Traduzione contemporanea Inna Lisnjanskaja [Alfabeta 90] Giorni Perché appoggiato alla soglia, Per due o tre ore gli stivali Lustra con un panno di camoscio Taciturno il vicino di casa? Perché nell'inferno coabitativo Dò uno sguardo a destra, un'occhiata a sinistra: Ogni cosa si regge sull'acqua, la città e il potere, E la mia vita è soltanto un transito, E io ho ormai raggiunto la mia meta. Non ho bisogno dell'ultimo addio, Non leggerò tristezza negli occhi di nessuno, Non è ancora sera, ma non è già più mattina. Pioggia al tramonto. E sinceramente . Sarebbe ora di essere o di non essere, ma con saggezza, Come quel mollusco nella casa di madreperla, O l'ape nella sua bara di ambra. Oppure fare come gli ottimisti, Dove tutte le nostre nenie abbiamo cantato Il pappagallo urla Il titolo dell'organo ufficiale? Non ho bisogno neanche di un minuto di silenzio, Il mio silenzio da sola terrò. Non vedere quanto quest'ora sia violenta, Non sentire frequenze e intermittenze, Perché l'ottuso amministratore, Ha messo la sveglia sulle otto E l'ha nascosta poi nel frigorifero E perché non tacere?! Ho parlato così a lungo, E sempre a vuoto, sempre fuori luogo ... Di parole fiorirà la mia tomba, Per impiccarsi dentro l'armadio a muro? Ma infestanti come erbacce in un giardino. Come sogni si spengono i giorni, Ma regna un ordine crudele Anche nella loro follia, Anche nella loro ineluttabilità. 1972 E tu solo accompagna col canto il mio addio, Fratello, usignolo di campagna. Sta sull'acqua ogni cosa e dalla vita Non ho bisogno neppure delle sue tre candele. Là, dove i giorni vestono alla rovescia, L'archivio C'è un teatrino, laggiù, nelle viscere a specchio, Abita tutto ciò che popolo si chiama. Davvero di tutta questa sarabanda mondiale Dell'amore eterno e di tutti i travagli Con maschere squamose di caolino Balla il suo girotondo quotidiano; Dimentico dei suoi tratti reali, Mostra la maschera invece del volto. Nei sotterranei corridoi della stazione, La fissa luce ha bagliori di ghiaccio; Resterà sulle mani adunche dell'epoca Soltanto questa pila di carte su tre strati? Versi dei quali non mi hanno pagato, Conti per cui pagherò puntualmente ... E lettere che mi presero alla gola: Non con un nastro, ma con la fiamma le fermerò. All'uscita è in agguato una muta di ombre canine. Tutte le maschere ridono dietro a me Perché ho il viso scoperto: ecco il grottesco! Vaneggio inutilmente elegante Lungo l'interminabile steccato. Primo stadio dell'angoscia, E così rimarrò aggrappata al palo di un lampione Perché ho paura di attraversare la strada. 1974 Ultimo gradino della malinconia. (dal poema Krug!II cerchio) E lo scialle si trascina nel fossato, Raccoglie erba secca e tenebra, A Vasilij Aksjonov Vivo rimpiangendo i miei coetanei, Con il sorriso pronto per l'addio, E il tempo va, fatto di mediocri Costrutti di gerundio. Confinando in Oriente il verbo russo O scacciandolo in Occidente, Ed io non ho più voglia di piangere E non saprei su cosa e nemmeno per chi. Tutto ciò che doleva ha finito di soffrire, Si è raffreddato sotto la spalla sinistra. La preghiera anche lei si è dileguata, E poi chi mai pregare e di che cosa? Sputando sul futuro, come idiota sul soffitto, Riducendo in cenere il passato. Il passato mi soffia sul collo, Che soffi pure - io non mi volterò, E se mai mi sfiorasse, allora pazza, Anzi morta, mi fingerò. Anche l'aria di Mosca si scinde in Est e Ovest Ed io piango, ormai senza sapere Dov'è la foglia di betulla e dove l'ordine d'arresto, Dov'è lo scritto e dove il foglio di via. La finestra si veste d'una ghirlanda d'abete E di un cilicio contro la pioggia Affoga nel foglioso diluvio d'ottobre, Ogni cosa si spacca in due correnti. Forse anche te dovrò accompagnare Col mio sorriso di pietra? Lo specchio nell'acqua: sulla poesia di lnna Lisnjanskaja « La frangia nera, simile ad una pioggerella di settembre», i capelli pettinati come li portavano Anna Achmatova e Marina Cvetaeva, il passo lento, lungo i sentieri fangosi della campagna moscovita: è Inna Lisnjanskaja, l'erede (si potrebbe dire senza esagerare) delle due massime rappresentanti della poesia russa. In patria nessuno la conosce, nessuno parla di lei: è una presenza scomoda per chi ama le semplificazioni tematiche e gli uggiosi percorsi a senso unico della letteratura più conformista; deve accontentarsi delle paginette sbiadite del samizdat, la letteratura underground, che scorre come un fiume sotterraneo ed invisibile sotto le grandiose impalcature innalzate in superficie. Descrivere la poesia di Inna Lisnjanskaja è difficile, poiché raggiunge lo splendore di una sofferenza così acuta che solo le sue parole sembrano capaci di testimoniarla: non è l'angoscia (propria del Novecento), ma un dolore leggero e sottile, da cui viene quel senso di lontananza e di ineluttabilità che si può provare leggendo i suoi versi. È il diario di una vita privata, appena velata dalle vicende che incrinano e sconvolgono gli anni recenti. Dalle lacrime, dai tentativi di gioia e di fuga, traspare come in filigrana la desolata E non chiede mai nulla Entrando nelle mie proprietà, 1980 Ma guarda con occhi di paradiso all'inferno E a questo _ordinarioquadernetto In cui pur senza giocare Io ho trovato ugualmente come perdere. demonìa di un mondo estraneo, tutto soprusi e finzioni che mettono a nudo la nostra fragilità, il senso di morte che vegeta dentro di noi. Luci serali, offuscate da nubi; nebbie bagnate su corrosi paesaggi autunnali, muti, ingialliti, battuti dal vento nella silenziosa attesa delle prime nevi, chiamate ad addolcire i contorni, a portare un po' di pace. Allo stesso modo la poetessa sembra invocare la morte, l'unica che potrà dare, finalmente, asilo ai suoi poveri versi vagabondi. Si tratta di una poesia senza tempo quanto basta per dire no alla storia umana, che si rifrange in un ambiguo gioco di acque, di piogge, di specchi e di vetri scuri alle finestre. E i protagonisti della storia, gli uomini, si riducono ad ombre o a riflessi, privi di consistenza reale: larve febbrili, senza volontà propria e senza morale. Quando si ritrovano con altri loro simili, «in pubblico» formano un brulichio di personaggi senza volto e senza meta, che vagano come talpe nei sotterranei del metrò, accecati dalle «corone a neon», controllati ed incalzati da segugi ansimanti; quando sono soli, «nel privato», si affacciano alle finestre delle poesie come feticci, privi di una «prima persona», incapaci di qualsiasi reale rapporto con la «seconda persona»: l'inquilino della porta accanto resta per ore sulla soglia di casa a lucidare in silenzio gli stivali; due amici, spiati da una finestra del palazzo di fronte, si fissano annoiati, uniti solo da una bottiglia di vodka, senza nulla da dirsi, impauriti ... Alla stazione un treno è sempre pronto a partire «per la tundra, dove ci sono le tane di lupo ... » A volte qualcuno di loro salta la finestra e si tuffa nel vuoto a raggiungere «la città e la primavera»: nella fredda e silenziosa torre di quindici piani in cui vivono rinchiusi non ci sono scale e le sue pareti si fanno sempre più strette ... Il~uicidio diventa la sola ribellione possibile, ma anche questa consumata in solitudine, «dentro all'armadio a muro» per non far rumore. Soltanto un personaggio inizialmente sembra sottrarsi a questa cupa tendenza verso il precipizio e la dissoluzione: il éudàk, lo stravagante, l'emarginato, l'Ivan della tradizione popolare; invece anch'egli incapperà nelle inesorabili leggi che non risparmiano nessuno, come il fuochista della chiesetta di campagna che «aiieviava la sua vita disadorna con versi I in cui gli allori si univano alle spine, le caldaie alle campane», viveva felice, «poeta immerso nel carbone fino al collo», senza chiedere riconoscimenti ufficiali, «[dividendo] i suoi giovani sentimenti tra il russo stormire dei querceti e i giorni di servizio»; presto però anche lui finirà a vagare di città in città, perMa raffrontare a un bagliore d'ametista Il bagliore della pioggia e viceversa. A che ci serve sapere che è vivo Geremia E che è disgustosa l'aritmia Nel Tempo, nello Spazio ed in quel nodo Dove i flussi del sangue si riuniscono? A che ci serve sapere che cosa accadrà sulla terra! E perché poi conoscere quel che è stato? 1980 Perché mai stuzzicare la tomba della memoria! Laggiù sotto una crosta ce n'è un'altra e anche una terza... Il non sapere ci dà una forza tale Come nient'altro mai ci potrà dare. 1980 La radio. La vodka fatta in casa. Il fuso. Primi di marzo. Un sobborgo boscoso. Batte come un profetico richiamo La neve bagnata alla finestra. 1975 Marta, Maria, Lazzaro e la Russia: Siamo in quattro e la Russia è tutta qui. No, c'è anche un quinto: Tommaso il nichilista. Egli è là, nella tenebra nostalgica, Infrangendo la causa russa In esilio eterno relegato. Maria piange, Marta lavora, Lazzaro bestemmia alle spalle di Tommaso. E non per interesse, bensì per cortesia Ascolta le oscure parabole. E colui che parla così oscuramente È qui, ma nascosto nell'aria. E Tommaso ai quattro venti Racconta la sua vita: Lo spazio senza tempo è libertà Ma il tempo senza spazio è una prigione. 1978 Crepita la radio nella notte di marzo Come mai il fuoco crepitò nella stufa, E gocciola la cera dalle palpebre ardenti. .. Russia. Neve bagnata. 1980 seguitato, «invocando nella notte la stanza delle caldaie e il campanile». Per sopravvivere alla torbidezza infernale dell'epoca non restano che l'acqua e la terra, materie ataviche, immutabili, di cui è costituita la Rus' più autentica. Rifugiarsi sott'acqua a cantare il proprio dolore, come in un ancestrale liquido amniotico che attutisca i rumori del mondo esterno, protegga dalla sua violenza, tra le calde acque del mare dell'infanzia (che la poetessa trascorse a Baku, sul mar Caspio) per rivivere anche nel «decrepito autunno» quelle antiche «sensazioni infantili»; o fuggire sottoterra, nell'umido grembo della morte, a respirare la pioggia, a spiare con l'orecchio bagnato i rumori della ".ta altrui. Il linguaggio delle liriche di Inna Lisnjanskaja parla di visioni oniriche, dello sbattere d'ali di angeli notturni, che appaiono improvvisamente riflessi dai vetri o dagli specchi, esprime una religiosità senza riti, attraversa impavido termini come l'estraneità, l'esilio, la deportazione. La quiete è ristabilita solo dal sonno e dalla morte: destino emblematico a tale proposito quello della povera balia Antonina, che trascorre in solitudine tutta una vita dedicata a persone estranee e «in segreto della bella morte I sogna ogni notte», tenendo sempre pronto il «corredo» «per riposare nella cassa di rovere», 1980 (Traduzione di Nadia Caprioglio) come una fidanzata che si appresti al matrimonio. Il personaggio di Antonina è uno dei brandelli, dei pezzi di mondo che affiorano a far da sfondo al profilo di una perdente, nel suo disadattamento, nelle sue insofferenze, nella sua rivolta contro la società in cui vive, possessiva e spietata nel rispetto delle proprie leggi, in cui allignano anche il conformismo e l'intolleranza e che secondo Inna ha il solo obiettivo di spegnere ogni palpito di personalità libera e autonoma. In queste condizioni, dunque, il poeta non può che essere una creatura sgomenta, a disagio, che vive con l'eterno senso di essere braccata, alla ricerca di luce e trasparenza in un mondo che si fa sempre più scuro e opaco. Anche la poesia, l'Armonia, quella che conobbe Blok, «davanti a cui a San Pietroburgo un tempo nelle notti bianche I il secolo faceva tintinnare i suoi speroni d'argento», si è ridotta ad una sciatta vecchia alcolizzata che vive dimenticata da tutti in una lurida stanzetta senza porte; i suoi poveri manufatti non piacciono più a nessuno, ma 1' Ultimo postscriptum si chiude con un'ombra di fiducia proiettata nel futuro: «... Lei risorgerà anche dalla schiuma del vino I e proprio qui, in quest'aria soffocante». Nadia Caprioglio ~ -. I:! .s ~ ~ ~ -. ~ ..t:) E ~ ::. o I;: ~ ~ I:! ~ .e g '------------------------------------------------------------------------------1::s
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