Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Prove d'artista Mario Lunetta La velocità della luce [Alfabeta 89] I ; mi chiedo, tra questi richiami balbuzienti di corvi rimbalzanti contro un cielo di grigio gualcito taffettà (di persiano tafta, di malconcio gatto d'angora, agoràfobo ed acre) se Telesio amasse la Tele(vi)sio(ne), in quei suoi grami tempi gremiti di nulla o di ben poco, culla di immagini proterve, di minerve iperarmate e ultrasapienti, bocche cucite, carogne arse. Tutto poi serve, enfin - ti dici -: anche le ceneri; anche un citrullo, grullissimo gioco di parole disonorate, che ti richiama il giogo in cui siamo stretti, poareti, nel nostro tempo astronautico, metacopernicano, ritmato magari da un qualcosa che può essere, mettiamo, Epistrophy di Thelonious Monk, mitra a tracolla, monaco monco al pianoforte. 2 ; la montagna ha un profilo noto, avvolta di capelli neri: di colpo, in un vortice, in un network folgorante. Qualcuno qui mi parla amabilmente, in alcune lingue non mie, tentando di restituirmi la mia lingua perduta: e questa mia amara bocca è muta, in uno scricchiolio di ossa macinate. Lontanissimo il mare, non so dove si celebrano aprili festosi e disperate fini d'anno. Cracovia jagellonica. Varsa·via, Stare Miasto sotto un dolcissimo rovescio di neve, dissoluzione della mente a altissima temperatura: le corna rQttecontro nere porte di ferro. Eccomi cane, irrimediabilmente: topo infangato. Addosso mi pesa, enfin, una privazione di troppo. Il dollaro cade, inopinato miracolo. Nessuno nota la differenza (assai analogica) che corre, immobile, inchiodata, tra cruauté e crudités: parbleu. 3 ; tra le macerie un altro monco vero, manica vuota della giacca infilata in tasca (Karmelitow Bosych, o lì nei pressi), accende la sigqretta nevroticamente, veloce come un gatto. Si rompe un piatto, poco più in là (la vecchia piange, poi ride ancora): questa certo è aria di neve, di nuova neve neutronica, senza carica elettrica, di peso atomico tremendo, e lievissima al tatto: quest'aria, dico, addensata contro la casa piena di curve peggio di una soubrette, finestre verdi con tende a strisce. Magnolie lucide, tamarindi, corbezzoli. Tutto decisamente sorprendente (e altrettanto caduco). Al muro, una sciabola della guerra di Libia accanto a un bossolo di mortaio, e un puff di vimini. Carte da parati di una delicatezza trasparente: niente più ormai ci stupisce, enfin, in questo stupefatto camminare dentro la neve e l'ombra alla velocità della luce. .. 4 ; il mondo è tenue: una bolla d'aria (o di sapone), se visto da queste modestissime altitudini. Si sente che, in fondo, ha bisogno soprattutto di molto pallore bistrato, delle interrogazioni di uno sguardo nocciola, mentre ci si sfila i guanti, le scarpe e il resto, in un'infernale umidità. Sotto la pioggia le auto ai bordi della strada (rossa terracotta di Barbakan, ragazze in pelliccia strette in atroci jeans rosa shoking, magliette con la scritta Sex Pistols, come in una sciarada, sotto un cielo di macabra lavagna): e un'ombra che sempre m'accompagna, solidissima, e mi precede, e m'invita. Le auto, dico, inclinate verso il muro, aria sofferente e un po' medianica. Un cane bagnato dentro la rètina: sembra travestito da pecora nera. La volkswagen bianco/atte: si potrebbe mangiarla, con la mente a certe cattedrali del norditalia, a una squallida birreria, a una voce nella nebbia, spezzata: mentre, enfin, l'aerostato esplode di luci multicolori («Beauté tahitienne, n'est-ce-pas?»): e qui, di colpo, l'afrore del patchouli. 5 ; sfilano filanti filari di uva fragola sorretti da canne imbandierate, e alberi di mele carichi di sfere coralline, nel freddo che intirizzisce. Imbattersi d'emblée (come dentro un'italica polka, una Polonia mediterranea, o che) in una stele neoclassica, elegante ed incongruo meteorite caduto ai piedi del Castello di Manforte (Campobasso), in una piccola pèste di abbandono e degrado, preda di fameliche erbe, di sterpi e serpt: TERRITUS ANCUIFERAE QUID PERFUCIS ORA MEDUSAE HAEC VITREA UNDAS NEVE (.) EARE DABIT: (incompletezza non ricomponibile). Nel vuoto della valle i corvi sparano, enfin, traiettorie d'infinita mollezza. L'ora, sorda di quiete nel suo sonno filologico: nel sonno del suo sogno voluminoso e gracile, così.

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