Lacuocdaelloscienziato e ara Silvia, il pensiero della • differenza sessuale, sul quale inviti a riflettere, è da qualche tempo materia «calda»: dopo Chernobyl la questione si è riproposta in termini precisi e su temi specifici (vedi gli interventi •di Bocchetti, Melandri, Libreria delle Donne di Milano, Rossanda e altre apparsi sul Manifesto durante il mese di maggio). Vorrei riprendere alcuni temi allora emersi che, pur sollecitati da quel particolare evento, attengono alla tematica della differenza sessuale. Tra le domande allora affiorate, una in particolare ci coinvolge: siamo noi, in questo infelice avvenimento, complici? O. come le signore di Virginia Woolf. estranee? Questione di qualche conto, che implica esiti politici divers1. Ognuna di noi sa che a livello esistenziale i due atteggiamenti possono coesistere, ma sappiamo . anche che da questo mélange non si produce alcun tipo di discorso etico. E viene in mente la distinzione tra etica dell'intenzione ed etica della responsabilità. Se le donne dalla prima si possono chiamare fuori (la Gesinnungsethik ci è, in buona pace, lontana) non possono, pena la morte di sé come soggetto sociale, chiamarsi fuori dalla seconda. L'esistenza sociale. di presenza e di parola, è di certo tra i desideri delle donne il più pressante e non la si può di fatto scindere da un discorso di responsabilità. Quale esempio di femminile estraneità è apparsa, nel dibattito di maggio, una figura un po' ottocentesca: la figura della cuoca e. più precisamente, della cuoca dello scienziato. Con tutto quello che quest'immagine comporta, quasi una metafora ... E se invece, fuori di metafora, parlassimo della madre nutrice? Della madre dello scienziato? Sappiamo che la mentalità servo-padrone nasce lì, in questo rapporto duale e noi, ancora una volta, non possiamo chiamarci fuori. Osservata politicamente, la relazione madre-figlia/o non permette, nella sua complessità, nette separazioni e tagli verticali: occorre ragionare con tatto e pazienza. La figura della cuoca è chiaramente metaforica, altrimenti non avrebbe senso alcuno parlare di cuoche. Ce ne sono pochissime, spesso in loro vece appaiono abili cuochi. E noi, che a fatica facciamo un uovo al tegamino, come possiamo coprirci dietro la loro innocenza? Non vogliamo piuttosto così, con questa immagine di coe ara Marisa, è difficile rispondere alla domanda che mi poni. È difficile in generale chiedersi della differenza sessuale - un altro modo, forse più severo, di porsi la questione (non è Lacan che la definisce «isterica»?) che cos'è la donna; ma più difficile ancora è portare questa domanda come tu vuoi nella nostra (di donne) pertura, nascondere la complicità delle nostre madri, di noi come madri di figlie-madri ... Una difesa ad oltranza, in un mondo di donne ignare del mondo (e se davvero di cuoche salariate si trattasse, troppo facile sarebbe l'obiezione: e i cuochi?) N el movimento delle donne si è anche parlato di uomini e nelle forme più diverse di scambi sociali abbiamo riconosciuto il segno dell'omosessualità simbolica maschile, salda e costante nelle sue articolazioni. Una realtà cli relazione simbolica che cli certo non possiamo perdere di vista. Ma neppure possiamo perdere di vista il fatto che esiste una relazione tra le donne e gli uomini. Una relazione che non vogliamo ripercorrere come le nostre madri (ne abbiamo visto, con sofferenza, gli effetti) ma che non possiamo negare nella sua realtà di esistenza. Se invece l'omosessualità simbolica maschile serve a noi d'esempio per una struttura simmetrica di relazioni da stabilirsi tra donne (un'autorità sociale al femminile?) tutto il discorso del moviesperienza di vita e di lavoro. Proverò a risponderti partendo da alcune semplici constatazioni. Intanto, la domanda è rivolta e presuppone delle donne che lavorano: soggetti dunque attivi, partecipi di diritto a un mondo comune di uomini e di donne, che a questo mondo accedono attraverso una almeno formale messa in Zulma Paggi mento delle donne si irrigidisce e si altera rispetto ai presupposti di modificazione. Luce Irigaray ci insegna che l'assenza simbolica delle donne ha dato via libera al potere patriarcale. Ne consegue che la costituzione simbolica del femminile avrà senso e scopo nella misura in cui entrerà in relazione col mondo nella sua interezza, per modificarne pratiche e teorie. Assenza simbolica non significa mutismo: la donna conosce, anche al di fuori del «materno», parole e pratiche, sia pure non simbolizzate. Non si tratta di modificare le strutture del pensiero patriarcale ( ·uclii e /-cdaica ,\/01111co11,·. /Wi5 sottraendogli il support0 muto del femminile. Le donne non sono né mute né magmatiche ma, in termini più complessi e variegati, assenti e partecipi, in una relazione col maschile ambigua e contorta. Si tratta di modificare la relazione esistente non solo tra donne, ma tra le donne e gli uomini, il loro modo di vivere, di pensare, di produrre (di produrre energia, ad esempio). Nel pensare politica ci siamo separate e questo ha avuto senso. Nella misura in cui possiamo risospensione della differenza; grazie cioè a quel valore fondativo di ogni comunità di lavoro, che è l'uguaglianza. Siamo ùguali agli uomini, eppure differenti. Non rinunciamo all'ugnaglianza, eppure noi donne oltre l'emancipazione proclamiamo con orgoglio la differenza. In secondo luogo, chi si sentirà flettere sulla differenza sessuale e nel contempo elaborare qualché questione in modo propositivo, il separatismo ha tuttora una sua forte necessità. Non si tratta, tuttavia, di costituire una «società di innocenti» in nome della differenza sessuale (un sogno di ontologica purezza?) ma di agire la differenza nelle cose del mondo e di riflettere sulle nostre relazioni. Riconoscendo, secondo l'indicazione della Libreria delle Donne di Milano, la disparità tra donne su singoli problemi e competenze, senza essere paralizzate dall'invidia per chi. donna. ne sa più di noi. E scnza tuttavia dimenticare, a mio parere, che non esiste delega o procura (o altra parola si voglia usare) per quanto riguarda la competenza politica. La competenza politica, come la competenza amorosa, è del soggetto, per quanto sa della sua vita e del mondo. Una assunzione di responsabilità e una competenza del soggetto-donna che la differenzia in modo significativo rispetto alla consueta pratica politica maschile. In un mondo di soggetti il problema della somiglianza e della diresponsabile di fronte alla domanda, e proverà dunque a rispondere, apparterrà di fatto a quella specie di «donne problematiche», che forse «vere» donne non lo diventeranno mai. Perché interrogarsi, non credi che sia il contrario di diventarlo? Non diresti in fondo anche tu che è proprio perché non lo diventeremo che ci interroghiaversità sorge immediato. Non sarà la differenza tra noi più forte della comune somiglianza? È un problema aperto, affrontabile per ora solo in termini intenzionali. La somiglianza tra donne può essere assunta come ipotesi di lavoro e già questo contribuisce a conferirle un buon grado di realtà. Una affermazione necessaria, ma che deve essere riempita di senso: è come una zona aperta e disponibile in cui ogni donna può mettere un suo lavoro di sentimenti e di idee. E osservare ogni segno sensibile di femminile somiglianza e su questo far leva per modificare qualcosa, foss'anche una piccola ombra del mondo. e i sono poi le grandi ombre, quelle più difficili da modificare. Tra queste, la misura del valore sociale della donna, il millenario disconoscimento. Si dice ora (intervento della Libreria delle Donne di Milano) che «l'appartenenza al sesso femminile può essere per la donna fonte e misura del suo valore sociale». Può que- -.,tobastare? Che la misura del valore sociale provenga da una donna non rassicura di per sé. Il valore sociale consegue a un intreccio <li relazioni date, la cui modificazione è sempre impervia. Come potrà esprimere una donna un valore sociale diverso da quello esistente se non si sarà impegnata alla modifica delle relazioni (non solo tra donna e donna, ma tra donne e uomini, tra lavoro e produzione etc.) e non avrà esplicitato i contenuti del suo aggire? Spesso, quando si parla di donne «liberate» si parla di donne sole. Come se solitudine e libertà fossero, per quanto ci riguarda, strettamente collegate. Libertà è una parola imprecisa e ambigua, come impreciso e ambiguo è il concetto opposto: la necessità. Paradossale risulta la relazione tra i due termini: sappiamo che l'assenza totale di necessità (non avere· niente da fare quando ci si sveglia al mattino) comporta in realtà un'assenza di libertà, in quanto toglie alla vita ogni significanza. Che le donne abbiano paura della solitudine, ben lo sappiamo. Ne hanno spesso troppa paura. Ma questa paura è tuttavia interessante: sembra che la donna sappia che la libertà ha un limite nero, il vuoto di relazioni, la perdita di senso ... Tutto questo dobbiamo ricordare, per non correre il rischio di ritrovarle ai fornelli. • mo, e continueremo a farlo? E tuttavia, l'ho detto, proverò a risponderti. Io lavoro, come sai, con le parole. Leggo parole, cerco di comprenderle. per comprenderle, mi trovo a volte a pronunciarne e scriverne delle altre, in un dialogo che incessantemente mi espone alle trame del linguaggio. Uomo e
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