Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

Narrativa, a .:proposi~tol,i//rJl&irquez •• :Il:• Gabriel Garda Marquez L'amoreai.tempidel colera Milano, Mondadori, 1986 pp. 370, lire 22.000 e on questo suo quarto romanzo l'autore colombiano attesta il raggiungimento di una piena maturità e padronanza di mezzi, che possono essere messe in -dubbio solo .dachi diffida per programma del successo anche popo- · lare ottenuto da un narratore, e dei riconoscimenti con cui questo è stato consacrato. In particolare, nel caso di Garda Marquez rispun. tano inopinatamente dei pretesi difensori dello sperimentalismo e di una concezione «moderna» del romanzo: critici che magari non possono vantare alcuna benemerenza in tal senso, ma che di fronte alle opere dello scrittore ispano-americano arricciano il naso, accusandolo di rifluire in un naturalismo-regionalismo di sapore ottocentesco. Un'accusa, questa, di cui è stato portatore, sulle pagine di Repubblica, un ispanista di provata fama come Carmelo Samonà. Ma in casi simili mi pare che si confonda il contenuto di un'opera con il trattamento stilistico cui essa si affida. Ora non c'è dubbio che, fin dai tempi di Cento anni di solitudine, Marquez sfrutta sistematicamente un deposito di memorie e di esperienze che gli vengono dalla sua terra, immersa nelle tipiche tenaglie del sottosviluppo, dell'emarginazione, della miseria. Il fatto che la narrazione sia sempre collocata indietro, talvolta quasi di un secolo, gli consente di tenere lontane le poche tracce di progresso che frattanto si sono pure avute, perfino nel suo paese. Se si aggiungono i segni eloquenti della non lontana colonizzazione spagnola, di un cattolicesimo sempre pronto a sfociare nella superstizione, di un clima torrido invadente e paralizzante, ce n'è abbastanza per ricordare, a noi italiani, i tempi e i tipi del grande filone meridionalista. Si tratta quindi di una materia inevitabilmente datata, già irrigidita in una serie di stereotipi. Ma Garda Marquez è consapevole di tutto ciò, e ne approfitta per prendere le distanze, per avviare un processo di stilizzazione sapiente e infallibile. O meglio, la ternati..,_ ca «ottocentesca» gli fa solo da fondale, dato che invece la sensibilità con cui sono affrontati i singoli protagonisti è del tutto «contemporanea», nutrita di «analisi esistenziale», di consapevolezza circa l'immancabile psicopatologia in cui ogni creatura umana affonda, risultando quindi imprevedibile nel suo comportamento, mettendo in scacco ogni pretesa eventuale del narratore all'«onniscienza». In sor--.... (:;! stanza, l'autore evita ad ogni passo .:; il «tipico», se non per quanto ri- &° ~ guarda i fondali in cui i suoi personaggi si muovono zigzagando, con decisioni improvvise e impensate, e soprattutto con rapidi scorrimenti da un capo all'altro del fiume del tempo. Q uesta infatti un'altra grande differenza rispetto alle mo- != dalità del romanzo ottocen- ~ g, tesco: là il tempo ha un suo anda- ~ mento obbligato, un verso riconoscibile, che non viene annullato neppure nel caso che il narratore ricorra ai flashback: vuol dire che i blocchi cronologici si spostano tra loro, ma rimanendo compatti al loro interno. Qui invece l'autore «passeggia» con straordinaria maestria da un capo all'altro della sequenza cronologica che si è prefissato di dominare. In termini di arti visive, si direbbe che la struttura del suo racconto non è prospettica, ·non convergente verso un unico punto di vista ma, come in un dipinto cubista, sventagliata in una serie interminabile di approcci. Lo stesso episodio è s0rpreso da punti di vista diversi, che ogni volta ne offrono varianti, spessori aggiuntivi, rifrazioni ulteriori. Anzi, per sovvertire ancor più nettamente il corso del tempo Garda Marquez ama partire dalla fine della «storia». Era già avvenuto in Cronaca di una morte annunciata, dove il protagonista muore fin dalle prime pagine, e poi prolunga l'agonia come in un gigantesco ralenti, retto con abilità diabolica. E anche in quest'ultima opera uno dei personaggi, Juvenal Urbino, ci lascia quando avevamo appena incominciato a conoscerlo, e credevamo di doverlo seguire ancora per decine di pagine. E ci lascia in modo inopinato, con adesione perfetta al caso, al principio di indeterminazione, al punto tale che egli stesso non sa riprendersi dalla sorpresa. Egli muore sgomento soprattutto per il fatto che nulla gli aveva fatto presentire una simile fine: non si muore così nelle «storie» che si rispettano, senza dare tempo al malcapitato di prepararsi, di tirare le somme della propria esistenza. Ma beninteso, nel tessuto policentrico del nostro autore, una morte fisica non interrompe nulla, e così Juvenal Urbino continua a vivere con noi, ripreso un'infinità di volte e da diverse angolazioni, che ce ne fanno conoscere aspetti sempre nuovi. Infatti nel romanzo tradizionale i personaggi si chiudono in una parte, in un tipo, in un carattere. Nella narrazione contemporanea essi restano un coacervo, un garbuglio di stati d'animo tra loro anche contraddittori, di cui non si viene mai a capo una volta per tutte: nessuno ne possiede la chiave di comprensione: non il lettore, che è invitato ad apprendere volta per volta, non il narratore, che non ha programmato la sua creatura, e neppure questa, che non si conosce fino in fondo, si inoltra con angoscia e con speranza n~i sentieri della vita, non sapendo assolutamente che cosa l'aspetta dietro ogni svolt~. Tuttavia, mediamente parlando, Juvenal Urbino è il classico not.abile di una casta dominante in un paese meridionale immerso nel sottosviluppo: ossequiente verso la madre e i valori della famiglia, deciso a procurarsi il matrimonio giusto, anche se esso sarà esente da quell'oggetto misterioso e indefinibile che si definisce amore. Di professione medico, Juvenal Urbino esercita la sua attività a favore dei ricchi, senza infamia e senza lode, ma.acquistando col tempo una saggezza umana che lo rendo accettabile e perfino simpatico/ consa- . crandolo appunto nel ruolo.di notabile, di pilastro di una società di provincia, in cui può spiccare perfino per doni di intellettùalità «illuminata». .. La moglie Fermina Daza rivela invece un temperamento cocciuto e selvaggio, piegato però dagli infiniti pregiudizi della società in cui è costretta a vivere. E così sposerà senza amore Juvenal Urbino, spinta dalla bramosia di ascesa economica del padre, un rozzo selfmade man, ma avendo poi col marito, in quasi mezzo secolo di matrimonio, . rapporti: che si pongono sotto tutti i segni, quasi impedendo la possibilità cliricavarne una media e di concludere con un giudizio univoco. È stato un buon matrimonio, felice, appagante? Certo, i due si sono tolplausibile, appunto, una fedeltà che resiste tetragona al matrimonio di lei con un altro, all'evidenza dei figli che essa partorisce, al processo implacabile dell'invecchiamento. Fiorentino Ariza attende impavido, fermo nel suo amore che lascia questa terra per iscriversi in un cielo metafisico, di quelle scelte di vita in cui ognuno di noi mette in gioco il proprio Dasein, si «vuole» in un modo piuttosto che in un al- •tro. Un amore del genere, lo av€vamo già conosciuto in un precedente grande transfuga della stagione naturalista, in Flaubert e nella sua Education · sentimentale, dove ugualmente Frédéric Moreau ama disperatamente, fiero e quasi conRichard Lone, 1971 lerati, odiati, compresi, respmh, tutto ciò volta a volta, e secondo «punti di vista» temporali che si sventagliano in tutte le direzioni e che non danno tregua al lettore, non gli consentono di riposare in una certezza stabile. M a soprattutto Fermina Daza è vissuta per perpetuare il grande odio-amore verso colui che è il protagonista in senso letterale della storia, Fiorentino Ariza: un puro frutto dell'emarginazione e del sottosviluppo, nato qa una ragazza-madre, non gratificato da particolari doni fisici e di carattere, anzi, tutt'altro: debole di vista, introverso ai limiti del patologico, con vistose difficoltà sessuali che ne coprono di mistero l'esistenza intima, fino a farne supporre una omosessualità, latente o consumata. Ebbene, questo personaggio ai margini «decide» di concepire il grande amore, cui rimanere fedele nel corso dei decenni. Non ci sono motivazioni probanti, né psicologiche,· né sociologiche, per indurlo a innamorarsi di Fermina Daza, e soprattutto per rendere tento dell'impossibilità di essere ripagato. È un modo per alzare l'obiettivo, per trascorrere indenne tra le miserie e le illusioni della vita normale, essendone il testimone aderente e partecipe, ma ponendosi un poco più in basso, o in alto, rispetto al livello occupato da tutti gli altri comuni mortali. Ed è stato anche notato il contatto a distanza che così, col suo amore metafisico e impossibile, Frédéric Moreau stabilisce con I'«io» autobiografico del Canzoniere petrarchesco, con l'infelice e sfortunato vagheggiatore di Laura, costretto a pascersi solo di frammenti di visione, di incontri fugaci, salvo a congetturare un incontro senile, o addirittura post mortem, in cui i due amanti infine si ritroveranno, dialogando con indulgenza reciproca della passata follia amorosa. Garda Marquez inserisce d'autorità il grande amore tra Fiorentino e Fermina in una serie così illustre, reggendo bene il confronto. I due infatti si incontrano alla fine dei tempi, dopo che il marito Juvenal se n'è andato nel modo inopinato che si è detto. Ma siccome la loro relazione evade ormai da questa-terra, è giusto che essa si consumi in uno stato sospeso, su un battello fluviale appartenente. alla Compagnia di cui frattanto Floren° tino, con sicura .ascesa sociale, è divenuto il rispettato presidente. Il battello risale il rio de La Magdalena per un viaggio di nozze protratto di mezzo secolo, che tuttavia, • come ogni percorso di linea, dovrebbe essere scandito da date precise e incalzanti. Ma i due decidono di prolungarlo oltre ogni limite, facendo issare la •bandiera che denuncia la presenza a bordo di un caso di colera. E così, i due ,amanti continueranno a salire e scendere il fiume per quanto ancora resta loro di vita terrena, ma forse continueranno anche dopo, come fantasmi. D'altra parte, è anche vero che il realismo contemporaneo, qual esso sia, ..non·si accontenta di stati emblematici, sospesi a mezz'aria; infatti i due amanti, finalmente insieme, tenterann0 di dare una pienezza anche carnale a quel loro amplesso ritardato. E qui è l'autore a gestire con equilibrio mirabile i vari registri, della fisicità,. dell'allusione, dell'ironia autocritica (dei due anziani nei loro propri confronti), dell'iscrizione della vicenda in un limbo spirituale e perfino soprannaturale. B eninteso, se la morte del marito e il congiungimento anche carnale dei due superstiti sono gli eventi più clamorosi della «storia», abilmente posti con una estrema divaricazione dei tempi, l'uno subito in apertura, l'altro in chiusura, la trama intessuta da Garda Marquez è colma di altri eventi che svolgono con infinita sapienza l'analisi esistenziale, la pietà creaturale, la simpatia e compassione universale. La vita coniugale di Juvenal e . Fermina si arricchisce di quelle piccole circostanze di intimità, di contatto dei corpi, di incontro-scontro tra le idiosincrasie rispettive, che costituiscono il prezioso, insostituibile territorio di caccia aperto dalla rivoluzione freudiana. Inutile cercare qualcosa di simile tra le pieghe del romanzo ottocentesco. E a sua volta Fiorentino Ariza, pur confermando ad ogni passo la fedeltà metafisica al grande amore per Fermina, non manca di incontrare una galleria di personaggi femminili con cui sperimenta tutti i gradi e gli aspetti dell'amore carnale, della passione erotica, della libido. Queste frequentazioni consentono é!ncheal narratore di aggregare al suo affresco una gran selva di fatti di cronaca, di episodi di colore, di scene di genere, da cui anche il sospetto, per lettori e critici superficiali, che rinasca il «tutto pieno», la commedia umana di sapore ottocentesco. Ma chi la pensa così, non ha occhi per scorgere i potenti motori individualizzati alimentati dai due pilastri della rivoluzione contemporanea: l'inconoscibilità della stratificazione di coscienza, l'imprevedibilità dei casi. La vecchia materia di fede verista è ripassata con un'acuta sensibilità novecentesca che si diverte a giocare con quella come il gatto col topo.

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