Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Henry Bergson Opere 1889-1896 a cura di P.A. Rovatti tr. it. di F. Sossi Milano, Mondadori, 1986 pp. XXXVI-423, lire 22.000 Pier Aldo Rovatti La «nuance» - Note sulla metafisica di Bergson aut aut, n. 204, 1984, pp. 81-94 O ggetto. più spesso di impietose stroncature e di sbrigative liquidazioni che di analisi meditate, il rapporto del bergsonismo con il pensiero scientifico è stato, almeno sino agli anni più recenti, raramente studiato senza preconcetti e con la (anche storiograficamente) necessaria obiettività. E ciò per diversi motivi, che non hanno a che fare solamente con il mutare del cosiddetto Zeitgeist, ma anche con il pensiero dello stèsso Bergson. Il nucleo della sua filosofia sembra infatti prestarsi, o almeno così è lungamente parso, a classificazioni riduttive oppure a formule stereotipe e di facile presa: durata, intuizione, slancio vitale e così via, che paiono in grado di evocare rapidamente (e semplicisticamente) una riflessione ben altrimenti ricca e complessa. Quanto detto vale (non solo, ma soprattutto) per la cultura italiana -= che solo ora si dimostra pronta ad affrontare Bergson senza interporre schemi precostituiti - poiché quella francese ha dimostrato più frequentemente un diverso atteggiamento sino a condurre, almeno dagli anni cinquanta in poi, a un radicale mutamento di prospettiva. Invece di includere Bergson nella lista dei critici romantici della scienza, il nuovo sapere scientifico teorizzato da un epistemologo e storico della scienza come Serres e da uno scienziato come Prigogine si spinge nella direzione di un Bergson anticipatore di alcuni dei tratti essenziali dell'impresa scientifica contemporanea. Anche se non bisogna dimenticare che la «svolta» è stata aperta, come ricorda Rovatti nell'Introduzione, da un filosofo come Deleuze, che nella nozione di differenza ha individuato «la cifra del movimento reale, dell'élan creatore» (p. X) che procede per sdoppiamenti, complicazioni e differenziazioni. Deleuze ha così introdotto un profondo cambiamento di registro nel panorama molto fitto delle interpretazioni bergsoniane, e che è giunto ad influenzare direttamente persino l'autoconsapevolezza filosofica di uno scienziato quale Prig-0gine. È però stato Miche! Serres colui che per primo ha introdotto a pieno titolo il bergsonismo nell'ambito del dibattito epistemologico vero e proprio, cercando di vedere cosa succede quando si applicano ~ le nozioni di complessità che Berc::s gson aveva definito per il tempo :.: -~ anche allo spazio. A Serres non Cl. sofamente si può attribuire il meri- ~ to di avere dissolto i soffocanti -.. pregiudizi che incombevano sul l rapporto di Bergson con la scieng za, ma anche quello di aver saputo 0 farlo interferire positivamente con O\ ao uno stile di conoscenza che riman- :.:: da, in modo piuttosto fecondo, a ~ un cambiamento di paradigma in- ~ tervenuto nella dinamica del pro- ~ gresso scientifico e la cui posta in LanuaQtf,Bergson gioco è di rilevanza fondamentale - in quanto concerne l'immagine stessa della realtà che si trasforma, cambia e si differenzia di continuo sotto in nostro sguardo, ora che abbiamo imparato, grazie anche a Bergson, a guardarla con occhi nuovi. P er comprenderla infatti - è questa l'opzione di base che guida l'approccio di Serres - dobbiamo abbandonare il pregiudizio cartesiano e poi positivistico che ci obbliga a percepire il reale secondo i canoni della chiarezza e della distinzione, allo scopo di isolare i «fatti» nella loro reciproca autonomia e indipendenza, secondo la metafora del cristallo. Occorre invece fare l'ingresso nel campo delle fluidità, degli sconfinamenti, delle «nuances» (cfr. Rovatti, La «nuance». Note sulla metafisica di Bergson, in aut aut, n. 204, 1984, pp. 81-94), rappresentabili invece nella metafora della nube. È solo lungo questo percorso, anticipato da Bergson, che possiamo disporci nella prospettiva di cogliere l'autentica essenza del movimento reale e di comprendere tutta la sua ricchezza e complessità; movimento reale fatto di limiti indefiniti, di frontiere sfuggenti, di bordi incerti e sovrapposti. Tutto il contrario di quanto ci era stato insegnato, e successivamente imposto, dal cartesianesimo e dalla scienza che ne è derivata, la quale (anche nella sua controparte filosofica successiva a Descartes) ha costantemente privilegiato le sintesi, gli schemi ordinatori e classificatori dell'intelletto. Ma ciò, che potrebbe apparirci come un'apologia equivoca e discutibile dell'indistinto e del confuso, si rivela piuttosto un apporto conoscitivo di portata essenziale. Ad una condizione, però: dobbiamo affrontare Bergson cercando in primo luogo di scorporarlo dalla tradizione della filosofia introspettiva che pure condiziona, come proprio i saggi raccolti in questo volume della Opere illustrano chiaramente, il suo pensiero; e poi di capire come egli sia stato in grado di anticipare il lavoro della scienza non tanto nei suoi riflessi epistemologici, quanto nel suo procedere effettivo. Dapprima Serres si preoccupa quindi di sgombrare il terreno dai fraintendimenti che hanno impedito una corretta lettura «scientifica» del . bergsonismo. E ciò diviene possibile se si riconosce nel suo linguaggio filosofico una sorta di «traduzione» della terminologia scientifica della sua epoca. Anche quando Bergson critica la scienza, è pm-- ché il suo obiettivo polemico è la «scienza positiva», in quanto il suo punto di vista effettivo è quello della termodinamica dei fluidi. Tanto è vero, per Serres, che la sua stessa metafisica è una nuova fisica - allo stesso modo che la sua opposizione alla «scienza» noh era altro che una critica della vecchia scienza, ancora subalterna alle direttive cartesiane e positivistiche, alla meccanica dei solidi. Quando Bergson si contrappone a questo scenario filosofico-scientifico non lo fa in nome di una oscura e generica attrazione per l'indistinto e il vago presi come valori in sé. Egli si pone invece come meta quella di offrire un'immagme del reale che non risulti schiacciata sulle categorie formali, astratte e impoverenti, dell'intelletto scientista, alle cui «certezze» contrappone uno stile conoscitivo che (pur con tutte le sue ambiguità e contraddizioni) sia capace di darci un sapere del carattere variegato e complesso della realtà in forme, anche se diverse, altrettanto «certe» - e soprattutto più fedeli. E ciò perché contrappone la fissità solo apparente (e quindi m dizioni dell'innovazione, indagando la nozione di tempo senza ridurre il mutamento all'invarianza - come la fisica classica. E poi quello di intuizione, che non è affatto la prerogativa di spiriti particolarmente predisposti, secondo il cliché romantico; è piuttosto una progressione quasi metodica che penetra le cose nella loro singolarità complessa aderendo alla durata che le costituisce. La scienza classica, dedicatasi alla ricerca di Rivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero in edicola e in libreria il numero 45 nel nuovo formato a colori 100 pagine Lire 10.000 In questo numero: Tutta la memoria del cinema Conversazione con Jorge Luis Borges Almansi, Canestrari, Dòblin, Douglas, Flaviano, Garbali, Greenaway, Leyda, Mitry, Visconti Abbonamento a quattro numeri Lire 35.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Edizioni Intrapresa fondo irreale) isolata dalla scienza positiva alla mobilità reale della natura, il cui dinamismo incessante procede per sdoppiamenti e differenziazioni. Quanto Bergson ci ha mostrato a proposito del tempo, da lui interpretato come una durata complessa, viene da Serres «applicato» allo spazio. È su questo punto cruciale che si innesta la sua rivalutazione scientifica di Bergson, poiché ciò gli permette di avanzare nella direzione del suo obiettivo principale: trovare un ponte, o un passaggio, una via di comunicazione tra le nuove scienze e la filosofia, tra le scienze della natura e le scienze dell'uomo. ' E a questa stessa «nuova alleanza» tra uomo e natura che lavora uno scienziato come Prigogine il quale, almeno nelle sue opere di taglio più divulgativo, sembra talvola ritrascrivere nella terminologia dello scienziato della natura l'idea bergsoniana del tempo come slancio, incessante proliferazione di novità e di trasformazioni impreviste e irreversibili. Assistiamo così non solamente a ciò che Prigogine definisce come «reincantamento della natura», ma a qualcosa di ben altrimenti importante, poiché il bergsonismo diviene un fattore importante nella trasformazione della stessa pratica della scienza. Nel nuovo scenario elaborato da Prigogine, così diverso da quello cui ci aveva assuefatto la fisica classica, lo scienziato si vede in un certo senso obbligato a recuperare il nocciolo filosoficamente attivo di alcuni concetti bergsoniani, e proprio di quelli più lungamente caduti nel discredito degli scienziati e dei filosofi legati alle categorie tradizionali. Quello di creatività, innanzitutto, poiché la fisica della complessità deve tradurre in modelli le conun fondamento ultimo e intemporale in grado di spiegare la realtà prescindendo metodicamente dalla presenza dell'uomo - che nei fenomeni da indagare viene considerato come un fattore di disturbo e di inquinamento dell'oggettività -, ha certamente prodotto risultati fondamentali e imprescindibili, ma al tempo stesso ha rafforzato l'incomunicabilità fra uomo e natura o tra soggetto e oggetto. Mentre è invece proprio l'intuizione bergsoniana, e cioé proprio uno dei concetti che più avevano alimentato le accuse di irrazionalismo scagliate contro il suo pensiero, che anticipa quell'esigenza di una rinnovata comunicazione tra il mondo dell'uomo e quello della natura nella cui direzione si muove, come Serres, anche Prigogine. Ma l'intuizione sta alla metafisica come l'intelligenza alla scienza. E se consideriamo, con Serres, la metafisica di Bergson come una nuova fisica, ne deriva che l'intuizione non può essere sbrigativamente liquidata con un concetto fumoso e generico. Essa è viceversa essenziale nella prospettiva di una «nuova alleanza» tra uomo e natura, in quanto presuppone che l'osservatore sia collocato all'interno della realtà che deve descrivere. La metafisica di Bergson si pone allora come un'anticipazione di quella che Prigogine definisce come una «fisica umana» - che si pone cioé quale obiettivo il reinsediamento dell'uomo in un mondo unificato. Il campo della scienza può così abbracciare, anche grazie all'insegnamento del bergsonismo, un territorio più ampio di quello circoscritto dal sapere tradizionale, nel senso che l'impresa scientifica sembra • finalmente compiere, o almeno a porsi nella prospettiva di farlo, quelle aspirazioni di filosofi come Diderot che cercavano di ricomporre la fratt~- ra apertasi con il successo della scienza classica tra il mondo fisico e l'esistenza umana. B ergson, pur avendo offerto i termini per la soluzione del problema, non l'ha risolto, come affermano concordemente Serres e Prigogine. Ma ci ha tuttavia indotto a guardare la realtà con occhi diversi, indicando (e anticipando) con la sua filosofia una strada lungo la quale scienze della natura e scienze dell'uomo si possono incontrare. Anche se il suo pensiero, soprattutto nei testi raccolti in questo volume delle Opere, trae origine dall'analisi del vissuto psicologico e si fonda sul «metodo» dell'introspezione, l'illustrazione del tempo interiore, concepito quale durata complessa, non quantificabile né sostanzializzabile, anticipa l'idea di tempo irreversibile che fa nascere l'ordine per fluttuazioni e predispone la possibilità per realizzare un'operazione analoga anche a proposito dello spazio. Si sta forse per giungere a quell'orizzonte di pensiero auspicato e propugnato da Bergson, di una «metafisica scientifica» che· sia al contempo, in qualche modo, fisica e chimica. E tutto ciò può, tra l'altro - come osserva Rovatti nell'Introduzione - fugare molte delle difficoltà interpretative che gravano sul pensiero dello stesso Bergson come, ad esempio, quella che opporrebbe il «soggettivismo» della natura all'oggettivismo dello slancio vitale. Anche da ciò si può verificare l'utilità di questa pubblicazione, e per diversi motivi. Innanzitutto i testi sono raccolti in un'edizione completa, filologicamente accurata e dotata di un cospicuo apparato critico (include anche una scelta dell'epistolario di Bergson, molto utile per comprendere il suo pensiero in una prospettiva più ampia). In secondo luogo mette a disposizione del lettore italiano, per la prima volta, il saggio L'idea di luogo in Aristotele, un testo sinora poco conosciuto e scarsamente studiato nonostante il suo interesse. Ed offre jnfine un vantaggio ulteriore: quello di una traduzione rigorosa e che aderisce fedelmente ai testi, eliminando al contempo gli arcaismi spesso presenti nelle versioni precedenti e adottando al contrario un linguaggio tale da permetterci di leggere Bergson in modo filosoficamente attuale. Anche per queste ragioni sarebbe auspicabile che a questo primo volume delle Opere facesse seguito la pubblicazione dei suoi lavori successivi (sia quelli non ancora tradotti sia quelli, come L'evoluzione creatrice, ormai irreperibili). Soprattutto perché ciò sarebbe, infine, molto produttivo per rafforzare una rilettura del bergsonismo, nel solco tracciato da Serres e Prigogine, che non soltanto consente di dissipare gli equivoci e i fraintendimenti che hanno non di rado compromesso una lettura senza pregiudizi di questo filosofo. Ma che ci permette anche e soprattutto di guardare alla realtà nella prospettiva di un'unità rinnovata che superi gli interdetti cartesiani e positivistici e che sappia restituirci la sua ricchezza e mobilità, la sua complessità e la sua imprevidibiltà. Insomma tutte le sue «sfumature».

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