li. Da qui credenze comuni, codici morali, segni-simboli del linguaggio sociale. Il re buono, il vero italiano, la donna nuova, non sono che esempi. Nella cultura occidentale di fine ottocento l'immaginario sociale sulla donna si traduce nell'utopia della donna nuova. Non dobbiamo pensare ad una compatta canalizzazione di energie femminili verso quello scopo: come tutti gli imma~inari sociali, anche la donna nuova fu soprattutto un campo di esperienze concrete dei propri «agenti sociali». E senza fatica immaginiamo nelle donne di allora - entità estremamente composita - la complessità di paure, speranze, attese, rifiuti. 11 tipo ideale della donna nuova rappresenta un'universalità del mutamento improbabile e impossibile, la cui esistenza è inafferrabile se si cerca di rintracciarla nelle realtà sociale. Poiché non ha nette radici sociali, la donna nuova non definisce né classi sociali femminili, né le loro specifiche competenze. Non rimanda quasi mai alla disparità di condizioni sociali del vasto mondo delle donne. È per questo che potremmo definirla come la «forma pura» di una ripartizione. Una ripartizione psicologica in cui sono leggibili, prima di ogni altra cosa, i vizi passati e le virtù presenti dell' «anima femminile». Le donne sono classificate dentro o fuori rispetto alla ripartizione del nuovo e dell'antico. E l'elemento caratteristico più utile a definirle è proprio l'appartenenza al nuovo o all'antico. Troviamo ripartizioni così nette - in senso culturale e temporale - là dove molte scienze allo stato nascente affrontano temi definiti «nuovi». In questi casi la cesura fra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo, fra ciò che è morto e ciò che è vivo, prescinde completamente dall'artificiosità della scansione, e diventa il fondamento di una scienza, di una «nuova» scienza. Ciò accade quando alcuni s0ggetti sociali - nel nostro caso, le donne - escono dai limiti tradizionali di funzioni e di ruoli e appaiono sulla scena sociale con un diverso grado di visibilità pubblica. Intorno al tema «donna» si scontrano ideologie molto differenti. Le quali pur ricorrendo in modo dominante al repertorio di modelli culturali che si riferiscono a quel nuovo statuto che rappi:esenta la donna nuova - non sfuggono alle tentazioni di connivenza con le vecchie ideologie del «femminile». Non deve sorprenderci che il modello culturale della donna nuova oscilli - di primissimi anni del '900 al fascismo - fra la descrizione positivistica del femminile e l'allusione ad un contenuto del femminile nuovo, ma ancora inafferabile. Già allora intorno al tema donna si scontravano ideologie molto differenti. Poi, quando agli osservatori sociali (di entrambi i sessi), i passi della donna nuova nell'area sempre più dilatabile della visibilità sociale, sembrarono troppo veloci e incontrollabili, un nuovo termine venne in soccorso a ristabilire le competenze: differenza sessuale. D alla fine dell'Ottocento - ma è d'uso soprattutto nel- !' entre-deux-guerres - il termine hoministes guida le osservazioni di chi palpita sui pericoli del mutazionismo. Neologismo inventato da Henry de Gourmont, hoministes vuol dire donne maschili. In Italia fu frequente anche l'uso del termine terzo sesso (introdotto da Guglielmo Ferrero) per indicare quell'area marginale e un po' paurosa che comprendeva nubili per volontà o fatalità, donne mascolinizzate, femministe. Molte di queste paure sociali erano probabilmente dettate dal profilarsi di quella che sembrava allora un'imitazione «sessuale» inarrestabile, capace di corrompere la differenza delle caratteristiche fisiche e psichiche fra i sessi. Fino a che punto, fino a che limite? Così si spiega come molte accanite teoriche del femminile - e della sua differenza - si sottraggono inorridite davanti all'indecenza della «virilizzazione», che scovano appostata qui e là, un po' dovunque. Tesi, controtesi, opinioni a favore e disfavore. «Perché suscita ancor sempre un certo effetto la donna che fuma in pubblico? Perché lo fa in maniera vistosa e perché, se l'uomo fuma da un lungo bocchino, essa ne tirerà uno lungo il doppio [... ] Se si fa tagliare i capelli li porterà più corti dei suoi», dice Colette a W. Benjamin che la intervista nel 1927. Lei stessa (che non fa politica e si disinteressa al voto), antesignana mondiale dei capelli corti, sentenzia sotto una frangia corta, fitta e spavalda. Altra sentenza su un tema debole e caduco a guardia dell'indomita differenza sessuale: stessi anni, più o meno, anche Sibilla Aleramo si taglia i capelli. «Nego che le abitudini più disinvolte - dice Aleramo, riferendosi al mascolinismo - siano i sintomi di una degenerazione della specie». Rifiuta, Aleramo, il marchio della «contraffazione sessuale» del femminile, per questi banali mutamenti. Eppure quel gesto, quel modesto «taglio» (di capelli), non resta lì solo per difendersi dalle immodeste colpe di imitazione sessuale. «Si potrebbe - dice Aleramo - proiettare un avvenire in cui uomini e donne, divenuti perfettamente uguali alla vista, dovrebbero, incontrandosi per la prima volta, compiere un atto di divinazione. Un avvenire in cui ciascuno porterebbe il segreto del suo sesso come raddoppiamento del mistero che è racchiuse in ogni individualità». Andirivieni di sentenze, ipotesi, incroci, sincretismi: la differenza femminile si dice, si smentisce, si raddoppia. Sarebbe questo impreciso della differenza - cardine del discorso della differenza - il solo modo per governare la sot'tigliezza, la ripercussione infinita, quindi il suo valore più prezioso? «Y aurait-il alors la bonne et la mauvaise répètition, celle qui reproduit à chaque fois la torce de la révolte et celle qui cherche l'essentiel sans jamais vraiment l'atteindre?» si chiede Geneviève Fraisse osservando le donne del femminismo francese, nel 1830, nel 1848, nel 1880, nel 1900, nel 1914... oggi. Il territorio della teoria della differenza sessuale non è ostinalo a non significare. Soltanto ~ progressivamente - allontana dal suo campo le idee caduche, che si-sì.ip~·- pone rappresentino la «differen_~ za». Prima morali, poi psìc~ic_q~; _:_: .• antropologiche, fisiche. Il ·.raccqn~. •.··;· to della differenza sessuale non'_è·~•·:_• come si è visto, a senso ob'b!ig~tÒ:•:' . : .: .. Può ritornare sui suoi passi_ 'è, tic;·:· ·i· •. cogliere qualche vecchia - idé.a. _·.·>-·. ·,'' Niente lo obbliga a progre-d)'r~/p~_r·:•• • concludersi. • • ·, • Ma allora, dove afferrare ·la dif-:. ferenza sessuale in fuga continua. " • verso il limite della verità? Si può credere che l' «idea» della differenza sessuale goda della comunanza di immaginazione culturale intorno a se stessa. Un' idea-forza, intorno a cui si organizza l'immaginazione collettiva della donne. Sappiamo da Baczko che le ideeforza nel loro procedere estendono le proprie «aureole immaginarie». E guadagnano in ridondanza emozionale. Archivdiellamemoria femminile ,• «Ci6-''avrebbe posto Cassandra neZlasituazione di chi è costretto a separarsi da un'utopia che non ha più valore, d'altro canto senza riuscire a trovare un luogo reale dove vivere». Christa W olf, Premesse a Cassandra, p. 113 V . aie forse la pena di riprovare a chiederci quali cornici disciplinari, quali scenari storico-sociali facciano oggi da sfondo alla copiosa produzione di lavori storiografici, riguardanti le donne, al di là delle ovvie ma non meno legittime istanze tese a renderle visibili, a fare posto alla loro presenza, cultura, capacità di iniziativa e di realizzazione. Non verrà infatti mai detto abbastanza il senso di disagio di fronte a un'assenza così clamorosa, a un misconoscimento così macro-scopico operato dalla cultura occidentale verso le donne in quanto portatrici di sapere e di cultura. Un disagio che si rinnova in ciascuna di noi ogniqualvolta ci volgiamo all'indietro per ritrovare le tracce lasciate dalle nostre simili. Ma, al di là delle denunce, ormai un po' rituali, vorrei piuttosto intervenire su come e cosa si sta facendo per smuovere poderosi sistemi di interdizione che per secoli ci hanno impedito di narrare la nostra - le nostre - storie. Nella diffusa perplessità verso un presente, ma soprattutto verso un futuro fatto di progresso-sviluppo-civiltà, il femminile torna oggi a parlare in noi - a tratti - con voce d'incanto, per condurci negli archivi della memoria, come se il segreto fosse lì, ad ogni pagina di carta ingiallita. Lì il senso decifrabile di una incalcolabile perdita. «Fare storia». Una professione? Se considero la mia attività di storica in termini strumentali, non posso non preoccuparmi dello squilibrio costi-benenefici cui ciò mi ha finora portato. La fatica pionieristica di accingermi a decifrare manoscritti di notai, di esponenti del clero, di ~ilevatori amministrativi settecenteschi. Inoltre: logoranti trascrizioni di interviste alle «vetule» nel dialetto del posto per registrarne la memoria orale. Il tutto compensato da riconosciMariuccia Giacomini menti istituzionali e/o monetari davvero esigui. Direi piuttosto che mi ha spinto su questa strada, nonostante la mia formazione sociologica, un atteggiamento forse non così dissimile da quello provato da Christa Wolf nel guardare con tenerezza le statuette minoiche, nel tentare di interrogarle per ritrovarne l'amore, il senso generoso della vita. Trovandovi poi, invece, la disperazione di Cassandra. ... G li itinerari biografici, formativi, concettuali che hanno contribuito ad infittire la produzione storiografica riguardante le donne sono certamente fra loro molto diversi. Il fatto è che, di contro all'abbondanza delle ricerche prodotte in questi anni, colpisce proprio la relativa scarsità di scritti che ne tematizzino le scelte, le occasioni, le difficoltà. Lavori monografici, microstorie, analisi di testi normativi sulle donne: una molteplicità di prodotti e di stili che vengono tuttavia presentati per lo più in modo frettoloso e succinto; avvalorandone di volta in volta la legittimità vuoi in termini rivendicativi, vuoi di corretta appartenenza al campo storiografico, vuoi •infine di generico progetto volto al recupero culturale dell'immagine -femminile. Poche/i studiose/i hanno fino ad oggi cercato di cogliere le coordinate concettuali di tali passaggi, di argomentarne le .implicazioni professionali, le relati.ve ridefinizioni di metodi e di oggetti. Tale senso di indeterminatezza è reso ancora più palpabile quando si pensa alle ben note e denunciate difficoltà in cui ci si imbatte nel tentativo di dare vita alle donne del passato, data la loro esclusione dai filoni portanti della storia. Non.esistono, o quasi, per vastissimi periodi, fonti dirette. Non rimane che il ricorso all'analisi dei «saperi forti», fondati peraltro su consolidatissime catene di pregiudizi, oppure la complessa individuazione di nuove fonti non limitate esclusivamente alla scrittura. Ma la percezione di tali scarti appare forse più comprensibile di fronte al fatto che la stessa definizione di un campo specifico di indagine denominato «storia delle donne» pone numerosi problemi. Si vogliono infatti evitare precipitose operazioni definitorie di un ambito separato e parallelo che potrebbe portare a sdoppiamenti e a probabili declassamenti. Ma si esprime soprattutto, mi sembra, in tali esitazioni on atteggiamento di apertura, attento all'introduzione di nuove ottiche, non meno che al recupero di una pluralità di senso del fare storia come itinerario culturale, non solo come atto professionale chiuso e specialistico. Del resto, lo stesso complesso delle discipline storiche è oggi attraversato da nuove domande volte ad esplorare l'interfaccia tra relazioni ~ socio-strutturali e forme culturali. -. <l.l Il campo di osservazione s1 sta 15 estendendo fino a considerare i si- .9 ci gnificati culturali della Privacy,· °' dei sentimenti, dei vincoli emotivi, o0 dei desideri sessuali. Ma, tornando alle domande iniziali, vorrei qui almeno accennare alcuni degli itinerari culturali e concettuali che mi pare convergano nell'investire oggi di un ragguardevole interesse la «storia della donne». - Fuggire all'indietro. Il passato
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