Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Il La donna che si trucca, '' che si dipinge -le labbra, che si depila le sopracciglia è una donna che mente». Cartelli con questa scritta, che il ricordo rende forse approssimativa, occupavano il posto degli specchi, al di sopra dei lavabi, nei gabinetti femminili dell'università Cattolica quando io, impaccata in un lungo grembiule nero, vi entrai nel '56. Nella forma del sospetto, della paura, della colpa e dell'imputazione, tipica della tradizione misogina del cattolicesimo, mi si parava dinnanzi l'enigma della differenza. Si era introdotto qualche cosa nel luogo neutralizzato del sapere che ne minava le fondamenta e che richiamava la messa in atto di un sistema ferreo e capillare di interdizioni e di regole. Il corpo femminile risultava irriducibilmente eterogeneo alla Universitas studiorum, al suo sistema medioevale di valori, tanto che l'Alma Mater era costretta a trasformare il suo grembo accogliente in un percorso di guerra. Oltre alla scansione verticale degli spazi operata dalla gerarchia accademica si imponeva una suddivisione orizzontale, secondo i generi, che finiva per sessualizzare il mondo. Vi erano allora cortili femminili e maschili, così come erano divise· per sesso le scale, gli ambulacri, i tavoli della biblioteca, gli spogliatoi e, naturalmente, i gabinetti. La • prima volta che mi recai in segreteria per l'iscrizione, il bidello mi prestò la sua giacca per coprirmi le braccia nude. L'eccesso mi meravigliava ma sino ad un certo punto, cresciuta com'ero con il grembiule rosa, le classi esclu~ivamente femminili, re esortazioni a «star composta», l'obbligo di essere una brava donnina. Ma l'ossessività fobica con la quale veniva evocata ed interdetta la mascherata del corpo femminile, il richiamo - che nel contesto risultava osceno - alla «depilazione», ebbe per me un effetto rivelatore. Messa in sospeso su me stessa, capii che il corpo femminile costituiva una minaccia, faceva paura e che l'interdizione dello specchio comportava il divieto di guardarsi, conoscersi, valorizzarsi. Per quelle determinazioni che il nostro desiderio riceve, magari nella forma invertita, dal desiderio dell'altro, non ho mai smesso -çli scrutare lo specchio· e di interro-, garlo. Quanto al sistema di esortazioni, l'immagine ase~suata della madre, tutta risolta nell'oblatività e nel sacrificio di ·sé mi risultava inaccettabile. Così' come· trovavo intollerabile la sua figura antagonista, la maggiorata, tutta seno, allegria e stupidità, l'eros .casalin~ chiusa nei libri, leggendo a capo fitto «tutti i romanzi». D opo essere stata Rossella O'Hara, Anna Karenina, Emma Bovary, Manon Lescaut e non so quante altre eroine, ero uscita vacci-natadalla stupidità dell'epoca, pronta ·a recepire il messaggio che mi veniv·ada Simone de Beauvoir, il suo modello femminile, la donna colta ed impegnata che vive a fianco dell'uomo che venera, unita nel comune orizzonte di valori. L'esistenzialigo offerto all'ingordigia de.Jp' rimo consumismo. Entrambe;· esprime- •.• vano, senza mediazioni•,;il-~isJima'.' :, ..• ?~ ~!mgri. t:· di ~~-~i~.e~i. d(~ii~ ·.c~Jt1(:. . . . . . . ...., . . .... ____. _ .. . , ra attraversata da mquietudini e smo offriva allora una ideologia conflitti ma ancora compatta nel- forte, un sistema di risposte total'identità di genere, forte del suo lizzante che, innestandosi nella indiscusso maschilismo. La con- tradizione del movimento opetrapposizione tra maternità e ses- raio, produceva la figura suggestisualità aveva avuto, per la mia ge- va dell'intellettuale di sinistra. nerazione, un effetto strutturante. Sembrava possibile sperimentare .Ricordo che durante la pubertà un orizzonte di vita coeso, dove le avevo intensamente fantasticato conquiste politiche e culturali porse farmi suora o bella di notte, se tavano con sé l'emancipazione e la rinchiudermi nel convento o in promozione: sociale individuali. una «casa chiusa», come si diceva In questo contesto la differenza allora, in tempi di.legge Merlin. In sessuale vyniva trascesa e l'identiattesa di .sciogliere questo pesante tà si esprimeva nel registro dell'indilemma• mi ero semplicemente tellettualim:azione del desiderio e della sublimazione del corpo. Gli abiti rigorosamente grigio ferro, i capelli severamente raccolti (come ancora Nilde Jotti ricorda), erano ingentiliti da un filo di perle. e da piccoli guanti, a sottolineare ad un tempo l'estraneità e l'appartenenza al mondo borghese. La mia tesi di laurea, sul disadattamento lavorativo delle operaie tessili, rappresentava il tentativo di affrontare la questione femminile come problema delle altre, neutralizzato della lontananza dell'oggetto e dalla «scientificità» del metodo statistico. Ma l'autobiografia fi\trava nel· tentativo di analizzare lo spazio domestico, il tempo improduttivo della quotidianità e della cura. Avevo adottato, nel mio sforzo di emancipazione, una modalità estremamente efficiente di organizzazione del tempo, una strumentalizzazione senza residui delle mie capacità e delle mie energie. Ma la sublimazione delle donne non è mai totale, esiste sempre un resto che fa problema, che pone una questione. Storicamente è stato gestito dalla medicina che, nella forma dell'isteria, ha riconosciuto e controllato tale residuo finché la psicoanalisi non lo ha riconsegnato alla parola. Ma anche la parola psicoanalitica non dice tutto perché tutto non si può mai dire. E il non detto giunse improvvisamente a lacerare il ben congegnato reticolo della mia progettualità nella forma del desiderio di maternità. Un desiderio così cieco, ottuso, impersonale, da rivelare la sua corporea origine pulsionale, una economia altra, indifferente ai modi della discorsività. Oltre al tempo del progetto, della storia, del quotidiano, emergeva il tempo del corpo. L'urgenza riproduttiva rendeva smorta ogni altra scadenza e la realizzaione di sé sembrava passare, preliminarmente, dall'evento generativo. In questo modo il corpo sessuato, che avevo cercato di esorcizzare spostando verso l'alto le sue pulsioni, imponeva tirannicamente le sue esigenze ed i suoi tempi. Al tempo stesso lo sguardo che avevo rivolto all'esterno, alla dimensione dell'oggettualità e dello scambio, si fletteva su se stesso, attento al sogno, alla fantasia, al sintomo. Scoprivo la specificità femminile nella sua forma più immediata e radicale così come appare nell'altra scena dell'inconscio. Quella che ho descritto in termini autobiografici è una esperienza che inaugura un percorso di riflessione teorica e di ricerca clinica. e ome psicoterapeuta infantile ho infatti ritrovato nella fantasia delle bambine la dimensione inconscia della maternità ed ho cercato di recuperarla al discorso psicoanalitico che l'aveva misconosciuta. Nel ricostruire le imago che la compongono, ho incontrato i fantasmi che Melanie Klein individua come figure di quell'istinto animale che opera in noi. Fantasmi che si sono però dimostrati investiti e rielaborati dal sistema culturale così come si è storicamente determinato. Noi non possediamo, come gli animali, un sistema di riferimento istintuale naturale, una mappa prefigurata dei comportamenti pulsionali, uno scadenzario degli impulsi, ma un aggregato complesso di ingiunzioni e di divieti, di raffigurazioni e di cancellazioni. L'archeologia dell'immaginario femminile sembra richiedere un lavoro di decostruzione, ricostruzione e ideazione che produce un reperto ipotetico, un'identità possibile, una soggettività che si costituisce nell'atto stesso della ricerca. Nel perseguire l'archeologia dell'immaginario femminile, la psicoanalisi si incontra con l'analisi dei miti e con la ricerca storica delle donne. Vi è infatti omogeneità e concordanza tra Jè fan.tasie iocòn: • sce e il materiale mitologico mentre la storia della cultura svela il sistema di interdizioni messe in atto per controllare, socializzare e sottomettere l'economia pulsionale femminile. Si costituisce in tal modo un campo di sapere indivi- • duato attraverso la griglia secolarmente costituita per il suo occultamento, una antropologia negativa che non ha ancora trovato la sua epistemologia. Accanto a questo compito cui~ turale che privilegia il momento di · liberazione su quello di emancipazione, si pone il problema di costruire una identità che comprende nel suo perimetro una zona d'eclisse e che riconosca nel cono d'ombra il luogo della sua specificità sessuale. Il tutto senza indulgenze per l'immagine romantica dell'enigma della femminilità, del continente oscuro. La donna non è la natura incontaminata, l'altro rispetto alla storia dell'uomo ma non è neppure l'animale addomesticato del suo desiderio. Vi è, in lei, qualche cosa di irriducibile alla contrattualità degli scambi, una materia che non trova il suo equivalente universale. L a mancanza femminile pertiene all'ordine della rappresentazione, non al registro energetico. La sua forza pulsionale è stata utilizzata per costituire. la S\J: perfide opaca che trasformà un vetro in uno specchio rifJettynte, dove ci si può vedere a costo che lo sguardo non vada oltre. Ma éhe cosa c'è al di là dello specchio? Non certo un mondo rovesciato in cui gli stessi valori si ripro,pòngoòo con il segno invertito. Ma una.se-· rie di tracce, di cammini interr.otti~. un groviglio di desideri e •diinter~. dizioni, di assoggettamenti _e.diri.-. volte, di saperi e di menzogne. Come un archeologo di fronte a_i resti disseppelliti di una .c~viltà senza scrittura sulla quale si sono costruite successive società stoii 0 : che, ci attende un lavoro .èlin~O-· struzione ma, a differenza'.dell'archeologo, dobbiamo recuperare alla pensabilità anche ciò .che n·on è mai accaduto, che avrebbe potuto essere ma che in realtà non è mai stato, elaborare un archeologia della possibilità. Ma è possibile pensare il femminile indipendentemente dal m·aschile? Credo che i due ter!llini siano relativi e che sia pos.sibile definirli solo in un rapporto di,differenza senza indifferenza. 0È molto difficile, forse impossibile, •preservare l'alterità, riconoscere la. complementarietà senza ope-rare alcuna subalternità ma questa ~ la posta in gioco. La cultura maschile . ha realizzato una critica radicale della sua epistemologia totalitaria che apre una breccia di confrontq . • •• 1 e di collaborazione. Sta ora a noi· trasformare la contrapposizione iri- , . dialettica. Il primo femminismo ha· :'_ .:_.•.. sporto querela, ottenendo in cam- • ,.,-.• • bio mutamenti di stile, il secondo ha cercato di costruire un femminile indipendente dalla sua controparte, l'attuale sta cercando itempi e i modi della mediazione. Una mediazione che preservi la differenza delle donne dagli uomini e delle donne con le donne, una dialettica che non precipiti nel collasso della sintesi. La separ~zione rischia la· tautologia e· la ritualità, solo il confronto nei luoghi della· conflittualità ·sessuà!e (la·famigiia,. il lavoro, la scuola, la politica) ci ~ •provoca a pensare il nuovo e ad -. approntare gli strumenti per farlo. ~ Oltre lo specchio ci sono altri mi- g raggi da sconfiggere, primo· tra i ;;.._ quali la sacralizzazione del femmi- ao nile. Al di là di ogni specularità, compresa quella tra donna e don- ~ -O na, si estende lo spazio virtuale ~ per l'elaborazione di un'etica della ~ differenza sessuale che sia libera- S i::: toria per tutti e che non fondi il È valore dell'uno sul disvalore del-. ~ l'altro. 2:: ::s "'

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