Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Lavaligia d~iann!~omas M nn Journal de Thomas Mano (1918-1921, 1933-1939) Parigi, Gallimard, 1986 pp. 655, franchi 190 Thomas Mann La morte a Venezia introduzione di Cesare Cases Milano, Rizzoli, 19856 pp. 115, lire 4000 Il Note quotidiane dal 1933 '' al 1951. Senza valore letterario, da non aprire che vent'anni ~opo la mia morte»: questa l'iscrizione che si trovava su tre pacchetti legati, rinvenuti nello studio di Thomas Mann morto a Zurigo il 12 agosto 1955. Quando i pacchetti sono stati aperti, nell'agosto 1975, ci si è trovati davanti a diari datati fin dal 1918. Si sa che l'autore dei Buddenbrook ha tenuto regolarmente un diario fin dall'adolescenza; e che purtroppo ha bruciato in due riprese, nel 1896 e nel 1945, l'essenziale di questa letteratura privata. Ma non tutto è andato perduto; e Thomas Mann forse non si è nemmeno accorto di aver lasciato diari datati dal 1918 al 1921 tra le «note quotidiane» erroneamente intestate «dal 1933 al 1951». Perlomeno così sembra. Si tratta, in tutto, di più di 5mila pagine scelte da Mann tra molte indecisioni. Le edizioni Gallimard hanno pubblicato una versione molto condensata di questo diario. E pare che si tratti di una versione «ridotta» per i soliti motivi editoriali, ma non espurgata. 1 «Perché scrivo tutto questo? - notava Thomas Mann nell'agosto 1950- Per distruggerlo ancora una volta, appena prima della mia morte? A me·no che non auspichi che il mondo mi conosca?». Nel diario si parla di storia, di politica, di letteratura, accanto a problemi quotidiani. Lo scrittore vi appare come un grande borghese conservatore, inizialmente antidemocratico, ma anche fra i primi oppositori nel nazismo, tanto da essere costretto, fin dal 1933, all'esilio: prima a Sanary-sur-Mer, poi a Kusnacht presso Zurigo - prima di trasferirsi negli Stati Uniti nel 1938, presso l'Università di Princeton. Non tornerà definitvamente in Europa che nel 1952, stabilendo la sua residenza in Svizzera. A scrivere le pagine di questo diario è un errante suo malgrado, un uomo con la sensibilità a fior di pelle, che lotta strenuamente contro difficoltà esterne ed intime per scrivere, per realizzare un'opera che - senza la minima traccia d'ironia - egli considera il pesante fardello che il destino gli ha assegnato. Insomma, il suo dovere di creatore innazitutto. Dopo la lettura di queste 655 pagine di diario, è giocoforza pensare all'eroe del suo romanzo La morte a Venezia, von Aschenbach, che probabilmente traduce in maniera esasperata la gravità un po' sinistra con la quale Mann considerava se stesso. T occhiamo, con questi Diari, un nodo teorico riguardante quell'attività complessiva che si chiama letteratura. Essa è l'esito di un atto (l'atto dello scrivere), che produce non solo i testi socializzati, ma anche degli scarti, dei diari più o meno pubblicabili, della merce fantomatica e invendibile come, per esempio, quelle restanti pagine di diario «tralasciate» dagli editori, dall'industria culturale. Chissà quali sono stati i criteri adottati nella selezione delle pagine dei diari lasciati da Thomas Mann. Già dobbiamo la loro esistenza all'indecisione dell'autore. Sono poi intervenuti criteri di politica editoriale e di mercato, che in qualche modo hanno lasciato delle caselle nere, e cioé pagine che probabilmente il pubblico non conoscerà mai. Abbiamo in qualche modo a che fare con le zone del potere e della sessualità: è proprio qui che - come si è accanito a mostrare Foucault - si moltiplicano le caselle nere del discorso. 2 Il discorso che Mann tiene nei diari potrebbe avere «conseguenze mortali». È l'autore stesso a scriverlo, durante i mesi d'angoscia che segnano lo smarrimento dei diari speditigli da suo figlio Goto, in una valigia che si era persa per strada. È il 1933, l'anno dell'ascesa di Hitler al potere; Mann, trovandosi all'estero, decide di non tornare in Germania. I suoi beni saranno confiscati. Un duro colpo, ma Thomas Mann si preoccupa soprattutto del recupero dei suoi diari speditigli in una valigia .che si è persa per strada. Teme che i nazisti abbiano messo le mani sui suoi segreti. Ormai ha scelto l'esilio, si è già compromesso definitivamente con il suo discorso su Wagner, le sue idee antinaziste sono note. Cosa ha da temere riguardo a ciò che è scritto in quei diari? «I miei timori - leggiamo nelle pagine perveniteci - vertono adesso in primo luogo e quasi esclusivamente su questo attentato contro gli aspetti della mia vita. Questi sono gravi e profondi. Possono succedere cose terribili e anche mortali ( .. ). Io e K. siamo rimasti a lungo seduti mano nella mano. Lei (allude alla moglie Katja Pringsheim, ndr) comprende a metà le mie paure a cau0iusi:ppi: U11gari:11i,1970 ~ sa del contenuto della valigia.» Finalmente, dopo mesi d'angoscia, recupera la valigia e i diari che apparentemente non sono stati letti. Li leggiamo adesso; vi si . parla - tra l'altro, e a diverse riprese - del suo amore per i ragazzi. Una passione del resto più platonica che incarnata nei fatti: «Il giovane Kirsten mi ha causato ieri numerose impressioni immediate. Mostrava delle foto a un tavolo vicino, e nello stesso tempo lo udivo parlare con una voce assai grave e in un forte dialetto di Amburgo, e potevo vedere la sua mano ( ... ). Non mi ha ancora mai guardato, neanche passandomi davanti. Mi pare che eviti di farlo per discrezione» (5 agosto 1919). Dopo altre pagine in cui annota le conseguenze di queste forti impressioni («Sonno un po' agitato, attraversato da fantasmi»), la confessione inattesa del 17 settembre 1919: «Non ho alcun dubbio sul fatto che le Considerazioni (Betrachtungen eines Unpolitischen, le Considerazioni di un impolitico, pubblicate in quel periodo, ndr) sono "anch'esse" un'espressione della mia inversione sessuale». «Inversione sessuale»3 è il termine allora in uso dei manuali psichiatrici per dire l'«omosessualità» - termine, quest'ultimo inventato dal giornalista Benckert nel 1869, e allora non ancora così diffuso in letteratura. Qui Thomas Mann ci appare in lotta con la sua immaginazione, e tuttavia le sue paure sono realistiche, dati i tempi e la reputazione e il potere morale di cui godeva. All'epoca dello smarrimento dei diari, il 1933, erano passati solo quattro anni dal conferimento del premio Nobel per la letteratura. Hitler inoltre era al potere e stava applicando contro gli «invertiti» o i supposti tali il famigerato articolo 175 della legislazione tedesca, che gli permise l'estensione della soluzione finale, e cioé la politica di sterminio nei campi, a tutti coloro che non partecipavano «alla lotta della sopravvivenza della specie», e che si dedicavano «alle aberrazioni derivate dall'anima ebrea» (così si leggeva il 2 agosto 1930 nel Votkischer Beobachter, il giornale del partito nazista). Occorreva, inoltre, tener conto della tradizionale ripugnanza, della borghesia - nutrita di nazionalismo e di rispettabilità - per l'omossessualità. I timori di Thomas Mann che parlava di «conseguenze mortali e terribili», se i nazisti avessero preso conoscenza degli «aspetti gravi e profondi» della sua vita, sono quindi comprensibili nel contesto altrettanto grave e tremendo dell'epoca. Alla luce della lettura dei diari pubblicati da Gallimard, assume un nuovo senso anche la tensione tragica che percorre le pagine de La morte a Venezia. C'è come una fuga, impossibile, nella sentimentalità e nell'estetismo, che si rivela mortifera. Il te- , ma che percorre l'opera non è l'o~ mosessualità o «l'inversione», ma la parabola di un desiderio che non può inverarsi né nella biografia né nella storia. Ci si scontra, marcendo (come la lugubre e splendida Venezia che fa da sfondo al breve romanzo), con i limiti. storici della visione, della «pulsione». È questione di un limite che non è solo sessuale, ma erotico nel suo complesso, e che comporta un dilemma riguardante la forma di una civilizzazione - quella borghese - ~ -e 2 c5 °' OC) t:: <::s ~ -e "'-----------....I ~ ~

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