Q uindici anni e novecento pagine, questo è il tempo e la mole di lavoro che Elizabeth L. Eisenstein ha impiegato per cominciare a delimitare il grande spazio della conoscenza, formatosi con l'esplosione della silenziosa rivoluzione del libro a stampa. Pochi gli studiosi, molti i ritiardi e le dimen_ticanzeper un oggetto tropp9· • presente nel ~omento stesso in cui si comincia a dare per scomparso. Alcune delle cause per. _spiegare tutto ciò sono indicate da-Ilastessa autrice su consiglio . di, Bacone: «Godremmo di molti.vantaggi» nel «capire cioè che molti-dei fatti della vita attualmente tenuti separati th-- realtà sono una sola cosa».' Le analisi del libro hanno sofferto di questa separatezza tra tecnologie materiali e studi umanistici, percorsi economici e valori estetici, per arrivare, infine, ad ambiti e realtà molto distinti tra loro che necessitano un riavvicinamento se si vuole ritrovare una completa dimensione conoscitiva. Un riavvicinamento suggeritoci anche da una saggezza antica: «Si hortum cum biblioteca haberis, nihil deerit». Due luoghi diversi e lontani che già Cicerone prima (Epistulae ad Familiares) ed i gesuiti poi (la frase è scolpita in una lapide nel giardino della biblioteca del Collegio Romano) hanno sentito il bisogno di riavvicinare. Sembrava dunque acquisito che la rivoluzione industriale avesse generato, tra le altre mirabilia, anche il design. Nelle storie, negli atlanti, nei convegni e tavole rotonde, le vicende di salvezza e caduta del design cominciavano, fino a ieri,2a partire da una rimozione. Il libro, silenzioso protagonista della «rivoluzione inavvertita» è stato, almeno nell'area degli studi sul design, per lo più dimenticato, mentre una sua più attenta frequentazione avrebbe consentito di stabilire che il design è nato, prima della macchina a vapore, già sui banchi dei prototipografi rinascimentali. L'esiguità degli studi nei confronti di un oggetto che ha prodotto incredibili trasformazioni nel corso della storia, fin dal suo apparire sulla scena come prodotto industriale, non si può comprendere pertanto se non come una rimozione di qualcosa quotidianamente presente. L'intuizione che nel libro si trovassero pienamente espressi i caratteri propri del disegno industriale era già presente in uno scritto di Francesco Barbieri della fine degli anni Cinquanta: «Per l'impiego di elementi prefabbricati e di procedimenti meccanici, nonchè per i modi di organizzazione del lavoro, e infine, per il carattere di serie della produzione, la grafica è da considerarsi come la prima forma storica di disegno industriale». 3 Se, dunque, oggi, la grafica è design,4 sembra anche acquietata l'ansiosa ed affannosa ricerca della definizione del design, non tanto perché si sia raggiunta una pacificatoria consonanza di punti di vista, quanto perché «ogni definizione è stata continuamente smentita dai fatti». 5 La scena entro la quale si è costituita comunque una diffusa convergenza di interpretazioni è formata da quattro fattori che - come nota De Fusco - rendono l'esperienza del design un processo unitario: il progetto, la produzione, la vendita e il consumo .. A questi quattro momenti corrisponde per- ·fettamente l'artefatto principe della-cultura del progetto: il libro. È il libro infatti che non ha mai cono- . sciuto altro modo di essere che l'essere «bello», con realizzazioni insuperate ed insuperabili dalla metà del Quattrocento fino a tutto il Settecento. Anzi, con la rivoluzione industriale, l'impres~ editoriale si trasforma ed entra nella logica più ap,.pia e.più estesa del profitto del- .l'i.mpresa industriale, che significa privilegio del mercato, dell'elemento economico, massimo profitto-minimo costo, precedenza della quantità rispetto alla qualità. L'unica innovazione tecnologica della rivoluzione industriale: l'introduzione del torchio meccanico (la sola innovazione nella produzione del libro dal tempo di Gutenberg) «porterà in breve tempo ai complessi fenomeni della cultura di massa».6 Portatore di un valore estetico, dunque, fin dal suo apparire, il libro è stato un oggetto di piena produzione industriale già dall'invenzione gutemberghiana della stampa a caratteri mobili ed ha avuto una insospettabile diffusione attravero i più diversi canali commerciali. «A livello economico la stampa comportò una rivoluzione nella concezione stessa della produzione. Con la stampa appare la nozione di moltiplicazione per mezzo di serie identiche di uno stesso oggetto uniforme e ripetibile. Il foglio stampato, prodotto in innumerevoli esemplari e l'invenzione di una macchina utensile in cui la mano dell'uomo è assente hanno effettivamente trasformato l'idea stessa di produzione». 7 Non bisogna, ptrtanto, attendere l'Ottocento per,. trovare modi e logiche di produzione industriale; secondo Febvre e Martin «fin dall'origine, la.stampa sorse come l,lnaindustria retta dçilGilbert e George, 1970 le medesime leggi di altre industrie, e il libro come una merce che alcu,Llui omini producevano innanzitutto per guadagnarsi da vivere, anche quando, come i Manuzio e gli Estienne, erano pure umanisti e studiosi (... ). Il mercato del libro fu sempre simile a qualunque altro. Agli industriali che fabbricavano i libri- i tipografi-, ai commercianti che li smerciavano - librai ed editori - , si ponevano problemi di costi e di finanziamenti». 8 Anche la Eisenstein ribadisce più volte la doppia funzione degli editori come uomini d'affari e dispensatori di glorie letterarie. U tilizzando gli spunti e le analisi di Fevbre e Martin, già alcuni anni or sono, una ricerca condotta con Cettina Lenza (ed alla quale questo scritto-è in gran parte debitore )9 ci faceva.rilevare che nelle officine tipografiche dei grandi stampatori come i.Ko.: berger, i Froben, i Plantin, gli addetti al torchio consegnavano dai 2.500 ai 3.500 fogli nelle dodici e, a volte, sedici ore lavorative giornaliere, in modo da avere una produzione media di un foglio ogni venti secondi, cifra precisata nei contratti di lavoro; anche nella composizione le lievi e continue trasformazioni della cassa e la distribuzione dei caratteri in essa contenuti servivano ad incanalare un lavoro sempre più automatizzato. Per verificare il valore industriale della produzione tipografica a partire dal XV secolo basta una piccola scorsa alle tirature delle edizioni più diffuse. I commenti del Panormita alla prima e seconda Decretale furono stampati nel 1.471 in mille copie da Vindelino da Spira; il Mariae Encomium di Erasmo da Rotterdam stampato a Basilea nel 1515da Froben è di milleottocento esemplari; la collana dei classici edita a Venezia da Manuzio veniva stampata abitualmente in mille copie; la Bibbia di Lutero fu pubblicata in quattromila esemplari; e queste non sono che alcune scarne indicazioni. Quello che sembra incredibile è che in una Europa composta da circa un centinaio di milioni di persone,- di •cui solo una piccolissima .parte posse- • deva il potere della lettura, furono'. stampati circa venti milioni di ·libri prima del 1.500. .Questo miracolo va ulteriormente consider-ato•alla luce delle difficoltà dei sistemi di trasporto, della complessità del re- ·perimento della carta e del suo alto costo nei momenti di crisi.· , .. • L'imponenza delle tirature.·_era tale da condizionare, in alcuni casi, • perfino gli equilibri del potere. «La rapida formazione di un ampio • -consorzio che produsse nel corso di un solo anno .centomila salteri ugo- •notti per i mercati francesi, e la pubblicazione di 22.000 breviari, . che permise a Filippo II di affermare.il suo controllo sul clero spagnolo contro le pretese papali, indicano quanto cambiò l'equilibrio del potere a favore delle tendenze antiromane, dopo che la produzione di libri di preghiera finì nelle mani di capitalisti».'° Se è dunque verificabile la dimensione industriale nella produzione libraria, altrettanto vale per la vendita ed il consumo. Goldschp,.idt sintetizza in poche righe la complessa organizzazione necessaria, allora come oggi, per la vendita del libro. «L'universalità della lingua scritta (il latino) r_esefin da principio la vendita dei libri in commercio completamente internazionale( ... ), l'esistenza nel XV secolo di un commercio librario esteso all'Europa intera e pienamente efficiente ed il suo rapido adattamento alle nuove condizioni create dall'arte tipografica, l'allargata cerchia dei clienti, l'aumentato volume delle merci che dovevano essere distribuite sono tutti fatti che meravigliano chiunque si accinga a considerare tali problemi>>. Il Anche i luoghi, le figure e gli strumenti istituzionali per la promozione e vendita del libro erano già perfettamente configurati alla fine del Cinquecento. Se le città universitarie sono il luogo naturale per la vendita e la diffusione del libro è nelle grandi fiere che tutto il meccanismo raggiunge il momento culminante, ed è così che Lione, Francoforte, Lipsia diventano centri vitali del mercato librario. La figura dell'agente creava e promuoveva la rete commerciale; appositi stampati che contenevano i listini dei volumi disponibili ed altri che segnalavano le novità diventarono strumenti indispensabili per favorire la vendita. Una scorsa alle cifre. Un vero e proprio best-seller sembra sia stato un'opera di Tommaso da Kempis, De Imitatione Christi, stampato per la prima volta ad Augusta nel 1471, del quale uscirono, prima della fine del secolo, ben novantanove edizioni fra cui due traduzioni: una in francese 1488 ed una in italiano 1491. La prima edizione del Nuovo . Testamento di Lutero, un altro caso clamoroso, uscita nel settembre del 1522, esaurì 5.000 copie in poche settimane; seguì una riedizione dopo tre mesi; negli anni successivi raggiunse le quattordici edizioni autorizzate e le sessantasei plagiate, fino ad un totale di 300.000 copie in pochi anni. Ma questa dimensione di alte tirature non sembra accompagnare solo i grandi; un caso meno illustre,. ma non meno clamoroso, fu la vendita di un libriccino, Abc and Little Catechism,
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