la propria missione, di conoscere e di simulare i comportamenti del passato nella prospettiva futura, di accrescere la propria capacità di governo nelle relazioni tra impresa e ambiente. Questo, tanto più oggi, quando nel nostro Paese tende a diminuire quella identificazione tra proprietà e controllo che per lungo tempo ha contrassegnato i caratteri costitutivi del nostro sistema industriale». L'apertura degli arçhivi Montedison agli studiosi è dunque più che un segnale. E la viva testimonianza di un'impresa fortemente innovatrice che, lungi dal mettere una pietra sul passato, ne vuole cogliere ammaestramenti e linee generative. ~ s::: (:I ~ ..C) $ 1----------------------------------------------------------------------------''3

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