Alfabeta - anno VIII - n. 89 - ottobre 1986

Mensile di informazione culturale Ottobre 1986 Numero 89 I Anno 8 Lire 5.000 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo III/70 • Printed in Italy -1\tMED~· GJITL:BA PROGETTCOULTURA ANNO TERZO: CONTINUAILDIALOGO CONI GIOVANI, LASCUOLAL, ASOCEI T!X. fl monTEDISDn SCIENZA RICERCA TECNOLOGIA

Einaudi Il piacere del romanzo storico: JeanLévi Il GrandIemperatore e i suoai utomi La Cina di duemila anni fa e il suo primo imperatore, teorico e fondatore dello Stato totalitario. La pittura d'insieme di una società raffinata e crudele, di inquietante attualità. «Supercoralli», pp. 293, L. 24000 LailaRomano Romanzdoifigure In questo particolarissimo romanzo, le immagini e la scrittura, rimandandosi a specchio, creano un unico, intenso clima poetico e« storico». «Supercoralli», pp. v11-237, L. 25 000 GiovanGniudici Salutz (1984-1986) Un antico ideale di poesia per la storia di una passione moderna: il canzoniereromanzo di Giovanni Giudici. «Supercoralli», pp. 106, L. 16000 JaroslaSveifert Vestitdailuce Poesie1925-1967 Un'antologia del Premio Nobel 1984, con l'inedito Mozart a Praga. A cura di Sergio Corduas. «Collezione di poesia», pp. XXIIl-2 I 3, L. I 2000 ArnaldBoagnasco Torino Unprofilosociologico Torino fuori dai miti: le risorse, i ritardi, le prospettive di una società in trasformazione. «Nuovo Politecnico», pp. vm-88, L. 5500 MarcelPloera Laranambigua Il caso esemplare della controversia scientifica che oppone Volta a Galvani: che cosa decide il destino di due teorie rivali? «Biblioteca di cultura storica», pp. XXl-209, L. 26 000 GuidCoavalcanti Rime Questa edizione critica e commentata, a cura di Domenico De Robertis, arricchisce la prestigiosa collana di classici italiani, diretta da Gianfranco Contini. «Nuova raccolta di classici italiani annotati», pp. xxvn-280, L. 35 ooo Memordiaell'antico nell'artietaliana A cura di Salvatore Settis lii. Dallatradizione all'archeologia Dal reimpiego alla memoria storica, dalla continuità d'uso alla conoscenza «archeologica»: si conclude con il terzo volume l'indagine piu organica mai tentata sull'esperienza dell'antico nell'arte italiana. pp. 539, L. 85 000 AntoniFoaeti Intrappoclaoltopo UnaletturdaiMickeMy ouse Ligio alle leggi, amico dei potenti, attento al decoro: chi è davvero Topolino? «Saggi», pp. x1v-289, L. 25000 le immagindiiquestonumero L a selezione operata da Paola , Mattioli stessa, tra tutte le fotografie da lei realizzate in più di quindici anni, mi pare molto matura, e leggiadra. Mi spiego. Matura e leggiadra, perché Paola ha saputo temperare quel debole che ogni artista nutre sempre per la sua ultima produzione, perché ha voluto anche evocare valenze meno recenti delle sue risorse creative, legate forse a un diverso clima culturale. Questo è proposto con lievità, con intelligenza. Avverto anche in questa selezione la fiduciosa speranza che la coerenza profonda, se c'è, s'imporrà da sé. E non può, questa coerenza, che essere dell'ordine dello stile. Dunque fedele a se stessa ma altrettanto decisa ad affermare l'attuale radicalizzazione di alcune tra le sue scelte di lunga data. Tutte le fotografie qui presentate gravitano attorno al tema del ritratto. Ritratto di posa più che scatto da reportage, con l'eccezione dei quattro sorrisi, di Ungaretti, Klossowsky, Althusser e Marco Ferreri (ma un buon fotografo non si può certo sottrarre, nel corso della sua carriera, alla scommessa di catturare in una funzione di secondo lo sguardo forte, libero e quasi sempre irriverente di un artista). E poi Paola Mattioli è discepola di Ugo Mulas. Sa sintonizzarsi sulla sensibilità di un pittore, che viene fotografato generalmente in interno, alludendo ai suoi gesti e al suo mondo poetico, più che alla sua opera vera e propria. E poi ancora, in un'altra direzione, tinta da inchiesta sociologica, ricordo che Paola ha svolto alcuni reportages dal vivo, in particolare nel mondo quotidiano delle donne. Ricordo il titolo della mostra f olografica più significativa, nel '75. «Dietro la facciata», si chiamava. Il titolo parla da sé. Si inseguiva allora una verità riguardante un soggetto nuovo, la «verità» per opposizione alla «facciata». Sommario Remo Faccani Energia dell'errore· (La terza fabbrica, Teoria della wosa, Libro sul soggetto, di V. Sklovskij) pagina 3 Mario Perniola Le quattro possessioni (Musica e trance. I rapporti tra la musica e i fenomeni di possessione, di G. Rouget; L'occhio del silenzio, di M. Tasinato; Amore come passione, di N. Luhmann) pagina 4 Paolo Bertetto Guerra di Parole (La parola totale. Una tradizione futurista 1909-1986, di A. Bonito Oliva) pagina 5 Carlo Formenti Ma non è storia (Storia del partito armato 1968-1982, di G. Galli) pagina 6 Biancamaria Frabotta In vecchiaia, i poeti e i danzatori (Tutte le poesie, di V. Sere,:ii;Il Conte di Kevenhuller, di G. Caproni, Idioma, di A. Zanzotto) pagina 7 Ora credo di poter affermare che già allora per Paola la facciata fosse la verità: l'opacità della facciata delle cose, quello «strato di senso grezzo», per dirla con Merleau-Ponty che Paola ama e conosce bene. A differenza dell'«uomo parlante», «il pittore è l'unico ad aver il diritto di sguardo su tutte le cose, senza dovere di apprezzamento». Come il pittore, il fotografo ha a che fare con la «facciata», con il visibile, con l'epidermide del mondo e il suo fascino opaco. .l\'ei ritmfli. la "(acciaia,. è la loro vita, invito a guardare attentamente il ritratto di zingare con bambini: equilibrio impeccabile tra naturalezza da gineceo, esibizione di potenza antica da parte delle zingare, e puntuale regia della fotografa (è stata lei a improvvisare il fondale con le stoffe variopinte, creando tra tendaggi e gonne, pieghe e fiori, quel sontuoso gioco che discretamente echeggia Delacroix e Matisse). Nella sua ultimissima produzione, che non si può spiegare soltanto con la committenza - il mondo della moda - Paola Mattioli è lilk11uk11.1 B.1111111. i'J,,J maschera personale, l'apparato di controllo e di mimica, di seduzione o di pudore tramite il quale ogni volta si concede allo sguardo altrui. Mi viene in mente un grandioso modello di ritratto di gruppo. È la «facciata» dell'ordine regale spagnolo, messo in scena da Velasquez nella tela Las Meninas. Oppure, più vicino a noi e nella storia della fotografia, la disperata «facciata» del perbenismo più povero nel Bronx newyorkese, ieraticamente immobilizzato dal- !'occhio di Diana _Arbus. E per tornare alla nostra fotografa italiana, alle donne e al visibile della Antonio Fabozzi, Gianni Mammoliti Libri per Tolkien (Vita di J.R.R. Tolkien, di D. Grolta; Gli lhklings. C.S. Lewis, J.R.R. Tolkien, C. Williams e Co., di H. Carpente,; La Mitologia di Tolkien. I miti antichi nel mondo fantastico della terra di Mezzo, di R.S. Noel) pagine 7-8 Prove d'artista Piero del Giudice pagina 9 Mario Lunetta pagina 10 Vilma Costantini Barzini da Pechino- a Parigi pagina 11 Cfr. pagine 12-13 Testo: Al Daniele Barbieri Marvin Minsky Daniel Hillis Tomaso Poggio Valentino Braitenberg Karj,. Pribram Intervista a Hofstadter pagine 14-19 Gianni De Martino La valigià di Thomas Mann (Journal de Thomas Mann; La morte a Venezia, di T. Mann) pagine 20-21 gia ad un suo tema prediletto, le donne_ Ma lo è più che mai nella libertà, cioè senza sacralizzazione, né sindàcale né conventuale. Contemplare il corpo donna, i suoi contorni, la sua misteriosa esteriorità fenomenica. Non si tratta di raccontare, soltanto contemplare. È al lavoro qui un rigoroso sforzo di cancellazione di tutto ciò che, in un volto, vi è di dinamico e comunicativo. Si tratta invece di evidenziare ciò che vi è di più fisso e silenzioso, assorto su se stesso, insondabile. La facciata, la maschera. Le tecniche di presa di distanza, Edoardo Greblo La nuance, Bergson (Opere 1889-1896, di H. Bergon; «La "nuance" - Note sulla metafisica di Bergson», di P.A. Rovatti, «aut aut» n. 204, 1984) pagina 23 Francesco Coniglione Il circolo di Leopoli-Varsavia (La scuola filosofica di Leopoli-Varsavia, di J. Wolénski; Linguaggio e conoscenza, di K. Ajdukievicz) pagine 25-26 Antonio Attisani Lo spietato ottimismo pagina 27 Giuseppe Bartolucci Opere teatrali varie pagine 27-28 Guido Almansi Il sublime nell'opera lirica pagina 29 Giornale dei giornali Audience pagine 30-31 Indice della comunicazione Cd Rom pagina 30 Supplemento Dodici donne a cura di Marisa Fiumanò e Silvia Vegetti Finzi Le immagini di questo numero Paola Mattioli di Anne-Marie Sauzeau Boetti per meglio contemplare il visibile senza l'invadenza della precarietà, sono tante. Sono ad esempio quei basamenti che sospendono i corpi in un astratto spazio di concentrazione (come un tappeto di preghiera), o i contrasti di luce che scontornano le sagome; o il «taglio nero» che annulla il contesto e rende il bianco pura porcellana; e ancora l'accostamento del- !'addobbo, stilisticamente sconcertante (la modella con il ventaglio è una visione futurista oppure teatro giapponese?), o all'opposto la purezza più spoglia (la nudità delle bambine, gracili come le terracotte di Arturo Martini) ... Nella loro maniacale sofisticazione stilistica, questi ritratti non diventano immagini dell'idealità. Rimangono reali e profani, ma decisamente inattuali, in una specie di neo-realismo magico. E misteriosamente, il visibile e l'invisibile del!'esistente si ricongiungono in silenzio. Quando lo «stile» è pienamente raggiunto. Prova ne è il più splendido di questi ritratti, il più distante - la ragazza con la cuffia - in cui è passato, filtrato, lo sguardo d'amore della madre (fotografa) verso la figlia (modella). Anne-Marie Sauzeau Boetti Tra le foto di Paola Mattioli pubblicate in questo numero, alcune fanno parte di una serie realizzata per il settimanale Amica. Alle immagini delle pp. 25,. 26, 28, 30 e 31 hanno collaborato: Cristina Amodio, Marco Capuana, Lalla Cheli, Nando Chiesa, Aldo Coppola, Giancarla Corbetta, Carlo Alberto D'Emilio, Tonino Fodale, Mauro Foroni, Beatrice Gatti, Cathy Gallager, Giorgio Goodrode, Gadi, Aldo Mondino, Pietro Notarianni, Patrizio Parolini, Toni Rovatti, Sara Sereno, Scenart, Ilaria Stucchi e l'Assessorato alla cultura del comune di La Spezia. A quella di pag. 29: Mauro Foroni, Stefano Gatti e Francesco Pesenti. Alle foto delle pp. VI, VII, X, XI e XII del Supplemento: Mauro Foroni, Carlotta Marioni, Aldo Coppola e Furio Campetti. In copertina Modella con ventaglio: un ritratto realizzato da Paola Mattioli nel 1985 alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese Maria Corti, Gino Di Maggio Umberto Eco, Maurizio Ferraris Carlo Formenti, Francesco Leonetti Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti Gianni Sassi, Mario Spinella Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Floriana Lipparini Maurizio Meschia Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione cultul'ftle Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Te!efono (02) 592684 Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, 1--C_o_m_u_n-,·-ca_z_i_on-e-ai_c_o_ll_a_b_or_a_t_or-,·---------------------~-----------------1 viale Monte Grappa 2 , Milano di . -Alfabeta» pagine e prezzo: Occorre in fine tenere conto che il cri te- Distribuzione: Messaggerie Periodici - c) gli articoli devono essere mv1at1 in rio indispensabile del lavoro intelletLe collaborazioni devono presentare i triplice copia: il domicilio e il codice tuale per Alfabeta è l'esposizione degli seguenti requisiti: fiscale sono indispensabili per i pezzi. argomenti-e. negli scritti recensivi, dei a) ogni articolo non dovrà superare le 6 commissionati e per quelli dei collaho- temi dei libri- in termini utili e evidenti cartelle di 2000 battute: ogni eccezione ratori regolari. per il lettore giovane o di livello univerdovrà essere concordata con la direzio- La maggiore ampiezza degli articoli o sitario iniziale, di preparazione culturane del giornale: in caso contrario sarc- il loro carattere non rccc.nsivo sono le media e non specialista. mo costretti a procedere a tagli: proposti dalla direzione per scelte di la- Manoscritti, disegni e fotografie non si b) tutti gli articoli devono essere corre- voro e non per motivi preferenziali o restituiscono. 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Viktor Sklovskij Tret'ja fabrika (La terza fabbrica) Moskva, Izdatel'stvo «Krug», 1926 pp. 160 O teorii prozy (Teoria della prosa) Moskva-Leningrad, Izdatel'stvo «Krug», 1925, pp. 250 Moskva, Izdatel'stvo «Federacija», 19292,pp. 267 (tr. parz. M. Olsoufieva Bari, De Donato, 1966 pp. 254, lire 2.500 e poi Milano, Garzanti, 19742 pp. 296, lire 9.000; tr. integr. C. G. De Michelis e R. Oliva Torino, Einaudi, 198l2 pp. XXVI-325, lire 14.000) O teorii prozy (Teoria della prosa) Moskva, «Sovetskij pisatel», 1984, pp. 384, rubli 1,70 L'energia dell'errore. Libro sul soggetto (trad. M. Di Salvo) Roma, Editori Riuniti, 1985, pp. 288, lire 25.000 E siste una bella, pungent~·let- • tera aperta di Viktor Sklovskij a Roman Jakobson, «interprete della rappresentanza plenipotenziaria sovietica» a Praga. È della metà degli anni venti; e il suo autore la pubblicò prima in una rivista e poi nel volumetto Tret'ja fabrika (La terza fabbrica). «Da due anni», modulava nostalgicamente Sklovskij, «non arrivano tue lettere. E anch'io taccio, quasi fossi in colpa ... Noi, tu ed io, eravamo come due pistoni in uno stesso cilindro. Non succede che nella vita delle locomotive. T'hanno svitato e ti tengono a Praga a far da suppellettile ... Dimmelo: c'è qualcosa per cui abbiamo litigato? No, non abbiamo litigato. Gli uccelli si tengono al loro sottile ramo anche nel sonno. Così noi dobbiamo tenerci uno all'altro». E ancora: «Tu, Roman, sei autentico... La scienza tu non la mercanteggi. La rispetti. Conosci bene il mio delirio. Neppure io la mercanteggio, io ci danzo ... Su. dimmelo, fulvo Roman: dimmi l?erché vuoi essere un accademico. E gente noiosa, tricentenaria. Senza soluzioni di continuità, senza morte... Questa è la seconda volte che ti richiamo a casa. Non ti correrò dietro». Il «fulvo Roman», che per un quinquennio aveva capeggiato il gruppo moscovita del formalismo russo, e che dal 1920 si trovava in Cecoslovacchia, non tornò «a casa». Quando mise di nuovo piede in Russia, trent'anni dopo, aveva ormai in tasca un passaporto americano. E in America, come sappiamo, si è spento nell'estate del1'82, a ottantasei anni. Sklovskij - che del movimento formalista aveva guidato da par suo, con esuberanza e straordinar-ri l:l ria inventiva, l'ala pietroburghese, .s il cosiddetto «Opojaz», o «Asso- &° Cl.. ciazione per lo studio del linguag- °' oO gio poetico» - ha chiuso novantunenne, i suoi giorni a Mosca sul finire del1"84 (la dieta a base di formaggio fresco e cipolla cruda, che gli consigliò un mecenate della sua giovinezza, .sembra avergli indubbiamente giovato ... ). La sua ultima fatica (mai, sino alla fine, Sklovskij avrebbe potuto ripetere di sé il celebre attacco del GeronEnergiafl~ll'errore tion eliotiano: «Son qui, vecchio iri un'arida stagione ... ») è stata un'eccentrica rivisitazione dei temi del suo giovanile capolavoro critico-letterario: lo smagliante, estroso, polemico O teorii prozy (Teoria della prosa), che, apparso nel '25, quasi a suggello delle battaglie formaliste, e delle battaglie dell'avanguardia artistica russa in genere, su cui stava avanzando inesorabile il buio della lunga notte staliniana. L'ultima opera di Sklovskij edi7 ta nella nosha lingua è, invece, il «libro sul soggetto» - o «sull'intreccio», se si preferisce - L'ener-' gia dell'errore, che in Urss ha visto la luce nell"81. E leggendolo si ha, tra l'altro, una conferma in più che il suo autore, se non impedì all'amico di diventare un «accademico» - ma un accademico vitale e creativo come pochi! -, egli, per parte sua, fu sempre ben lontano dal correre un simile rischio. C'è anzitutto da spiegare quel titolo. L'espressione «energia dell'errore» viene dal grande Lev Nikolaevic: Tolstoj (annota Sklovskij) «bramava» che gli «errori non finissero», poiché «erano le tracce della scelta della verità. Erano la ricerca del senso della vita del genere umano». Questa, la sofferta, luminosa lezione fiorita sul tronco dell'esperienza stessa di Tolstoj. «Egli (sono ancora Jlarole di Sklovskij) sbagliava sempre in amore, nell'organizzare la propria esistenza, nel dar la caccia al denaro, nel definire una situazione»; e sarà proprio !'«energia dell'erroClu11d1ul't'1'1'81'1IIÌ S//lcchi. /985 re» («errore» anche nel senso di «sviarsi», «smarrirsi») a fargli trovare «la sua strada». Dunque, l'«errore» come fervida, feconda matrice di cultura, e in primo luogo, per Sklovski j, di cultura letteraria, di invenzione romanzesca; !'«errore» coine sorgente inesauribile d'intreccio narrativo e di incantesimo affabulatorio. Il romanzo, secondo una formula tolstojana, è «un labirinto di .concatenazioni». E Sklovskij commenta: «È un'unità di concatenazioni. L'opera d'arte è unitaria, consiste di pluralità che producono opposizioni semantiche». Nessun magico filo di Arianna aiuterà il romanziere a uscire dal suo labirinto: a ricondurlo fuori, vittorioso, sarà soltanto la sua capacità di riconoscere gli «errori», le mosse e le piste sbagliate, e di venirne a capo. O, più semplicemente, più istintivamente, si tratterà, per il narratore, di saper distinguere fra ciò che serve e ciò che non serve, con un felice finissimo intuito «da scoiattolo». «Gli scoiattoli nel bosco (ci ricorda Sklovskij) si nutrono di pigne d'abete e, quasi senza vederle, tengono conto dell'esistenza delle membrane dure, degli interstizi fra i pinoli. Ma la cosa principale per lo scoiattolo sono i pinoli, di cui va in cerca. La pigna rosicchiata la lascia cadere a terra, senza mai preoccuparsi della riedizione di questo oggetto bell'e sviscerato» . . . .Precisa Sklovskij a un· certo punto, quasi tirando le somme del proprio lavoro: «La _contraddittorietà della creazione, dei libri, dell'amore per i propri personaggi. Ecco il tema del libro che state leggendo». S'ingannerebbe però chi credesse d'aver di fronte una lineare esposizione su opere, autori, problemi critici. La traversata di queste pagine non ha il confroto di mappe, di portolani che indichino in anticipo rotte e itinerari. La musa che presiede a L'energia dell'errore è quantomai erratica, divagante, capricciosa. Vi predominano, senza freni, il gusto e il piacere dell'intarsio, dell'accumulo, delle accensioni rapsodiche, del dettaglio singolare fino all'improbabilità, degli aneddoti a cascata. (Non per niente, fra gli idoli letterari del giovane formalista ebbe un posto d'onore Laurence Sterne, al cui Tristram Shandy egli dedicò, fin dal 1921, uno stupendo saggio confluito poi in O teorii prozy). Questo tardo Sklovskij c'è chi l'ha paragonato, con una calzante immagine, a un intrepido lupo di mare a riposo che costruisce fragili e fantasiose navi in bottiglia. Potremmo ugualmente paragonarlo a un moschettiere ritiratosi dalle zuffe, che, appesa al chiodo la sua spada micidiale, ormai duella soltanto con le ombre e i fantasmi della sua immaginazione. Ma viene anche naturale pensarlo come un vegliardo ritornato bambino, che si aggira sornione in mezzo al rutilante disordine della sua stanza tappezzata di fogli variopinti, e si diverte a mescolarli, a confonderli. Ognuno di quei fogli è una riflessione, un ritratto - o giusto l'abbozzo di un profilo-, un angolo di città, uno scorcio di_paesaggio, una figura reale o fittizia, una scheggia di memoria o di autobiografia. Il ripiegarsi su se stesso del novantenne ex marinaio, o ex spadaccino, occupa vasti squarci ne L'energia dell'errore. Il suo libro (avverte Sklovskij) «non è sconnesso; è il libro di un uomo che è innamorato della vita come Dusecka» (la protagonista del famoso, omonimo racconto cechoviano), un uomo che nella vita «... cerca il confronto, che non cerca neppure, ma trova ogni mattina qualcosa di . nuovo». «Un uomo che ha portato il nome di formalista come da bambino aveva portato il cappotto del ginnasiale, poi è cresciuto e passato in un'altra classe. Ma che allo stesso tempo è Dusecka, almeno dentro di sé ... ». «Io non voglio parlare solo dello sviluppo dell'arte, né della coesistenza di arti di diverse tendenze ed epoche». «Com'era splendido il volo degli uccelli; avevo quattordici anni, no, dodici». «Volavano intorno a Pietroburgo, dove c'è un percorso fisso degli uccelli, che segue fiumi e fiumiciattoli, e che è possibile vedere; volavano a stormi ordinati, multiformi, e quando si posavano sul mare - ora mi decido a dirlo - erano come bozze» . «Sono come righe, se ne stanno appollaiati come righe di stampa». N el pieno di una discussione sull'incolmabile distanza tra uno dei «poemetti meridionali» di Puskin, Il prigioniero del Caucaso, e uno scialbo, manierato racconto di Tolstoj che porta lo stesso titolo, Sklòvskij, di colpo, evoca gli amati torrenti caucasici, dalle acque così impetuose «che

fanno girare i sassi e creano loro un nido nel letto di pietra del fiume ... ». Oppure, ecco, Sklovskij parla del simbolista Aleksandr Blok che, «giovane e bello», assieme alla liliale fidanzata recita Shakespeare (l'Otello, ma in realtà era l'Amleto), davanti ai contadini della sua. tenuta di Sachmatovo; • accenna alle risatine degli spettatori, e commenta: «L'arte è inquieta. Ronza come un arco voltaico. Voi, probabilmente, non avete mai udito o avete dimenticato quell'azzurro muggito degli alti pali elettrici, dell'illuminazione elettrica nelle vie di Pietroburgo. I drammi con una fuggevole nube di immagini rombano sulla scena, e il carattere contraddittorio delle azioni fa perfino dell'infelicità una . gioia per il pubblico». Senza sosta, «realtà» e «finzio~ ne», «vita» e «arte» s'inviano richiami, si rimandano echi, s'incastrano una nell'altra, si integrano e si ìlluminano a vicenda, Il primo elemento di quei due binomi è un'arida, vuota spoglia, se non si riesce a comprenderne il secondo elemento, a coglierne la sostanza. «Non analizzate la parola», ammonisce Sklovkij, «ma il sistema delle parole; non cercate le radici, strappando via da esse la verità». «Mi pare», egli osserva, «che molti errori della teoria letteraria consistano nel fatto che si ha timore e ci si tiene a distanza dal materiale, oppure, al contrario, ci si avvicina troppo al cavallo della poesia (che è poi Pegaso), e si sale con troppa abilità sulla sella, così che spesso si salta oltre il cavallo». La teoria della letteratura dovrebbe «montare in sella a questo cavallo così come Lev Nikolaevic [Tolstoj] saliva in arcione, senza issarsi mai su un ceppo o su uno sgabello, ma direttamente sul cavallo, infilando il piede nella staffa e afferrando il cavallo per la criniera insieme con la briglia». Nasce di qui - abbastanza ingiusta e terra terra ma forse giustificabile nel quadro della personalità di Sklovskij e dell'evoluzione del suo pensiero - la polemica verso quelli che si potrebbero definire gli eredi, se non altro indiretti, del «metodo formale» e, insomma, i «nipotini» dello Sklovskij moschettiere d'un tempo. Leggiamo ne L'energia dell'errore: «Le molte cose che sono state fatte dagli strutturalisti mi sono note, ma io vi vedo moltissimi termini, probabilmente indovinati, in ogni caso precisi, e non so come avvicinarmi, salendo i gradini di questa terminologià, all'assenza dell'opera». «Lo strutturalismo si è infatuato del!'involucro ... » «Gli strutturalisti si occupano dell'imballaggio dell'oggetto, non dell'oggetto stesso». .. .In un'altra lettera degli anni giovanili, rivolta a J urij Tynjanov, e ripubblicata anch'essa in Tret'ja fabrika, Sklovskij rivendicava il suo buon diritto a tenersi alla larga dai problemi storico-letterari, a non venirci «tirato dentro». In seguito - costretto a rendere omaggio a sollecitazioni estetiche assai meno intriganti e sagaci di quelle tynjanoviane - ci si lasciò «tirar dentro», pur conservando, bisogna dargliene atto, un inconfondibile tocco di originalità (nel taglio, nel!'angolatura del!' analisi). Eppure, i tanti scrittori antichi e moderni che si sfilano davanti ne L'energia dell'errore - da Dante, Boccaccio, Cervantes, Shakespeare a Puskin, Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij, Gor'kij, Blok, agli amici e compagni di lotta futuristi - è come se si affacciassero alla ribalta di un eterno presente: sono tutti in ~alche modo contemporanei di Sklovskij, nostri contemporanei. La «convivenza» di Sklovskij con essi, la sua familiarrità nei loro confronti, finisce per annullare. le distanze cronologiche, le gravi sedimentazioni della Storia. E i personaggi, gli «eroi» appaiono altrettanto concreti e corposi di chi li ha ideati, di chi li ha creati, al punto di sembrar vivere di vita propria. facevano ingelosire sua moglie), con alla loro testa Anna Karenina. «Quanto più Tolstoj procedeva nello scrivere» annota Sklovskij, «tanto più gli piac_evaquesta donna» egli non veniva creando «solo un romanzo, ma anche un'immagine femminile di cui si era enormemente innamorato». In una lettera alla zia, egli dirà di aver «adottato» Anna (espressione che S picca fra quegli scrittori, in potremmo considerare un bòon tutte le sue incarnazioni e equivalente di «Anna, c'est metamorfosi, Lev Tolstoj, moi» ... ). Del resto, nel «paese «grande come un ocean'o>(,. çhe• . dell'energia dell'errore», attraver- «per realizzare un sogrio d'amo-.- . so cui ci conduce avventurosamenre», il sogno di «un'altra yità»;·:• te Sklovskij («poeta senza rime, «partì in un vagone non riscaldato senza ritmo, con un battito cardiadi quarta classe», lasciandosi alle co frequente»: il nervoso, mobile spalle «i manoscritti incompiuti» pulsare delle sue frasi, dei suoi penello studio rischiarato dalla neve, riodi), la contraddizione, l'antino- «la proprietà», la minusc.olasauna mia, l'ambiguità - nel significato posta «accanto alla vecchia casa, originario della parola -, sono il fra enormi alberi». («Da sessan- sale della terra, e ogni grande t'anni reggo la staffa a quest'uomo .scrittore, ogni grande opera d'arte che non invecchia», confess~ Sklo- ha il compito non di rassicurare le vskij, giocando di metafora con coscienze, ma di seminarvi l'insommessa autoironia; «ammiro quietudine, il turbamento, l'ansia come scende di sella alle ferma- e il sogno di un mondo nel quale le te, ... senza che il mantello cauca~ . «tracce della verità» così labili e sico lo impacci; non sfianca mai il· incerte, si disegnino nette come cavallo», il suo «cavallo baio»). sentieri fra i prati nella luce radenE fra quei personaggi spiccano te del mattino. le eroine di Tolstoj (che a volte LequaHr@/apossession Gilbert Rouget Musica e trance. I rapporti tra la musica e i fenomeni di possessione Torino, Einaudi, 1986 pp. 486, lire 38.000 . Maria Tasinato L'occhio del silenzio. Encomio della lettura Venezia, Arsenale, 1986 pp. 80, lire 10.000 Niklas Luhmann Amore come passione Bari, Laterza, 1985 pp. 214, lire 22.000 11 recente interesse destato nell'opinione pubblica dal fenomeno della possessione ignora la presenza nella storia dell'Occidente di una tradizione di origine greca che assegna alle «manie» e ai deliri un significato altamente positivo e un grandissimo valore culturale e spirituale: sembra così che nella nostra cultura la possessione si presenti soltanto sotto un aspetto patologico o diabolico. In realtà l'approfondimento della conoscenza etnologica ed antropologica del fenomeno della ·trance, consentito ora anche dall'amplissimo studio di Gilbert Rouget, apre prospettive completamente diverse. Come già. osservava Roger Bastide nel suo libro Il sacro selvaggio (Milano, Jaca ];3ook,1979), la crisi epilettica, l'epidemia demoniaca, la sovraeccitazione patologica, lo scatenamento selvaggio sono considerati dalle culture della trance ( africane e afro-americane) più come l'espressione del fallimento della possessione che della sua riuscita: questa si manifesta per lo più come uno stato di estraniazione· spesso appena impercettibilmente differente dalla normalità. Del resto l'individuazione platonica di quattro tipi di manie divine (profetica, rituale, poetica e amorosa) sembra andare proprio nella direzione indicata dalla antropologia contemporanea. Come precisa Rouget (p. 68), una cosa é l'ossessione (la quale deve essere attribuita a forze ostili e nefaste, a mali d'ordine mentale o affettivo), un'altra è la possessione ( che trasformando e organizzando le relazioni con le forze ritenute causa di tali. malesséri è condizione di salute psichica e mentale). Questa considerazione È quando esse non sono più abitabili. La .malattia del mondo moderno consiste nel fatto che e anime non sono più abitabili e che esse ne soffrono!» A questo punto s'impone la domanda: che ne è stato nel corso Enrica Massei, 1981 della possessione come alcunché di benefico è condivisa da Pierre Klossowski quando nel suo ultimo libro La rassomiglianza (a cura di G. Compagno, Palermo, Sellerio, 1986) scrive: «L'anima è sempre abitata da qualche potenza, buona o cattiva. Non è quando le anime sono abitate che esse sono malate. della storia dell'Occidente delle quattro possessioni individuate da Platone? Esse sono scomparse con il tramonto del paganesimo oppure hanno continuato a svolgere nella nostra cultura un ruolo importante, riuscendo di tanto in tanto a riorganizzarsi attraverso codici di comunicazione autonomi e articolati? Lasciando da parte le divinità ispiratrici. della possessione profetica e di quella rituale (Apollo e Dioniso, i quali continuano ad eccitare l'immaginazione degli studiosi e dei letterati da quasi due secoli), due recenti volumi forniscono materiali storici ·e teorici di grande interesse per ripensare il destino degli altri due tipi di possessione, quella poetica e quella amorosa: lo smilzo ma dottissimo libro sulla lettura di una giovane padovana, Maria Tasinato, cui si devono anche pregevoli saggi su Gorgia e Tertulliano e l'opera magistrale di Niklas Luhmann sulla passione amorosa. Il punto di partenza della Tasinato è Platone: nel Fedro gli autori di discorsi scritti (politici, legislatori ... ) vengono assimilati ai posseduti. Tanto gli uni quanto gli altri infatti non hanno una piena padronanza del loro sapere, non sono in grado di aggiungere nulla di più prezioso ai loro prodotti, non sono capaci di trasmettere ad altri le loro conoscenze. La vera scienza invece è per Platone connessa con l'oralità, con dialogo, col completo possesso del vero, con l'esplicarsi di un movimento autonomo che proviene dall'interno dell'anima. È contro tali premesse platoniche che si muove la Tasinato, la quale mira appunto in un primo luogo, sulla scia di Klossowski e di Vernant, ad una rivalutazione del sapere delle posses- ·sioni. Ma la vera originalità del suo studio sta nel considerare come un tipo di possessione la lettura tacita inaugurata da Ambrogio (la quale succede alla lettura ad alta voce e dialogica dell'antichità). Che un fatto per noi così morale e corrente come la lettura silenziosa sia stato considerato dai contemporanei di Ambrogio, in particolare dai suoi nemici, gli anacoreti ostili alla cultura, alla pari di un invasamento diabolico, mostra come il problema della presenza del- !' «irrazionale» nella cultura occidentale necessiti una profonda e radicale revisione. Verso questa direzione si muove appunto il libro di Rouget, la cui seconda parte è dedicata ai fenomeni di possessione musicale nell'antica Grecia, nel Rinascimento, nell'opera lirica e nel.la cultura araba. Nella trance occidentale tuttavia anche il silenzio gioca un ruolo di primissimo piano: la lettura tacita è, secondo la Tasinato, un «festino solitario» celebrato per rendere presenti.gli assenti e viceversa assenti i presenti, una «muta ebbrezza» che ci sottrae alla miseria del quotidiano, uno stato di eccezione che ci illumina il cammino. La lettura implica dunque un'appropriazione del libro paragonabile ad una identificazione mistica o all'incorporazione di chi mangia alcunché? La Tasinato giustamente lo esclude. La trance delle religioni della trascendenza - che sono anche le religioni del libro - non sono identificatorie (Rouget, p. 45). Leggere non vuol dire distruggere voracemente il libro: questo viene lasciato dallo sguardo di chi legge nella sua estraneità di cosa da guardare, viene lasciato alla sua differenza. Possessione non è affatto sinonimo di misticismo. L'esperienza dell'essere posseduto implica l'azione di alcunché di esterno e di altro che resta tale. S e Derrida ci ha dato una teoria della scrittura come differenza, il libro della Tasinato porta acqua a quella teoria della lettura come differenza che René Girard in Menzogna romantiça e verità romanzesca (1961) e Marthe Robert ne L'antico e il nuovo. Da don Chisciotte a Kafka (1963) hanno delineato. La nozione che sembra più adatta a definire filosoficamente il suo movimento resta quella di transito: il verbo gre- '::tco peirò (attraversare) - da cui (:I .:; vengono le parole latine peritus e ~ periculum - indica appunto il pas- c:i.. sare da parte a parte ed è connesso g:! con p6ros (ingegno), il quale nella -. genealogia mitologica del Simpo- l sia platonico figura padre di Eros. .9 è Per quanto riguarda la posses- °' sione amorosa, l'epoca in cui essa o0 ritrova un linguaggio, un codice, i::: una sistemazione concettuale è, ~ -e secondo Luhmann, il Seicento, ~ l'età barocca. Né l'amor cortese, ~

che è caratterizzato dalla idealizzazione del proprio oggetto, né l'amore romantico, che è puramente autoriflessivo, possono essere considerati come una trance. Anche qui sarebbe tuttavia errato valutare l' amour-passion secentesco alla stregua di una specie di follia. Dice Pascal: «Si è tolto poco giustamente il nome di «ragione» all'amore e si sono opposte queste due cose senza fondamento, perché l'amore e la ragione sono la stessa cosa. L'amore è un precipitare di pensieri che vanno tutti dalla medesima parte senza esaminare tutto, ma è tuttavia sempre ragione: e non di si deve né si può augurare che sia diversamente, altrimenti saremmo delle macchine molto noiose. Non escludiamo dunque la ragione dell'amore, dal momento che essa ne è inseparabile» (Discorso sulle passioni d'amore). Achille Bonito Oliva La parola totale. Una tradizione futurista 1909-1986 Modena, Edizioni Galleria Fonte d'Abisso, 1986 N on è un caso che la battaglia di Adrianopoli sia l'oggetto del primo grande poema futurista di Marinetti. La guerra è il grande mito del futurismo, lo spazio di realizzazione di una sintesi assolutamente moderna, il luogo in cui si fondono e si esaltano la «velocità» e il «movimento aggressivo» (Marinetti), determinazioni prioritarie dell'arte d'avanguardia. Per il futurismo italiano, infatti, l'avanguardia è la guerra realizzata nel mondo del simbolico. L'intensificazione dello scontro (con la tradizione, con i fruitori), l'organizzazione dei segni per il conflitto, il ricorso a una strumentazione tecnica ( = linguistica) particolare, l'invenzione di mezzi (bellici) più efficaci di comunicazione, sono gli aspetti fondamentali, la forma stessa dell'oggettivazione del futurismo. E condurre una battaglia in modo adeguato vuol dire soprattutto scoprire nuovi strumenti, inventare nuove tecnologie di attacco per disorientare l'avversario e aggredirlo con una forza inusuale e in una maniera inattesa. Come un vettore dinamico-aggressivo il cuneo futurista (e cubofuturista, e poi costruttivista ecc.) si scaglia contro la tradizione e il passatismo per spezzarlo e disgregarlo. In questo combattimento di tipo nuovo, la parola cerca di caricarsi di valenze, di poteri e di energie imprevedibili per realizzare un attacco più efficace. Non si configura più soltanto come un segmento fonico o una traccia grafica dotati di una precisa carica semantica: vuole diventare un nucleo semantico complesso, un vettore multipotenziale, una presenza molteplice e differenziata, un segno che estende nel tempo e nello spazio, ~ una realtà insieme semantica e s:: -~ plastica, che colpisce con una for- ~ za mai vista. Vuole diventare ~ qualcos'altro, un'alterità multifor- -. me, una micrototalità organica. ]; Così la parola avvia un processo g che non implica soltanto una tra- :;, sformazione, ma una vera e proao pria trasmutazione. E diventa un ~ atto, un gesto che si estende nello ~ spazio, occupa il visivo e sembra l quasi appropriarsi della materia, ~ diventare un nucleo vivente. L'amore-passione è in realtà portatore di un sapere intermedio che si rivela straordinariamente affine alla metis, all'intelligenza tecnica dei greci (studiata da Vernant e Detienne) e all'ingegno secentesco di Baltasar Gracian (del quale esce proprio in questi giorni la prima traduzione italiana del suo Acutezza e arte dell'ingegno presso le edizioni Aesthetica di Palermo). Q uesto sapere è definito da Luhmann come paradossale, non perché riguarda progetti irrealizzabili, ma proprio al contrario perché rende possibile la realizzazione di aspettative altamente improbabili. L'amore-passione, che a prima vista si presenta come una guerra, una lotta, implica una sottomissione incondizionata che culmina nella perdita dell'identità ·soggettiva: perciò può essere definito come un trasporto, un'alienazione. Da un lato è per definizione eccessivo e smisurato, dall'altro sollecita la più avveduta e ponderata pianificazione: «In amore abbastanza è troppo poco; quando non si ama troppo, non si ama abbastanza», ma anche l'eccesso implica una strategia, sia pure quella del potlatch! L'amore-passione è un sapere anche perché è strettamente connesso con la lettura dei romanzi; esso è più un codice simbolico che un sentimento: quanti non sarebbero mai stati innamorati, se non avessero mai sentito parlare dell'amore! La formazione del codice amoroso dipende dalla duplicazione di tutte le informazioni che si instaura tra gli amanti: un duplice-transito per il quale ogni evento ha amplificazione e risonanza nell'altro. Nell'amore - dice Luhmann - si deve essere per principio aperti a tutto ciò che riguarda l'altro; non si può mostrare disinteresse per ciò che l'altro ritiene importante; e non si possono lasciare problemi senza risposta. Nel codice dell'amour-passion, bisogna prevenire ogni preghiera ed ogni richiesta, per non dover poi consentire per dovere o per affabilità. Il codice dell'amore-passione declina nel corso del Settecento. Esso è sostituito dal progetto, di origine puritana, di fondere l'amore con l'amicizia nel matrimonio. In questo progetto gioca un ruolo importante la nozione di sentimento, che consente una specie di legittimazione estetico-etica del1 'amore. Nasce così tutta una problematica fondata sul soggetto che era estranea alla mentalità barocca e che raggiunge il proprio apice nel Romanticismo. E oggi? Per Luhmann i comportamenti intimi cono caratterizzati Guerradi Parole B onito Oliva coglie l'itinerario essenziale di questo processo, trasformando, secondo il suo sperimentato modulo critico, uno sviluppo storico in un percorso simbolico, in un'avventura concettuale. Così la poesia visiva è interpretata come una articolazione del progetto di arte totale che da Wagner si diffonde nell'avanguardia, come un'espressione di superamento delle separazioni linguistiche, di «sconfinamento in- • terdisciplinare», impegnata a «restituire qùella totalità che l'univocità di un singolo linguaggio difficilmente può dare». La poesia visiva riflette l'esigenza di superare i limiti strutturali della parola per darne una «rappresentazione figurativa» e appropriarsi della complessità delle potenzialità comunicative. E la «deflagrazione della parola», I'«esplosione dell'unità sintattica e semantica del linguagPaolo Bertetto gio» non costituiscono soltanto un allargamento delle sue possibilità, ma, più a fondo, una trasforma-. zione del segno-parola in uno strumento della guerra comunicativa che l'avanguardia intende praticare. Così la poesia visiva «mette in scena il corpo della poesia», si inventa una dimensione plastica, realizza )«simultaneità, istantaneità e totalità», in una prospettiva che non è meramente formale, ma è ispirata da una particolare tensione d'attacco. da un «forte Il catalogo - che presenta anche due saggi di carattere storico-critico di Gabriella Di Milia e di Claudio Cerritelli - insèg'ue proprio non solo il processo di sfondamento del limite tipografico della parola, di realizzazione di una rappresentazione visiva particolare, ma insieme il suo trasformarsi in gesto. In questo senso proprio il carattere esibito di traccia grafica gestualizzata, di comunicazione risolta in atto, fanno della poesia visiva un modello esemplare dell'avanguardia e della sua struttura f)a111cla l'dlcgri111 e .\'111/io l<il'(I Negri11i. /985 Sturm und Drang».•Bonito Oliva attraversa la galassia della poesia visiva costruendo linee concettuali e intensità discorsive particolari; . studiandone non le singole esperienze, ma .la forma spettrale essenziale, in un esercizio ermeneutico che concepisce il saggio come opera d'arte e la critica come arte della critica. 1 di linguaggio-atto, di gesto ispirato ad una nuova estetica e ad una nuova guerra nell'orizzonte del simbolico. I documenti presentati nel catalogo illustrano l'interazione di cariche di intensità differenti, di esplosioni semantiche e di configurazioni visive particolari, e studiano l'emergere di una nuova forda una trivializzazione senza precedenti: lo scetticismo nei confronti di qualsiasi tipo di stato d'animo elevato si accompagna all'egemonia di modelli di condotta anonimi e fondati sulla logica dello scambio, quando non meramente ricreativi. «Il tragico - scrive - sta nel fatto che i rapporti sessuali producono amore e che non si può vivere secondo di esso né riuscire a staccarsene». Sarebbe possibile un rinnovamento dell'amour-passion? In fondo «la donazione di senso epocale può essere lavorata con figure note, che solo ora entrano nella determinazione storica». Ma la condizione sembra una teoria generale della possessione, alla quale libri come quello di Rouget recano un grandissimo contributo. za comunicativa, di una inattesa tensione linguistica. Dalle ormai classiche tavole parolibere di Marinetti, agli intrecci di parole e immagini realizzati negli almanacchi del futurismo russo, risultano della collaborazione tra poeti come David Burljuk, Krucenych, Chlebnikov, Majakovskij, Lifsic ecc., e di pittori come Olga Rozanova, Kul'bin, El Lissitskij, Rodcenko, dagli splendidi «autoscritti» di Krucenych alle composizioni di Depero e di Carrà (di grande interesse, tra gli altri, il Cielo di guerra di Carrà), per passare poi alle esperienze di interazione tra parola e immagine e parola e oggetto nel dada e nel surrealismo, dal Duchamp più o meno noto di Underwood e di Eau & gaz à tous /es étages, al collage su carta di Le sens de la vie di Breton, sino a La logique assassine, di Man Ray, un !esto spazialmente configurato e alla litografie di Schwitters, è tutto un percorso dell'avanguardia che rivive nelle sue lineee essenziali. Una sezione del catalogo è poi dedicata alla ricerca più recente (preceduta da una documentazione relativa alla produzione tardofuturista di Aschieri e di Belloli, che nel 1943/44 anticipa alcune strutture linguistiche della poesia visiva del dopoguerra): da Baiestrini ad autori Fluxus come George Brecht, Maciunas, Higgins, da una litografi di John Cage a Henry Chopin, a Isgrò, da Isidore Isou, maestro del lettrismo, a Miccini e Pignotti, da Diether Roth a Vaccari, il Catalogo studia insieme la scena totale dei segni e le intensinficazioni visive del senso in una dinamica che intreccia il potenziamento del simbolico e la produzione di un nuovo gusto del vedere. A oche se presentano una minore complessità strutturale, gli esempi di «autoscrittura» costituiscono forse l'area più enigmatica e stimolante dell'intera mostra. Sono esperimenti che non solo eliminano ogni supporto tecnico per realizzare una sorta di espressione totale, interamente soggettiva e interamente artistica, che riafferma l'assoluta autonomia dell'artista di fronte a ogni mediazione, ma riflettono anche la ricerca di una purezza, di un'assoluta spiritualità formale, innervando direttamente il comunicare allo scrivere e la simbolizzazione al vivente. Oltre ai testi fondamentali del futurismo russo (soprattutto alcu-

ne copertine di almanacchi, tra cui quelle della serie Strelec, e gli autoscritti zaum di Krucenych), il catalogo presenta anche le Explications mystiques di Picabia, segnate da una sorta di mistero semantico, ed esempi autografi di tavole parolibere o di composizioni strutturate nello spazio, realizzate nell'ambito del futurismo italiano, dall'Autobiografia di Buzzi al colGiorgio Galli Storia del partito armato 1968-1982 Milano, Rizzoii, 1986 pp. 353, lire 22.000 P ubblicando un libro dedicato alla storia del partito armato in Italia nel momento in cui il contrastato cammino dell'amnistia e delle iniziative di legge sulla dissociazione conferma la difficoltà del nostro sistema politico ad uscire dalla fase dell'emergenza, Giorgio Galli ha indubbiamente compiuto un atto di coraggio politico. Ha lanciato una sfida che ci impone di verificare l'ambizione della sua analisi, che si vuole «storica» a così breve distanza dagli eventi di cui si occupa. È quindi comprensibile che l'attenzione critica di alcuni si sia focalizzata su questioni metodologiche, mettendo in luce l'insufficienza delle fonti (dipendenti in larga misura dall'informazione periodica) e la debolezza dell'impianto argomentativo, spesso fondato su ipotesi surrettizie, del tipo «in assenza di altre spiegazioni valide, è lecito dedurre che ... ». Non è questo, tuttavia, il punto di vista che si intende qui assumere. In particolare: per quanto riguarda la prima obiezione, credo si possa concedere a Galli l'attenuante della obiettiva difficoltà di reperire fonti dirette non «inquinate» da finalità politiche tuttora operative; rispetto alla seconda. mi pare che l'analisi di eventi molto recenti e per loro natura ambigui possa difficilmente sottrarsi alla necessità di servirsi di ipotesi ad hoc. Più interessante è cercare di capire se, scontati questi limiti, il lavoro di Galli sia riuscito effettivamente ad elevarsi al livello di un discorso storico, se sia cioè riuscito a offrire un'interpretazione originale e autonoma delle ragioni dell'insorgere della lotta armata in Italia, e a descrivere le dinamiche di un fenomeno complesso e articolato che ha profondamente segnato quindici anni di vita del nostro paese. La tentazione di «accontentarsi» è forte: messi a confronto con le falsificazioni ottuse e interessate di una cultura di sinistra del tutto impreparata a capire e affrontare politicamente il fenomeno (definito come escrescenza criminale priva di qualsiasi radice nel movimento operaio), con le semplificazioni del teorema Calogero (inutilmente proteso a dimostrare l'esistenza di una strategia e di un'organizzazione comuni a tutte le manifestazioni di violenza politica dell'estrema sinistra) e con il «pentitismo culturale» di molti intellettuali della nuova sinistra, i meriti di Galli rischiano di assumere eccessivo rilievo. In sostanza, a Galli è bastato «mettere in fila» azioni, documenti, rivendicazioni, nomi, sigle, processi, dichiarazioni, confessioni (assieme alle interpretazioni politiche, culturali e giuridiche che ne sono state date lage Elettrosferico di Carrà gli esperimenti di Depero. E, aldilà delle articolazioni foniche insensate di Picabia, gli esperimenti di scrittura transi:nentafe di Krucenych rappresentano forse il momento di massima intensità nella ricerca non solo dell'avanguardia russa ma della poesia visiva, realizzando con la zaum ad un tempo un 'intensificazione totale dello spirituale, una rottura radicale con la tradizione comunicativa e un progetto di reinvenzione radicaledel mondo attraverso la proiezione della parola su un infinito oscuro in cui senso e non senso oscillano, si sovrappongono e si elidono nella ricerca di qualcosa di indefinibile. 2 Sono esperimenti al limite dell'artisticità, che certo anticipano di qualche anno la poesia glossolalica del dada zurighese (di Bali e Tzara), ma insieme preservano anche, nell'attività distruttiva e apertamente bellica del dada, qualcosa di più segreto ed impalpabile della distruzione, quasi un'approssimazione formale al progetto (Krucenychiano) di «vittoria sul sole». Manonèstoria di volta in volta) per far emergere la complessità e l'articolazione di un processo che, proprio perché affonda innegabilmente le sue radici nel movimento operaio, ha assunto connotazioni diverse in differenti fasi politiche della nostra storia recente. Ma il valore teorico del libro dev'essere piuttosto misurato in relazione alla tesi di fondo che attraversa tutta l'esposizione di Galli; solo se quest'ultima dimostrasse di «tenere» dovremmo ammettere di trovarci di fronte a una lettura storica. La tesi può essere così riassunta: pur coinvolgendo importanti minoranze politiche e godendo della simpatia o perlomeno della benevola neutralità di non trascurabili settori sociali, la lotta armata non si sarebbe sviluppata con l'intensità e la durata che ha avuto nel nostro paese (sconosciute a ogni altra nazione occidentale) se non avesse potuto contare sulla tolleranza degli apparati dello Stato che avrebbero dovuto stroncarla. E che avrebbero potuto farlo. La tesi della «impreparazione» delle forze dell'ordine, infatti non regge: nel '72, fra il '74 e il '76, e nel '78, dopo il sequestro Moro, esse sembravano aver ottenuto decisivi successi contro le maggiori formazioni terroriste. Secondo Galli, se ogni volta il partito armato ha potuto riorganizzare le propiie fila (fino alla sua recente e definitiva sconfitta) ciò si spiega solo in ragione del fatto che i servizi «deviati» e forse alcuni setCarlo Formenti tori della classe politica italiana avevano interesse a lasciare le briglie sul collo dell'eversione per alimentare il clima dell'emergenza. Ciò sarebbe dimostrato in particolare dalla coincidenza fra recrudescenze terroristiche e fasi di instabilità politica: si è giocata la carta del terrorismo ogni volta che era necessario sfruttare i «complessi di colpa» della sinistra e favorire evoluzioni moderate del quadro politico. La tesi si perfeziona mettendo a confronto la peculiarità della situazione italiana col modello politico delle altre 9emocrazie occidentali: le regole del gioco democratico, consentendo l'alternanza delle élites politiche, riducono le tensioni sociali. e allonta1\/e.1.rnndroMent/1111. /9,',}. nano il rischio della guerra civile; la nostra democrazia «bloccata», non potendo funzionare secondo tali regole, ha imposto al sistema politico italiano di pagare il prezzo di quella «quasi guerra civile» che sono stati gli anni di piombo. E eco svanita ogni tentazione di accontentarsi! Repubblica e Panorama possono permettersi di ridurre la storia alle manovre che si svolgono dietro le quinte del «palazzo»; la stessa licenza non può tuttavia essere accordata allo storico della politica. Il punto non è stabilire se Galli sia in grado di «dimostrare» l'esistenza di un disegno di determinate forze politiche moderate e dei «corpi separati» dello Stato italiano rivolto a sfruttare l'eversione di sinistra per i propri obiettivi, o la presenza di ·consistenti «infiltrazioni» nello stato maggiore del partito armato: queste cose sono sempre successe in tutti i processi rivoluzionari, senza che nessuno storico degno di fede si sia mai sognato, per esempio, di spiegare la rivoluzione russa in base alle provocazioni della polizia zarista o agli appoggi dei servizi segreti tedeschi all'eversione bolscevica, finalizzati all'alleggerimento della pressione militare sul fronte orientale. Naturalmente non intendo paragonare la lotta armata in Italia alle grandi rivoluzioni della prima metà del nostro secolo, pur tuttavia si tratta di una realtà che lo stesso Galli contrihuisce a sottrarre ad interpretazioni riduttive in termini di marginalità politica e sociale, dimostrando come essa abbia coinvolto, nell'arco di un decennio, decine di migliaia di militanti e simpatizzanti attivi, duecentomila quadri di movimento che hanno pensato e operato in vista di una rivoluzione armata, e una percentuale di popolazione che ha guardato con benevolenza o indifferenza al fenomeno che in certe fasi ha certamente superato il 20%. Dimensioni più che sufficienti a spiegare il rilancio del partito armato dopo le sue prime sconfitte, e che invocano a loro volta una spiegazione storica che l'analisi di Galli non è assolutamente in grado di offrire. A meno che non si sia disposti ad accettare come spiegazione la tesi delia «deNote (1) Si veda in propostito P. Fonticoli, Achille Bonito Oliva. La critica d'arte come arte della critica, Nuova Prearo Editore, Milano, 1985. (2) Anche per questo va considerata con attenzione l'ipotesi di un dada russo (più esteso dell'area dei nullisti), di cui naturalmente Krucenych costituirebbe una personalità essenziale. Si veda sulla questione la bella antologia Dada russo. L'avanguardia fuori della rivoluzione a cura di M. Marzaduri, Il Cavaliere Azzurro, Bologna, 1985.. mocrazia bloccata», vale a dire la tesi già ricordata secondo cui la spinta eversiva origina dall'impossibilità di offrire un adeguato sbocco istituzionale alle tensioni sociali attraverso l'alternanza delle élites politiche. Per accettarla occorrerebbe ammettere che un governo di sinistra avrebbe rappresentato i bisogni e gli interessi degli operai ,degli studenti e degli altri soggetti del movimento in misura tale da neutralizzarne le spinte estremistiche, una ipotesi tutt'altro che scontata. Galli sottolinea per esempio la continuità culturale e ideologica con la tradizione del marxismo rivoluzionario delle formazioni della sinistra extraparlamentare e delle loro frange militariste, da cui successivamente nasceranno le organizzazioni armate. È vero, non bisogna tuttavia confondere questa adesione ai miti della tradizione della sinistra con i referenti sociali del movimento: se le lotte operaie studentesche del '68-69 si danno (a prescindere dalle formazioni della nuova sinistra) strutture organizzative autonome dalle forze politiche della sinistra tradizionale non è un caso: I' «operaismo» della nuova sinistra assomiglia solo esteriormente a quello tradizionale, i soggetti sociali cui si ispira sono diversi, i comportamenti e i valori dell'operaio massificato e deprofessionalizzato hanno poco a che fare con quelli dei vecchi quadri comunisti, così come quelli delle masse studentesche divergono da quelli degli intellettuali «organici» di una volta. Ancora più netta si rivelerà poi la rottura culturale - quasi «antropologica» - del movimento del ·77, dopo lo scioglimento dei maggiori gruppi della sinistra extraparlamentare: il mosaico di forze sociali in cui affonda le radici l'area della Autonomia operaia (proletariato giovanile, lavoratori dei nuovi settori terziari, intellettuali delle nuove professioni, disoccupati ed emarginati, ecc) esprime valori e comportamenti sociali apertamente antagonisti nei confronti del moralismo produttivista e dello statalismo che ispirano la strategia del Pci e della Cgil (il che spiega l'evoluzione in senso «anticomunista» di Prima Linea e, in parte, delle stesse «nuove Br», rilevato da Galli nelle fasi più tarde della lotta armata) ... In conclusione: la storia del partito armato non è ancora stata scritta. Né potrà essere scritta se non come capitolo di una storia 'O del movimento rivoluzionario dal 1:s ::: 1968 alla fine degli anni '70 che ne -~ ricostruisca l'intreccio con i radi- ~ cali processi di trasformazione so- ~ ciale, economica e culturale subiti ....... in quegli anni dal nostro paese. È ~ -O un compito tanto più urgente in g quanto contribuirebbe a restituire o °' a una generazione che sta ancora ao pagando le conseguenze dei propri t:! errori e delle proprie sconfitte il ~ diritto di difendere il senso di -0 quindici anni di lotte. ~

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