della realtà tracciata da Marx. Il quale, come si sa, dovette necessariamente parlare di morte nel senso di un dato che accompagnava le vicende del capitalismo, dalle sue origini ai trionfi ottocenteschi, di un prodotto delle condizioni di vita imposte alle classi subalterne, caratterizzato da malattie, da incidenti, da suicidi; ma si trattava della denuncia di esistenze spezzate, di morti premature, non di una riflessione sulla morte in generale o, il che è lo stesso, sul senso della vita: poiché, come notava il marxista Adam Schaff, «la morte resta il principale stimolo a meditare sul senso della vita». Quel poco che si può trovare nelle opere di Marx è in sostanza connesso con la differenza tra il singolo individuo, mortale, e il genere o la specie che continuano a vivere; il resto è debole congettura o ricognizione dei sentimenti di Marx davanti alla morte delle persone amate. che un tempo bisognava pur indicare ad esempio,· contraddicendo vistosamente il marxismo «scientifico». Rimane solo la morte assurda, alla Sartre che poi, per usare i versi di Rilke, «Della morte sapeva quel che sa / ogni vivente: che ci afferra e spinge / nella tenebra muta, e non ci rende». E, aggiungerei, rimane anche il puntiglioso, timorato, disinteresse degli epigoni. Fabio Giovannini La morte rossa I marxisti e la morte Bari, Dedalo, 1984 pp. 117, lire 7.000 Mito e romanzo Paulo Barone È possibile circoscrivere un ambito ove due istanze, Mito e Romanzo, possano interagire e manifestare eventuali punti di reciproco contatto? L'affermatività della risposta è possibile solo se in via preliminare si stabiliscano il modo e il dove della convergenza; soltanto dopo o durante un attento e meticoloso lavoro di scandaglio critico. Così Rocco Carbone, all'interno della propria analisi sulla coppia mito/romanzo, chiarifica il suo punto prospettico: il dove è il camLa mativa. Le conseguenze negative di tale tendenza si fanno sentire su almeno due fronti: da un lato abbiamo infatti una deformazione autoritaria del testo - mito come nucleo referenziale stabile e nobile rispetto alle «parti» transitorie e caduche-, dall'altro rischiamo di veder vanificata e incadaverita la ricerca semiotica per assenza di rigore metodologico. Partendo da un attento esame degli scritti degli autori succitati, il Carbone va a configurare tre punti suscettibili di riflessione: a) mito e romanzo danno vita a una coappartenenza reciproca, entrambi cioè giocano su un terreno semiotico-narratologico che, se percorso con coerenza, si apre, inve.çe di ripiegare in un se-stesso specialistico. b) non è invero possibile situare mito e romanzo su una nitida linea genetica in modo tale che dal primo si giunga per filiazione al secondo. c) al contrario, quando evidentemente si ha l'accortezza di coglierla, sbuca continuamente tra le mani la nozione di complessità, quale termine necessario che tenga conto dell'assenza di un criterio totalizzante e risolutorio di ogni contraddizione, e della presenza di mutazioni, trasformazioni, lavorii interni plurivoci, cambi repentini di velocità. Così intesa l'idea di complessità va a rendere ragione di quel limite estremo dello spazio letterario Così anche l'Autore de La morte rossa non può che ripercorrere, invero brevemente, questo itinerario per passare alle posizioni dei tre filosofi che in diverso modo si sono tra l'altro occupati del problema della morte: Bloch, Lukacs e Sartre. Del primo sono esposte le idee fondamentali: la morte come anti-utopia totale; la speranza che per l'umanità futura, liberata dalle presenti condizioni di alienazione, muti il modo stesso di porre la questione; una sorta di «immortalità» del singolo attraverso la sua identificazione con la militanza rivoluzionaria. Forse sarebbe stato opportuno sottolineare che la riflessione sulla morte non è certo un luogo centrale del pensiero di Bloch, né il più attentamente meditato, e che il filosofo di Ludwigshafen fu comunque un'eccezione sgradita tanto alla cultura dei marxisti al potere (DDR e dintorni) quanto a quella dei marxisti occidentali; perciò ignorato o frettolosamente liquidato con giudizi risibili, frutto di letture di sconcertante superficialità. Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale in questo numero: Di Sartre è detto l'essenziale e cioè la morte come assurdità totale, evento così radicalmente estraneo da potere essere al limite persino ignorato; a una conclusione simile arriva per altre vie anche Lukacs: la morte è un fenomeno naturale che in quanto tale non ha alcun senso ed è semmai all'interno del sociale che può assumerne uno. Ma tra Sartre che marxista non era - ricordate il primo capiOdori e colori Misurare con i sensi Ricettario italiano: il salmone La festa dell'epifania Filtri à'amore 16 pagine di Berealto Mangiare in caserma 56 pagine a colori, Lire 5.000 Abbonamento per un anno (11 numeri) Lire 50.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa tolo delle Questioni di metodo? - po della semiosi (nel suo senso più e il filosofo ungherese vi è una dif- estensivo), il modo ( cioè il caratferenza molto marcata, appena tere metodologico) è quello della sfiorata nel libro di Giovannini: narratologia, che bene può conteche il primo, in sostanza, della nere e ripensare i rischi riduzionimorte parlava indicandone il peso stici e forse, talvolta, semplificatosulla vita, mentre il secondo av- ri della ricerca linguistica. L'autovertiva che fissare l'attenzione sul- re, nell'impianto e nello snodarsi la morte era proprio dei momenti del saggio, sembra voler riechegin cui maggiore era l'influenza del- giare una posizione a metà tra l'alienazione. Così autorevolmen- neo-kantismo e fenomenologia: te esorcizzata la morte ritornava tentativo del rispetto delle condiad essere argomento da non tocca- zioni che si sono riconosciute indire, abbandonato ad altre correnti spensabili alla validazione della ridi pensiero leste a muovere, pro- cerca, con l'intento tuttavia di arprio a causa di ciò, l'accusa di su- rivare alla «cosa-stessa». Ed è pro-· perficialità, piattezza, incapacità a prio la nozione di mito (all'interno misurarsi con un problema radica- del binomio mito/romanzo) a nele; senza contare la maligna osser- cessitare maggiormente di una covazione che in questa programma- stante riformulazione critica che la ta distrazione non vi è alcuna dif- preservi dal mero rappresentare ferenza rispetto alle ideologie (e un ricettacolo mille-usi di tutto ciò alle pratiche) più manifestamente che non sia immediatamente «antropologicamente denso» (come lo definisce il Carbone), in cui il mito si rivela quale principio di complicazione, ovvero impulso e messa in movimento degli assetti stabili e statici. t::: tese a non disturbare il buon anda- «chiaro e distinto». Certo, questo limite antropologicamente denso dove il mito dimora non può essere definito che per sottrazione negativa (né questo né quello), o per concetti «federativi», di associazione (polimorfia, plurivocità, pluritemporalità). Ma proprio il darsi per sottrazione e per complessità richiede uno sforzo di immaginazione e di essenzialità: poiché se, a questo livello, si parla di una zona estrema, è soltanto attraverso un pensare estremo che si può tentare di introdurvicisi e non certamente ~razie a un sapere iper-competente, specifico e cristallizzato che troppo spesso ha prodotto mitologie in luogo del mito. Ma un pensare che nasce estremo è forse proprio quello che contiene già in sé sottrazione e complessità, ovvero le caratteristiche precipue, fondamentali, irriducibili del mito. .s mento degli affari. Sia nel secolo XIX, dove pur si ~ Il resto del libro è una rassegna assesta un 'autonoma «scienza del ~ delle modalità concrete con le mito» (Buttmann. Creuzer. Ba- ~ quali la morte è, per forza di cose, chofen). che nelle ricerche poste- ...., inserita nel sociale: la celebrazio- riori dipanatesi dal nodo eteroge- .t ne dei caduti per la causa, gli elogi neo costituito da Lévi-Strauss e ~ funebri dei militanti scomparsi, le Propp sino alle recenti propaggini 5 immagini che emergono dai canti rappresentate. per esempio. dalla Rocco Carbone s::: di lotta e dalle lettere dei condan- Kristeva e da Segre. assistiamo (ci Mito/Romanzo, semiotica ;§; Cfr. Mostre d'arte Gino De Dominicis Marco Meneguzzo Verificare l'esistenza di «cose» vere e proprie, e non la verifica della possibilità di esistenza delle cose, è stato il punto di partenza di Gino De Dominicis, all'alba degli anni settanta: iniziava. così quel suo continuo gioco di spazzamento che, in questo caso, partiva da assunti puramente concettuali per arrivare a «dichiarare» (non a costruire) l'esistenza delle cose stesse. Dichiarare cioè la propria ricerca dell'assoluto - «soluzione di immortalità», la chiamava Celant, mentre Bonito Oliva parlava di «apologia del limite»-, equivaleva a rinvenire, o a costringere a rinvenire in quelle opere l'assoluto dichiarato, per via di dogma e non per via di dimostrazione. L'effimero con cui l'artista occupava gli spazi - un oggetto, per lui, era soltanto l'impossibilità per un altro oggetto di occupare quello stesso spazio - diventava, grazie a questo spiazzamento logocentrico, la ricerca del sublime. Oggi, De Dominicis dipinge dei quadri, e un automatismo pavloviano spinge a guardarli cercandovi un'eco della famosa provocazione del mongoloide esposto alla Biennale: una simile traslazione concettuale gli darebbe ragione, ma troppi anni di pittura hanno mitigato sin quasi a cancellarlo, il senso dell'arte come dichiarazione d'intenti. Ecco allora che di fronte a questi quadri ci si sente quasi orfani dei concetto e si tenta in tutti i modi di sfuggire alla flagranza dell'opera, quell'opera che ci si accorge essere muta: il modo più semplice essendo quello di spostare l'attenzione sulla marginalità, sulla figura dell'artista o sulla sua strategia presente nei confronti del sistema di scambio dell'arte. Ma questo è troppo poco interessante. Nell'opera di De Dominicis esiste di fatto un nucleo che esula dalla contingenza programmata, qualcosa che aleggia e che non è soltanto un portato del logocentrismo concettuale di cui si parlava dianzi, ed è l'intrinseca e dichiarata volgarità del suo lavoro. Quasi che parlar di volgarità fosse proibito, in tempi di concettuale, per una ancor malintesa concezione dell'idea, che la voleva «alta_» e, appunto, concettosa, la volgarità dell'idea e dell'opera conseguente costituisce invece la novità e quel «limite» cui De Dominicis vuole avvicinarsi. È più di uno sberleffo, non è ironia né scherzo, ma un gettarsi via e violentare l'arte, più di quanto non abbia fatto Piero Manzoni ~he sbeffeggiava l'oggetto per salvare il concetto: il limite cui vuol giungere De Dominicis poteva essere la distruzione reale del concetto di arte (e non la sua apparente negazione attraverso l'ironia), ma oggi dipinge dei quadri... È l'ultimo spiazzamento, giocato su più livelli: quello elementare della non appartenenza ad alcuna etichetta pittorica, e quello più profondo e distruttivo della propria scommessa «contro» la pittura. La sfida mortale è tra l'incursore anomalo e 'imprevedibile (ma un'ulteriore produzione di quadri potrebbe essere esiziale) e la capacità «cronia», cannibalesca e onnivora della disciplina. Herman Bang La casabianca. La casagrigia Un maestro eterodosso del decadentismo nordico. •Narrativa• Pagine 214, lire 21.000 Ramon J. Sender L'attesa di MosénMillan Illustrazioni di Andrea Musso Spagna I937. Un'attesa metafisica nel dramma della storia. "Narrativa• Pagine 128, lire 14.000 Franco Rodano Lezionidi storia "possibile" Nella storia con la forza dell'utopia. • Saggistica • Pagine 176, lire 23.000 Saverio Vertone L'ordine regna a Babele Questa Italia in un'altra interpretazione. • Saggistica • Pagine 176, lire 23.000 Italo Mancini Filosofiadella religione Il testo fondamentale di un maestro contemporaneo. •Filosofia• Pagine 396, lire 35.000 Reinhart Kosellek Futuro passato Il rapporto variabile e creativo del passato con il futuro. I contributi fondamentali. • Filosofia • Pagine 328, lire 43.500 M. Ravera, T. Griffero, F. Vercellone, M. Ferraris Il pensieroermeneutico. Testi e materiali Presentazione di Gianni Vattimo Il pan·orama storico dell' ermeneutica. Uno strumento unico. •Minima~ Pagine 320, lire 24.500 Origene Commento alla Lettera ai Romani - II La fonte della tradizione patristica e medievale. • Ascolta,/mule • Pagine 244, lire 41.000 Arthur John Arberry Introduzione alla misticadell'Islam Il sapere antico e multiforme del Sufismo. nati. Ma, avverte l'Autore, lo sce- dice il Carbone) al pericolo di una dél mito e narratologia s:: nario è mutato, almeno per quel «oggettivazione» del mito: alla sua Roma. Bulzoni. 1986 Gino De Dominicis «Daba,. ] che riguarda l'Occidente, e non vi mummificazione in una unità da- pp. 152. lire 11.000 Galleria Emilio Mazzoli, Modena Pagine 144 • lire 18 • 000 i Lè~p_i_ù__b·s__1o_:g_n_o_d __ei__ :_m:.:_o _d___e1_ 1i_e_ro_i_c_i J_t_a.._:_,_t:.::a:.:.n .t.o.~r--i~g1 .·.d..a..:._:q~u~a~n~to~a~p~p~r-=o~ss:_:i_-_J _______ _ _ __ _J_ __ M=.us.._e.o_~d..i._._C_a:::_p=.o::_d __i:.:_m:.:_o::_n:.:_t ..e~. .,.N.._a: :_p=.o::_l:.:_i_j_~!D!i!s 1!rib u!z on!e!P!.o!.!E.!, D~I!F~.E~D~. (~R~om~•~)~~
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