L'elettronico e il biologico P robabilmente la maggior parte di coloro che hanno apprezzato o addirittura amato il film Biade Runner di Ridley Scott, saranno rimasti colpiti soprattutto dalla inquietante ambientazione tra il futuribile e il bassofondo, o dalla magia avvincente della vicenda narrata. Colo- . ro che, in un modo o nell'altro, hanno invece a che fare con il mondo della Intelligenza Artificiale, certamente saranno caduti nella trappola dell'interrogativo filosofico che sta alla base della sua idea originaria. È davvero possibile cioè che una macchina costruita dall'uomo possa veramente pensare? Ovvero, è davvero possibile che una macchina possa provare sensazioni e avere stati d'animo') Il film ci risponde di sì. Il dibattito filosofico aperto intorno all'Intelligenza Artificiale in questi ultimi anni ci avverte invece che una risposta definitiva è molto lontana da noi e dalle nostre attuali possibilità. Per definire meglio la questione riproporremo l'ormai diffusa distinzione di John Searle tra ipotesi forte e ipotesi debole della AI. «Secondo la AI debole il principale valore del computer nello studio della mente è di darci uno strumento molto potente. Per esempio, ci dà la possibilità di formulare ed esaminare ipotesi in un modo più rigoroso e preciso. Invece. secondo la AI forte, il computer non è semplicemente uno strumento nello studio della mente: piuttosto il computer appropriatamente programmato è realmente una mente, nel senso che i computer, cui sono· stati dati i programmi giusti, capiscono e hanno altri stati cognitivi.»' Sull'ipotesi debole nessuno. nemmeno Searle (se non marginalmente), ha da avanzare obiezioni. Il problema epistemologico vero, al centro del dibattito degli ultimi anni, è il problema della Al forte, il problema di Biade Runner. Paladino degli oppositori è lo stesso Searle, a cui si contrappongono buona parte dei ricercatori americani. Sostanzialmente, il nocciolo dell'obiezione mossa da Searle è il seguente: 2 c'è almeno una differenza sostanziale tra il funzionamento del cervello e quello di una qualsiasi macchina programmata. Il cervello funziona se11Ìw1ticamente, associando cioè dei significati alle proprie percezioni; la macchina lavora invece sintatticamente, seguendo delle regole per lei senza significato, seguendo semplicemente delle istruzioni senza alcuna profondità. E, ci dice Searle, «la sintassi da sola non è sufficiente per la semantica». 3 È proprio questo perciò il punto della discussione: La semantica è davvero inaccessibile a un trattamento puramente sintattico? I risultati - anche se fino ad oggi non particolarmente brillanti - ottenuti nel campo del «text understanding», della comprensione automatica dei testi, sembrerebbero far pensare che ciò non sia vero. Tutto sommato, per quanto limitati, quei programmi riescono nella loro limitatezza a comprendere, spiegare e tradurre testi; e per fare questo certamente un qualche meccanismo semantico viene coinvolto. Ma sappiamo bene che l'obiezione di Searle è in realtà più profonda, e che la effettiva comprensione di quei testi da parte di quei programmi è piuttosto discutibile. Il problema è infatti molto più intimamente teorico; nel senso di «comprendere» in cui un essere umano comprende un testo, certo nessun programma lo comprende oggi. Ma davvero mai questo potrebbe accadere? I veicoli pensanti di Valentino Braitenberg propongono un altro approccio al problema.' Invece di preoccuparsi di operazioni così complesse come la comprensione dei testi, cercano di ricostruire un comportamento animale a partire dalla combinazione di comportamenti elementari automatici derivanti dalle interazioni tra sensori e motori dei veicoli. E i risultati sono davvero interessanti, venendo pro.dotti da questi veicoli in maniera matematicamente rigorosa comportamenti che hanno lo stesso indice di imprevedibilità dei comportamenti naturali, e che, come i comportamenti naturali, sono Al fortemente influenzati dal passato individuale del veicolo che li produce. Di fronte a risultati di questo genere, quando dei «veicoli» riescono a interpretare le proprie percezioni - per quanto in maniera incomparabilmente più grossolana che nel caso del più stupido comportamento umano - viene davvero da domandarsi se quello di Searle non sia un falso problema, del tipo di quelli che Kant, un paio di secoli fa, dissolveva in via definitiva nelle pagine della sua Dialettica Trascendentale. Perché in fin elci conti questa hcncclctta Frun::: !'11/11de110, I 985 semantica deve potersi risolvere in un rapporto formale - complesso fin che si vuole, ma pur sempre sintattico - tra oggetti mentali. Perché se non la pensiamo così probabilmente pensiamo che la semantica sia un campo non scientificamente esplorabile - e pare che Searle arrivi proprio a questa conclusione. 5 La risposta più dura che l'AI forte ha dato a Searle viene dalla voce di Douglas R. Hofstadter ,6 il quale senza mezze parole accusa Searle di m1st1c1smo.«Searle è il rappresentante di una categoria di persone che hanno un orrore istintivo per ogni spiegazione definitivamente esaustiva dell'anima». Secondo Hofstadter, Searle si rifiuta di capire la distinzione di livello che separa la mostruosa complessità della mente umana da quella di una qualsiasi macchina, anche solo ipotizzabile; una distinzione che risiede tuttavia solo nella maggiore complessità, e non in qualche indicibile proprietà del pensiero. «Chi avrebbe creduto che la luce consistesse di particelle pri\·c di massa che ubbidiscono a un principio di incertezza mentre viaggiano attraverso un universo curvo a quattro dimensioni? Il fatto che intelligenza, capacità di comprensione, mente, consapevolezza, anima scaturiscano da una sorgente improbabile - un tessuto enormemente confuso di corpi cellulari, sinapsi e dendriti: è assurdo, eppure innegabile». Per molti insomma la distinzione tra ipotesi debole e ipotesi forte non è che l'astratta costruzione di chi applica presupposti misticisti allo studio della mente. Al di là di questa distinzione prosegue comunque il lavoro dell'Intelligenza Artificiale sul funzionamento del pensiero umano. E al di sotto di quel lavoro sta necessariamente un'ipotesi di regolarità; ovvero che sia possibile parlare di come funziona qualsiasi fenomeno naturale, cioè nei termini della combinazione di forze generate da fenomeni più elementari. Senza un'ipotesi profonda di questo genere non solo non sarebbe possibile la AI, ma non sarebbero possibili nemmeno psicologia e psicoanalisi o qualsiasi altra disciplina che si occupi del comportamento umano, e che voglia avere una base il più possibile rigorosa. Così, in generale, sulla base delle nostre conoscenze sull'andamento dei fenomeni naturali, siamo in grado di produrre sul calcolatore simulazioni, la cui aderenza al vero ci illumina sulla validità delle nostre teorie. Il giorno che fossimo in grado di costruire una simulazione della mente umana, sulla base delle nostre conoscenze, che producesse risultati indistinguibili dai risultati producibili da un uomo in carne ed ossa, certo potremmo dire di conoscere il funzionamento del pensiero. Ma a quel punto, che cosa distinguerebbe la macchina dall'uomo? S earle e altri risponderebbero: il tessuto biologico; la differenza insormontabile sta lì: l'elettronico non è il biologico; se le nostre macchine fossero costruite con componenti biologiche allora potrebbero pensare. Ma se è il biologico il punto fondamentale, allora si pongono alla scienza e alla AI due alternative: o pensiamo che c'è qualcosa di inconoscibile nel biologico, e in questo caso non ci sarebbe niente da fare; oppure, se riteniamo che anche le interazioni biologiche elementari possano essere spiegate attraverso interazioni formali, come accade per qualsiasi altro fatto fisico, non possiamo allora dubitare che queste interazioni formali possano essere riprodotte in circuiti elettronici che compiano esattamente lo stesso lavoro dei circuiti biologici. Certo, anche la «Connection Machine» del Mit è mostruosamente lontana da un risultato di questo genere; e nemmeno possiamo dire se si trovi sulla strada giusta o meno. Quello che è sicuro è che la sua potenza molto maggiore rispetto alle macchine che l'hanno preceduta, e ancora di più la sua diversa struttura ci permetteranno di formulare e soprattutto di verificare molte nuove ipotesi sul funzionamento della mente umana. Come dire: che si trovi sulla strada giusta oppure no, ci darà comunque un grosso aiuto per trovarla. Daniele Barbieri Note (1) John Searle, Minds, Brains and Programs. Versione italiana «Menti, cervelli e programmi», in Menti, cervelli e programmi. Un dibattito sull'intelligenza artificiale, a cura di Graziella Tonfoni, Clup-Clueb, Bologna 1984, p. 46. (2) Cfr. John Searle, Minds, Brains and Science, Bbc London, 1984. Di imminente uscita in Italia. (3) lbid. p. 34. (4) Valentino Braitenberg, I veicoli pensçmti, Garzanti, Milano 1984. (5) Cfr. Searle, op. cit., capitolo 5. (6) Douglas R. Hofstadter, «Riduzionismo e religione», in Menti, cervelli e programmi, cit., pp. 114-117.
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