. Anceschi, CC! 1 m~èlapoesia Luciano Anceschi Che cosa è la poesia Bologna, Zanichelli, 1986 pp. 182, lire 16.000 11 volume raccoglie le lezioni . dell'ultimo corso universitario (1980-1981) di Anceschi ecostltmsce il più recente sguardo speculativo rivolto all'oggetto centrale della sua lunga ricerca: la poesia. Anceschi non intende qui rispondere in modo assoluto alla domanda in questione, ma analizzare il senso del suo porsi e le tipologie delle risposte storicamente date. Queste riguardano poeti, scienziati, filosofi: per i primi (esemplati su Leopardi, Valéry, Marinetti, Orazio) la domanda «cosa è» tende a rovesciarsi in «come si fa» e a svilupparsi conseguentemente in un piano pragmatico e anche précettistico e normativo; nel settore scientifico Anceschi prende in esame la linguistica e la psicoanalisi, in particolare Jakobson e Maria Bonaparte, con le rispettive univoche risoluzioni della domanda nella propria ottica disciplinare; il filosofo sistematico (qui Hegel e Croce) curva la sua risposta verso la collocazione della poesia nella vita dello spirito, o comunque nell'insieme del suo sistema. Rilevata la reciproca irriducibilità delle risposte, la soluzione di Anceschi non sarà naturalmente una nuova risposta, ma la consapevolezza della comprensione delle precedenti posizioni nella sistematicità, dove è possibile leggere nella relazione di autonomia e conflittualità le diverse funzioni delle risposte esaminate. Una soluzione insoddisfacente? Decisamente.no. Il rifiuto di una risposta univoca alla domanda non vuol dire scetticismo nei confronti delle risposte, ma presa di coscienza della loro inesauribilità. È necessaria allora la scelta che si deve operare a seconda di una determinata prospettiva e interpretazione delle cose, ma senza l'arroganza di una impossibile soluzione ultima. Al riguardo l'articolazione del libro tra «lezioni» e «appendici» significa fin nella struttura del testo la dialettica tra sistematicità, inesauribilità e scelte; se nelle «lezioni» preoccupazione centrale è organizzare in una razionalità aperta le irriducibili risposte, superando la loro aporeticità, la riflessione sul desiderio di Cézanne di realizzare qualcosa che «possa diventare trampolino per nuove teorie» ci pone davanti alla coscienza da parte dello stesso artista dell'interminabilità della teoria poetica e della stessa ermeneutica, mentre in Del fare poesia, che sintetizza i lavori di un seminario di poesia, Anceschi è teso a interrogare e sollecitare, in modo maieutico, testi di esordienti nel loro farsi, ipotizzando scelte di campo e di espressioni, individuando una poetica specifica («delle macerie»). Il volume conferma il collaudato metodo fenomenologico di Anceschi, ma presenta anche nuovi accenti e sottolineature in un quadro di fedeltà. Se si fa il gioco dell'indice dei Nomi, si può osservare che nell'ultimo tempo della speculazione di Anceschi - sostanzialmente gli ultimi dieci anni, che comprendono anche l'altro volume teorico Il caos, il metodo (Napoli, Tempi moderni, 1981) - accanto ai consueti interlocutori (Banfi, Croce, Husserl, Leopardi, Pound, Eliot, Valéry) le frequenze più rilevanti riguardano nomi come Adorno, Jakobson, Montaigne e soprattutto Nietzsche, precedentemente citato in modo assai parco. L'attenzione prestata ad Adorno e Jakobson ci illustra il continuo bisogno di confronto con altre posizioni centrali nella situazione (nel vocabolario anceschiano) degli ultimi tempi, sia con opportuni «furti» (Anceschi maneggia e reinterpreta alcuni concetti adorniani quali la perdita di ovvietà dell'opera d'arte e il carattere di enigma) sia con serrate discussioni-contestazioni, in particolare contro lo scientismo della linguistica. 11 richiamo ai «classici», e a quei classici (a cui si aggiunge Goethe in questo libro), è inteso a rilevare - come non mai in Anceschi - l'esigenza di una «gaia scienza», di un sapere strettamente coniugato con la vita, con il suo continuum di movimento. E la figura di Socrate che appare più volte nel corso del volume emblematizza la forma del pensiero e del concetto vissuto come «idea limite»: «Egli voleva un pensiero che non temesse la vita ... Il concetto come un modo di consapevolezza per raggiungere uno stato in cui la vita si faccia più vita». E a correggere quello che può essere equivocato come un vitalismo integrale: «Un Socrate che ha bisogno continuamente della vita, ma che non vuole esserne sommerso». È la fiducia verso il metodo scritto con la minuscola, cioè in una ragione solo operativa e criticamente vissuta, ma che si integri morbidamente nella vita. Così, ad esempio, la nozione di crisi e di morte dell'arte non sarà vista dai consueti sguardi dell'apocalisse, ma come un fattore costitutivo dell'aspetto di «fenice», per così dire, della poesia moderna, caduta l'ovvietà del suo porsi. Corpus d'Opera (1981) La fedeltà alla vita vuol dire anche fedeltà o ritorno alle cose, ovvero al testo dei poeti, alla loro esperienza vissuta, alle loro poetiche. Prima di qualsiasi discorso è essenziale seguire la poesia nel suo vivere «nel coglierla proprio al momento del suo nascere, del suo formarsi». Il rapporto estetica-poetiche è il perno essenziale del discorso che vuole essere dentro le cose, seguendole e sollecitandole (come l'Anceschi militante con ermetismo, Linea lombarda e avanguardie), senza prevaricazione. E per questa via che si può assolvere la necessità di vita del pensiero, riservando all'estetica un compito di organizzazione a posteriori, di mappa guidata e problematizzante tra le poetiche storicamente date. A rafforzare l'immagine di un pensiero aperto che segue e organizza le cose, Anceschi ha elaborato una precisa strategia di scrittura che - se pur sempre utilizzata - raggiunge in questo libro una sorta di autocoscienza ed esibizione. In particolare Anceschi sottolinea il senso e l'intreccio di citazione e ripetizione, così frequente nel volume (solo occasionalmente motivato dalla destinazione universitaria) e in genere nella storia della pagina anceschiana. «La citazione, da un lato, dà precisione al discorso, evita che si faccia vago, dall'altro è inevitabile in un modo della ricerca che fa molto conto dell'esperienza, come nutrimento continuo della ricerca stessa», non diversamente «la ripetizione appare come la figura inevitabile di ciò che, in tutto il variare del suo movimento, diciamo "sistematicità"». La necessità di una scrittura che sia un giro continuamente avvolto alle cose, in modo quasi pluriprospettico, con ritorni ' e variazioni, porta infine alla strenua difesa del saggismo, non tanto come genere, ma soprattutto come modulo dell'intervento critico, in quanto «il saggio appare sempre capace di farsi sollecitare dalle cose che vivono, capace di rispondere al bisogno di orientamento di chi, con le cose vuol vivere nella loro fertile instabilità e imprevedibilità - e anche pronto a ricominciare sempre da capo». In limine al libro Anceschi scrive: «In esso si parla sì, propriamente di estetica, di poetica, di istituzioni letterarie, e solo di estetica, di poetica, e di istituzioni letterarie, ma proprio nel parlare solo di ciò, si parla continuamente di altro». Le frequenti ribellioni in questo libro alle diverse volontà di neosistema emergenti nel pensiero contemporaneo, l'acuta coscienza dell'equivocità e desemantizzazione del linguaggio, nel rischio del precipizio nel labirinto, nel caos, sono spie di un intimo disagio e quasi difficoltà a operare in spazi che sembrano più chiudersi che aprirsi. Non va dimenticato che la coscienza di un soffice e insinuante quanto discreto buio è lo sfondo di un libro tutto giocato in piena luce, in straziato entusiasmo, in pervicace e cocciuta esibizione di una ricca storia, di una antica resistenza. Alla fine della lettura non solo c'è nutrimento per quanto qui confermato e appreso da un'altra lezione di «umanesimo critico», ma anche ammirazione e commozione verso chi nel nostro tempo ha tanto amato, servito e stimolato la poesia e ci ha così efficacemente e ostinatamente ripetuto la sua forza conoscitiva e il suo incessante piacere.
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