Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

questa scelta, dichiarata sin dalle· prime pagine, sono implicite tanto la distanza con la posizione di Gregotti, quanto l'impostazione stessa del volume. L'ampio rilievo concesso alla cultura del disegno industriale si esplicita attraverso l'analisi dell'attività teorica, dell'associazionismo e dei premi. Ne scaturisce un quadro dal quale emergono soprattutto le figure dei protagonisti del nostrano disegno industriale. È un tentativo, quello di Frateili, di assegnare alla creatività individuale e all'ideologia il ruolo guida in processi nei quali, egli lo riconosce, convergono anche altri fattori: in poche parole, la cultura «oggettuale», nei suoi aspetti di produzione e consumo. Per evidenti ragioni, di questa cultura progettuale e tecnica Gregotti fornisce una visione più ricca e articolata, per la verità già espressa, nelle sue linee fondamentali, in una serie di articoli apparsi su Ottagono nel 1974. e omplessivamente, i testi analizzati, pur presentando analogie e, a tratti, sovrapposizioni reciproche, non sono omogenei fra di loro. Anzi, pur riguardando tutti uno stesso argomento, sembrano parlare di cose diverse. Questo non dipende soltanto, come ovvio, dalla diversità dell'impostazione critica scelta da ciascun autore. Sembra piuttosto essere determinato dalla diversità degli ambiti che sono sottoposti all'analisi: gli oggetti, l'organizzazione produttiva e, infine, l'ideologia e la cultura del disegno industriale. Il testo di Bernd Meurer e Hartmut Vinçon, ad esempio, non è una storia del disegno industriale in senso tradizionale. Qui i prodotti rimangono sullo sfondo, sono quasi un pretesto per inseguire un obiettivo più ambizioso: quello di ricostruire la storia dei processi, dei metodi, dei criteri e dei conflitti che hanno condotto alla produzione di tali oggetti e, contestualmente, la storia dei diversi attori sociali e professionali intervenuti in quei processi. Il problema delle categorie oggettuali, e di quali rientrino nella definizione di disegno industriale, è del tutto secondario. L'accento è posto sulla prassi progettuale e sui protagonisti di tale prassi, che vengono seguiti dalla loro formazione fino ai diversi modi di espletare la professione. Il tutto mediante una analisi rigorosaM i sembra che uno dei punti più interessanti nell'attuale problematica del «progetto di design» consista nel possibile scontro (o attrito, o polemica o magari solo relazione) fra il designer-artista e l'artista-designer. Se guardiamo ai giovanissimi designer della Mitteleuropa, essi sembrano sempre più figli di Beuys che di Ulm; così come all'opposto molti nuovi pittori e scultori tendono ad opere-oggetto, ad una specie di arte dalle caratteristiche progettuali. Vorrei in breve, a questo proposito, provare a collegare tre concetti, utili tutti ad entrare nel merito dell'accennato «scontro»: mi riferisco ai concetti di «natura morta», di «antiquariato istantaneo» e di «design pittorico». Come si sa bene, il mondo naturale non esiste più, il mondo è diventato tutto e completamente armente· marxista, dove ricorrono con insistenza concetti come merce, consumismo, valore d'uso-valore di scambio, divisione del lavoro, alienazione. Dalle posizioni qui sinteticamente espresse viene riconfermata la difficoltà a individuare elementi unificanti per una definizione di disegno industriale. Si deve riconoscere che neppure l'ambiente nel quale il neonato disegno industriale aveva mosso i primi passi era l'emergere di nuove tipologie o alla rotta di collisione tra architettura e urbanistica o, nel microambiente, tra l'architettura e lo stesso disegno industriale. Ciò non impedisce tuttavia il riconoscimento, seppure «intuitivo», di un'opera di architettura. Nel caso del disegno industriale è molto più accentuato il rischio di fraintendimenti, favoriti oltretutto dalla diffusa pretesa di dilatare l'accezione di disegno industriale, Radu Dragomirescu, 1984 propizio a favorire una sua costituzione cotne corpus disciplinare, dotato di una propria individualità e riconoscibilità. Anzi, tutto ha congiurato contro questo processo: dalle ipotesi di synthèse des arts che accentravano nell'architettura tutte le «arti», fino alla crisi di identità, di cui esse sembrano oggi soffrire. Anche i confini disciplinari dell'architettura sono stati sottoposti a variazioni e minacciati, nella loro integrità, da interferenze e sovrapposizioni. Basti pensare alintroducendovi fenomeni come la moda o l'«arte applicata», che finiscono talvolta con l'assumere un ruolo egemone, tanto da svuotare il disegno industriale dei suoi contenuti di agente innovativo della cultura industriale contemporanea. Si vede bene, quindi, come sia urgente individuare con chiarezza l'insieme delle tipologie oggettuali e fenomenologiche ascrivibili all'ambito del disegno industriale. L'approccio più convincente m questa direzione ci sembra ancora quello «pluralista» proposto da Tomas Maldonado. 6 In pratica, si tratta di accettare diversificazione e complessità del disegno industriale e di scriverne le storie, riconoscendo la parzialità di ognuna di esse. Una definizione aperta di questo tipo individua gli elementi comuni minimi ma, al tempo stesso, lascia aperto un ampio spettro di opzioni per quel che riguarda gli oggetti. Ciò non significa ovviamente assumere un atteggiamento agnostico e rinunciatario in questo campo. Soltanto dopo aver circoscritto un nucleo forte del disegno industriale, un nucleo in cui progettazione, razionalizzazione e finalità sociale rimangono gli elementi centrali, si può ammettere che nelle aree sfumate dei confini si affaccino ancora l'arte applicata, la creazione individuale, l'oggetto d'uso interpretato e reinterpretato, il metalinguaggio e la provocazione. Non si può in alcun modo però accettare di porre tutto questo sullo stesso piano di problemi di ben altra portata. Non è lo stesso occuparsi di mobili e soprammobili e affrontare, ad esempio, la tematica del disegno industriale del Terzo mondo, il disegno della Periferia, come lo chiama Gui Bonsiepe. 7 U na volta accettata questa definizione fluida e non monolitica del disegno_iµdustriale, può risultare particolarmente fecondo tornare alla metodologia storiografica introdotta da Siegfried Giedion, e utilizzata parzialmente da Gregotti: lo studio della nascita e dello sviluppo delle tipologie oggettuali. Questo consente di tenere nel giusto conto i diversi fattori che intervengono nella determinazione della forma dei prodotti e nella dinamica di tale forma. Seppure su un versante del tutto diverso, ci sembra particolarmente fruttuoso anche l'approccio di Meurer e Vinçon, Gli autori, soprattutto negli Exkursus finali, si occupano in modo diretto della formazione e delle prospettive professionali dei disegnatori industriali. È forse superfluo ricordare che l'urgenza di definire un campo di sapere è funzionale anche alla possibilità di una sua divulgazione: una disciplina è veramente tale solo quando diventa trasmissibile atDesignpittorico tificiale, la vera naturalità dell'uomo consiste nel metodico procedere del suo programma di allontanamento dalla natura. Sono scomparsi i confini tra il vero e il falso, persone e cose sono oggi come il souvenir di se stesse, non per nulla trionfa la plastica, materiale così privo di identità da averne all'opposto infinite. Una cosa è vera se sembra finta ed è finta se sembra vera, un oggetto «è» di design se sembra oggetto d'arte, e viceversa. Ma ecco, a reazione di questa esigenza limite, spuntare nell'uomo l'esigenza opposta: quella delle «cose vere», la necessità profondamente antropologica di un ritorno alle origini, il richiamo della foresta selvaggia. Non più oggetti di massa ripetuti all'infinito uguali a se stessi: ma diversità, ritualità, eclettismo. Esigenze fondamentali che peAlessandro Mendini rò, per la vocazione dell'epoca moderna, «durano un istante». Cioè: l'intrinseca caducità dei valori ci porta dal passato remoto, al neopassato, al brivido del neo-futuro. Ovvero, all'«antiquariato istantaneo». L'istantaneità antiquariale di un prodotto dipende dall'ottica estetica, affettiva, commerciale e d'uso con la quale ad essa si guarda: un mobile appena fatto può essere inteso, assieme, sia come oggetto utile («di design») sia come oggetto antico o d'arte (solo pieno della sua potenzialità espressiva). L'istantaneità dei cambiamenti del gusto conduce a una specie di «circolarità del tempo», all'azzeramento temporale del concetto di antichità, a concepire la possibilità di oggetti, per così dire, «senza tempo», fuori moda in partenza. Questo bisogno generale delle persone di sottoporre a un processo di invecchiamento accelerato anche ogni cosa appena uscita luccicante dalla fabbrica, corrisponde al desiderio di riempire le stanze di casa con oggetti già vissuti, ricchi di memorie e di pensieri. Entrano in collisione due parole fra loro opposte: le parole «dipingere» e «progettare». Dipingere vuole dire infatti «solo» emettere dei segni, svolgere un libero movimento del pensiero visivo, non comporta ipotesi di previsione, di organizzazione e di uso. Il compito della pittura «non c'è»: il suo unico e sintetico «status» consiste tutto nel porsi come fenomeno del consumo di sé. La motivazione del dipinto non sta nella sua efficienza, la sua realtà è tutta nella sua bellezza. Se il designer giovanissimo non trova obbiettivi certi, se non sa «cosa» e «per chi» progettare, se sa che un «vero progetto» è chiuso al futuro, traverso un corpus teorico-codificato. Per quanto attiene l'importanza di discutere la condizione professionale dei progettisti, ricordiamo come, da sempre, si sia operato un «transfert» fra gli oggetti e coloro che contribuiscono, a diverso titolo, alla loro realizzazione. Basti pensare al disprezzo .che, nell'antichità, investiva insieme la meccanica e i «meccanici». Ma non è tutto. Indagare sulle competenze che confluiscono in una nuova figura professionale e sui metodi per acquisire tali competenze è sicuramente proficuo per la comprensione della genealogia di una nuova disciplina e per la determinazione del suo ruolo potenziale. 8 E un'analisi delle condizioni psico-sociologiche in cui operano i disegnatori industriali, quelli noti e quelli anonimi; ha interesse non solo per il loro equilibrio esistenziale, ma anche, e soprattutto per stabilire lo stato di salute e l'utilità sociale del loro lavoro. Note (1) Renato De Fusco, Storia del design, Laterza, Bari 1985; Enzo Frateili, Il disegno industriale italiano 1928-1981. (Quasi una storia ideologica), Celid, Torino 1983; Vittorio Gregotti, Il disegno del prodotto industriale. Italia 1860-1980, Electa, Milano 1982; ristampato, per gli stessi tipi, in edizione economica nel 1986, Bernd Meurer e Hartmut Vinçon, Industrielle Asthetik. Zur Geschichte und Theorie der Gestaltung, Werkbund-Archiv, Berlin 1983. (2) Manlio Brusatin, nella vocè Dis~- gno/progetto, in Enciclopedia, voi. IV, Einaudi, Torino 1978, ha dimostrato come la «visione» architettonica fosse troppo rigida per il disegno di oggetti e come il disegno tecnico fosse incompatibile con la gabbia prospettica. (3) Per questo aspetto, si. rimanda all'articolo di Vanni Pasca, «Una terza via per il design>>, Op. cit., 64, settembre 1985, pp. 16-26. (4) Questo approccio e questo limite erano stati chiariti dallo stesso De Fusco nell'articolo «Note su semiotica e design», Op. cit., 63, maggio 1985, pp. 15-23. (5) Le tre sezioni, 1860-1918/1919-, 1945/1946-1980sono curate rispettivamente da Manolo De Giorgi, Andrea Nulli e Giampiero Bosoni. (6) Tomas Maldonado, Disegno industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1986. (7) Gui Bonsiepe, El diseflo de la Periferia, G. Gili, Barcelona 1985. (8) Per un esame delle ragioni che hanno portato alla nascita della professione architettonica a partire da quelle preesistenti, vedasi Richard A. Goldthwaite, La costruzione della Firenze rinascimentale, il Mulino, Bologna 1984. se non può pensare a precisi segni dei tempi, a trasformazioni generali e razionali, a visioni globali del mondo: allora si concentra in se stesso, cerca pezzi di pensiero visivo dentro di sé, con la sola ipotesi di fare vivere l'oggetto-dipinto (o il dipinto-oggetto), cioè la sua vocazione espressiva, simile al frangersi di un'onda. Così come si va cercando una pittura progettata, si può anche trovare un design pittorico; la prima è fredda, rarefatta e mentale (in quanto anti-pittura), il secondo è caldo (in quanto anti-design). Data l'insufficienza del progetto vero a fronteggiare il mondo, esso viene sostenuto dalla visione personale: una difficile opera senza fine e senza giustificazione, il solo tipo di «qualità» (e di responsabilità) che oggi un intellettuale, in stato di isolamento, possa dare.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==