Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

IntervistaHofstadter Questa intervista è stata rilasciata da Douglas R. Hofstadter a Milano in occasione della conferenza «Modelli di analogie» organizzata dall'Irsem (Istituto di ricerche e studi epistemologici e multidisciplinari). L'intervista, qui in versione ridotta, sarà pubblicata integralmente a cura dell'Irsem, unitamente al testo della conferenza e ad alcuni brevi scritti di D.R. Hofstadter. e ome ha inizio la tua storia? Hai in qualche modo deciso personalmente o è stato il caso a proporti la carriera che poi hai intrapreso? Il kismet o il caso? Non credo nel kismet e comunque non è neppure stato il caso ad influenzarmi. Per me è stato piuttosto l'opposto. Fin dall'infanzia sono stato estremamente attratto dalla matematica, che per me rappresentava la chiave d'interpretazione delle strutture, delle idee più generali dell'universo. Ho studiato molto seriamente la matematica fino a 20 anni ho fatto anche delle piccole scoperte; poi a 20 anni sono andato alla Graduate School in California per fare una tesi in matematica. Ma lì sono rimasto estremamente sorpreso: ho scoperto che i matematici si interessavano a cose troppo astratte. Così ho deciso di cambiare, lasciare la matematica e fare fisica. Nel frattempo mi interessavo anche di musica, del funzionamento del cervello, dei meccanismi del pensiero. Se consideriamo la musica, penso che non ero abbastanza bravo in questa disciplina, anche se ho composto alcuni brevi pezzi per pianoforte. Non li trovavo troppo originali, anche se per me erano bellissimi. Ho quindi capito che non avevo l'ispirazione, che non ero capace di fare qualcosa di eccezionale in questo campo e mi sono reso conto allora che la musica non era la mia strada. Visto il mio interesse per il cervello e il pensiero ho pensato allora ai computers. Ma vedevo che molte persone che si interessavano ai calcolatori a quel tempo erano nerds. Questo termine designa in inglese il ragazzo brufoloso, occhialuto e goffo, dedito solo allo studio. Chi è nerds non capisce la società, non ha amici, non ha generosità. Ebbene i precursori degli informatici che avevo conosciuto 20 anni fa mi sembravano in generale troppo nerd. Così ho scartato questa possibilità e ho preso in considerazione, come ho detto prima, la fisica. Mio padre è un fisico, sono crescriuto in una famiglia di fisici che mi davano l'idea di essere ben socializzati, curiosi, ecc. Così a 23 anni sono andato ali' Università dell'Oregon per studiare fisica. A vevo l'idea e il progetto ben preciso di studiare la fisica delle particelle elementari. Ma è stato per me una specie di paradosso; ho dovuto mettere a confronto due possibilità: o io ero troppo stupido, visto che non capivo (e questa ipotesi non mi piaceva!) o i fisici erano veramente dei ciarlatani (il che mi sembrava assurdo!). Così davanti a questo paradosso difficilmente risolvibile, ho preferito lasciare il campo della fisica delle particelle e ho deciso di fare il mio PhD in un altro campo della matematica meno «astratta». Erano ormai gli anni '74, '75. Ma al tempo stesso, mentre preparavo il mio PhD, mi sono reso conto che non ero fatto neanche per la fisica. Allora mi sono ricordato dei calcolatori, che tempo addietro avevo utilizzato, considerandoli troppo «facili», troppo «futili». Il problema è che mi sono accorto che allora, quando ero più giovane ero troppo bravo con i giochi dei calcolatori; il che mi dava quasi un senso di colpa. Così, dopo questo percorso di studi, sono tornato alle preoccupazioni che avevo a 15-20 anni e cioè lo studio delle lingue, il funzionamento del cervello, i calcolatori. Ma non posso negare che la fisica mi abbia molto influenzato. Sono giunto inoltre ad un'altra convinzione: quando ero piccolo pensavo che la matematica raccogliesse le strutture di base del tutto, ora penso invece che le idee sulla mente e sul comportamento del cervello sono forse più fondamentali. Esse hanno sostituito per me la matematica come strutture fondamentali. È per questo che ho scritto Godei, Escher, Bach. Finii dunque il PhD in fisica nel 1975 ma decisi di consacrarmi ali'Intelligenza Artificiale. Sempre nel 1975 andai a Stanford, entrai in contatto con moltissime persone e con moltissime idee. Nel 1977 ricevetti un'offerta dall'Università dell'Indiana per un posto di professore in Informatica. Così da allora seguo questa strada. Quali sono le idee su cui stai lavorando attualmente? Sono appassionato dall'idea di fluidità. Mi sembra che la fluidità dei concetti possa essere considerata come il «cuore» della mente, il nucleo dell'intelligenza. I concetti devono poter essere stretched, stirati, per poter essere usati. Il progetto «Copycat» (chi copia da un altro: un «copione»!) a cui sto lavorando, è un tentativo di realizzare un modello di come i concetti si sovrappongono e si mettano in relazione nella nostra mente: quando cioè un concetto tende a scivolare in un altro sotto adeguate pressioni esercitate dal contesto. Gli effetti di questo scivolare, o «conceptual slippage», possono comprendere molte eleganti analogie e molti «insights» creativi. Le analogie in particolare costituiscono per me lo strumento perfetto per studiare il funzionamento della mente. Mi sono sempre interessato alla creazione, alla creatività, (arte, musica, nuove forme letterarie basate su canoni musicali etc.) e mi interessano molto le analogie anche perché mi sembrano veramente essere al centro della creatività. Tu studi la creatività usando il computer, cosa pensi dello• studio della creatività da parte della psicologia? È un approccio completamente diverso? Ci sono psicologi che usano per i loro studi il calcolatore, altri si basano solo su studi fatti su persone. Per me è basilare avere una teoria, prima di cominciare lo studio di qualcosa. Mi sembra in ogni caso che i risultati siano meno chiari se si compiono solamente delle osservazioni su degli individui. E quando parlo di teoria, di modello teorico penso a un programma, di un computer, dove puoi in ogni momento modificare i parametri, i sotto-programmi, Temi: Lelteratura, la questione politica, pillura e scultura, architettura, musica, teatro, danza, fotografia, pubblicità, alfabeta Volume speciale bilingue (francese/italiano) a cura di: .. Inediti: Lei/ere di Cangiullo a Balla, ricel/e di CasaDepero, lei/era di Saint-Saens a Marine/ti, le/teradi Kulbin a Marine/ti. moda, cucina, futurismi stranieri, attualità Serge Fauchereau, Antonio Porta, Claudia Salaris 168 pagine a colori, formato cm. 24 x 34, Lire 18.000 Edizioni Intrapresa Via Caposile 2, 20137 Milano In edicola e in libreria IIWI etc. In questo modo si può veramente evidenziare un modello. Non potrei studiare il pensiero in alcun altro modo poiché è troppo complicato. A me sembra che le teorie psicologiche del pensiero siano basate su idee che danno per scontati molti concetti, usano cioè dei concetti non spiegati per spiegare altri concetti. Spesso gli psicologi non si accorgono di questa circolarità. È per questo che io ritengo essenziale partire da una base solida, e per me l'unica base solida è un programma, perché so come si comporta e capisco come funziona. È un modello preciso, controllabile. Mi parli di solidità, di certezze. Sono piuttosto sconcertata. Il mondo scientifico si scontra oggi con concetti quali incerllO rao Q11adri111estrad/el Ce111rodi Ricerrn rnlla Tradi:io11eMa11oscri11dai Auwri Cm11e111poru11e1. U 1i1·('r.,·i1,i di Pana Nel nono numero: Laila Romano e Attilio Bertolucci ricordano Vittorio Sereni «Appunti» inediti di Ennio Flaiano Nuove acquisizioni del «Fondo Franco Fortini» dell'Università di Pavia Saggi di Giorgio Orelli, Fabio Pusterla, Michele Prandi, Gianfranca Lavezzi In libreria a lire 10.000 Abbonamento per un anno (3 numeri) Lire 28.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa ViaCaposile 2, 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 tezze, provvisorietà, casualità: concetti che provocano attualmente un vasto dibattito culturale. Come ti poni tu di fronte a questa problematica? Per me non vi è scienza se non c'è certezza. Naturalmente in fisica sono descritti degli eventi casuali, ma casualità non è uguale ad imprecisione, poiché sono delle incertezze, degli eventi casuali «statistici», perfettamente e precisamente descrivibili. I concetti «flou», non ben definiti, incerti, provvisori, sono non solamente anti-scientifici, ma sono anti-intellettuali. Ammetterli vorrebbe dire che l'esplorazione precisa non è più possibile, che la vaghezza sia necessaria. Non ci credo! Vorrei che parlassimo ora di Godet, Escher, Bach. È un libro che dà l'idea di tanti percorsi diversi. È possibile a tuo avviso leggerlo in questo modo? Lo hai ideato così? Volevo fare un libro che si potesse aprire a qualunque pagina e incominciare, specialmente con i dialoghi. Però d'altro canto un libro è sempre una successione logica. Quindi in Geb c'è solamente una illusione di libertà, che non corrisponde alla realtà. Ho ricevuto lettere di persone che mi dicevano che avevano tanto amato il mio libro da leggerlo in sole 24 ore! Non è possibile! Si deve lasciar «bollire» le idee lentamente, come una zuppa! Ci sono poi anche esigenze personali diverse. Ci sono persone che non potrebbero mai capire tutto il libro: per esempio, mia madre ha letto solo i dialoghi, non ha capito il resto del libro. Ci sono pubblici diversi: ognuno capisce quello che può. Caro/, mia moglie, ha letto le prime 200 pagine e i dialoghi. In realtà c'è ben poca gente che ha veramente capito il libro. Il problema è che ho voluto spiegare una cosa molto difficile, anche per me. È per questo che la maggior parte delle persone capisce qualcosa, dei «pezzi». Forse ci sono addirittura troppi «pezzi» e il vero nucleo diventa difficile da trovare. Per esempio il titolo non è affatto, come molti hanno creduto, la descrizione del libro! Non è affatto un paragone tra questi tre personaggi! All'inizio infatti pensavo solo a Godei e al funzionamento del cervello, poi ho pensato ad Escher per via dei suoi disegni che mi piaceva utilizzare. Bach infine mi è venuto in mente quando ho scritto i dialoghi. La gente si sofferma su questi tre nomi e non prende sul serio il sottotitolo: «Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll», che centra molto più il soggetto del libro. Il titolo è indubbiamente affascinante ma non è rappresentativo delle idee centrali del libro. L' lo della mente, scritto con Daniel Dennet, è il tuo secondo libro: tra le diverse reazioni che ha suscitato alla sua uscita in Italia ce n'è una che riguarda il problema d_elrapporto tra mentale, soggettivo e coscienza. Per esempio ti ~i accusa di non aver ben definito la coscienza che sembri alcune volte identificare con il cervello ed altre volte con la consapevolezza di avere un cervello. Nè l'uno nè l'altro secondo me: io direi che la coscienza è come. un fuoco di legna. La coscienza non è. un oggetto come il cervello, dunque l'idea che la coscienza è il cervello è falsa perché il cervello è un oggetto fisico. Il fuoco è invece un processo e la coscienza assomiglia al fuoco. Direi che la coscienza è un aspetto del fuoco mentale che abbiamo nei nostri cervelli, non direi neanche dunque che è la consapevolezza di avere un cervello. Direi che quando si è in grado di percepire il mondo in modo «fluido» allora si è coscienti. La percezione esige e diventa la coscienza; allora in questo senso anche tutti gli animali sono coscienti nella misura in cui la loro percezione del mondo è sottile e flessibile. Più si hanno concetti e più si è coscienti. Naturalmente quando si ha un repertorio molto vasto di concetti, allora il problema di organizzare questa «videoteca» di concetti diventa molto complicato: ecco perché è importantissimo avere concetti che sappiano legarsi ad altri concetti. Questa idea è ancora da definire e da precisare nella mia mente. L'idea è che quando il repertorio di concetti diventa abbastanza grande allora ci vuole un secondo livello, un metalivello, dove i concetti si fanno indici dei concetti; a quel momento ci si comincia a rendere conto che ci sono concetti, che ci sono percezioni e si può cominciare a fare un metarepertorio: la coscienza comincia per me veramente allora. Quando l'universo dei concetti diventa troppo vasto e complicato l'emergere della coscienza è inevitabile. Cosa pensi dell'introduzione del computer nella scuola? Ritieni che possa costituire solo un supporto all'insegnamento o qualcosa di diverso e di più? Vuoi dire come un insegnante? Questo è possibile eventualmente, se si riescono a fare programmi molto complessi, perché no? Per adesso i calcolatori si possono già utilizzare per costruire modelli di fenomeni molto complicati, per esempio in fisica o in matematica, a livello universitario. Ci sono in effetti concetti molto difficili, molto astratti che si possono capire soltanto per mezzo di eccezionali capacità mentali. Per immaginare un grafico molto complicato si deve avere una immaginazione molto forte ma se si usa il calcolatore si può vedere una superficie, si possono vedere le curve, si possono modificare i parametri e cambiare il grafico. Dunque si possono rendere più evidenti certe cose che sono molto astratte. Sono convinto che ci sono moltissime cose che si possono rappresentare sullo schermo di un calcolatore: ad esempio per insegnare la geometria si possono fare programmi che aiutino i bambini. Credo in definitiva che il calcolatore sia veramente essenziale per la scuola, ma è soprattutto importante il software, si devono usare cioè programmi ben fatti altrimenti i risultati possono essere pessimi. È come se tu mi chiedessi: «Si possono usare i libri a scuola?» «Sì, certo, ti risponderei - ma dei buoni libri!» È lo stesso per il calcolatore perché ha la stessa forza intellettuale e può veramente aiutare. Quindi risponderei alla tua domanda con un sì molte forte! a cura di Donata Fabbri Montesano

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