Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

non c'è dubbio che dappertutto il design ha tentato, anzi si è sempre riproposto di affrontare i problemi di rapporto con la comunità. Un Martin Krampen, ad esempio, tanto per fare un nome si è preoccupato moltissimo proprio di questo problema. Colonetti. E per la Spagna? La Spagna attraversa un momento di grande creatività, mi pare. Dorfles. Be', la Spagna non è altro che un Italia vent'anni dopo. In Spagna hanno ancora molte illusioni, quelle illusioni che· avevamo vent'anni fa. Effettivamente c'è un risveglio notevole nel campo delle arti figurative e anche del design. A Barcellona ad esempio hanno fatto il design di una piazza, presso la ferrovia della zona ovest. Che è interessante non tanto dal punto di vista dell'architettura ma da quello del design. Ci sono delle pensiline di metallo, un arrangiamento dell'andamento del terreno. Anceschi. Un esempio di vero e proprio arredo urbano.· . Dorfles. E c'è l'intenzione di fare varie piazze. Colonetti. Quindi rispetto all'Italia un paese relativamente arretrato sembra mostrare maggiore determinazione in questa direzione. grande esempio della metropolitana milanese, e ancora funzionante dopo più di vent'anni. Colonetti. Ritornando all'Italia, anche a lei risulta che ci sia crisi di produzione nel campo del design italiano? Che la committenza sia un po' scemata? Dorfles. Quelli più affermati credo che continuino a lavorare, Magistretti, Zanuso, Castiglioni ... Colonetti. Per i nuovi designer c'è grande fatica. Dorfles. Certo c'è stata anche una inflazione di designer. Anceschi. Le scuole hanno continuato a sfornare un'infinità di progettisti più o meno competenti. Dorfles. E poi ci sono anche fenomeni di falsa modernizzazione. Ora, c'è stato un esempio di una piccola ditta toscana, che si è rivolta a un designer giovane e moderno, con l'idea di rinnovare la propria produzione che era stantia e vecchiotta. Purtroppo il designer l'ha- rinnovata in maniera sbaglia- ,ta, cioè andando al di là di quello che poteva essere. Un design del tutto sperimentale «alla Memphis», ma senza riuscire ad essere il design di un Sottsass, o di un Mendini. -Colonetti. Lo styling di uno Dorfles. In Italia non· abbiamo • stile. nessun esempio di design applicato all'arredo urbano di una piazza. Anceschi. L'unica cosa resta il Dorfles. Il che è molto pericoloso, perché se si dovesse diffondere ... E difatti è quello che io ho detto spesso allo stesso Sottsass, il quale non per niente recentemente ha finito per allontanarsi dal gruppo. Una persona come Sottsass, di grandissima genialità, con dell'ottimo design alle spalle, poteva permettersi qualsiasi avventura. Però questa avventura poteva essere molto pericolosa una volta che andasse in mano di altri meno geniali. Colonetti. Come in parte è avvenuto. Anceschi. L'epigonismo è sempre un disastro. Dorfles. Finché l'epigonismo è quello di Dieter Rams nei confronti di Ulm c'è poco da danneggiare, mentre l'epigonismo dell'operazione di Sottsass, molto geniale, ma ai limiti del gusto ... Sassi. Ecco l'ultimo tema, quello delle relazioni fra design e istituzioni pubbliche. È un tema che come organizzatore di cultura mi sta a cuore e-che è rappresentato dalla Triennale - perché la Biennale e la Quadriennale sono dedicate alle arti più tradizionali. La Triennale è o dovrebbe essere il luogo della ricerca, della progettazione, del dibattito sulle prospettive. A me sembra che non lo sia stato in questi ultimi anni. , Dorfles. Ma difatti da parte di moltissimi si è sostenuto e credo che si possa continuare a sostenere, che l'istituto della Triennale dovrebbe appunto esercitare il ruolo di un centro studi, e dell'archivio, e del museo dell'architettura e del disegno industriale. Colonetti. Perché questo non • organismi fossero coscienti di queavviene? sta funzione a tutti i livelli. In effetDorfles. La Triennale non ha assolto il suo compito da anni e anni e anni. Ha lasciato perdere un materiale immenso, che avrebbe dovuto raccogliere, non si può neanche dire per colpa di chi, perché le colpe sono distribuite fra l'ultimo degli impiegati e il primo dei presidenti. Comunque certamente se la Triennale avesse mantenuto archiviato tutto quello che è passato attraverso le varie edizioni, oggi avremmo un'archivio del design straordinario, un museo di architettura formidabile. Anceschi. Ma perché in questi ultimi tempi è stato privilegiato l'aspetto della didascalia e della didattica a scapito appunto della ricerca e dellaprospezione? Dorfles. Le ultime mostre, pur plaudendo al fatto che la Triennale sia risorta dalle ceneri, che il palazzo di Muzio sia stato restaurato molto bene, che la mostra storica sull'abitare fosse storicamente molto interessante e ineccepibile, pur plaudendo a tutto questo, la Triennale non ha mantenuto il suo. compito istituzionale che è quello di un centro di studi e di discussioni attorno al design e all'architettura. Colonetti. Ma le pare che possa essere mai recuperabile questa funzione che la Triennale svolse negli anni cinquanta e fino alla metà degli anni sessanta? Dorfles. Potrebbe benissimo essere recuperata. Basterebbe che gli ti Quintavalle a Parma è riuscito a fare quello che la Triennale non ha saputo fare. Con molta intelligenza e con molta abilità ... Colonetti. Senza investire troppi capitali... Quindi è questione di volontà. • Dorfles. È questione di continuità nella gestione, di assenza di lotte partitiche. Colonetti. L'ultima speranza a cadere è insomma la speranza di una Triennale come luogo di di~ .battito. Ma è solo una speranza. Dorfles. Ciò ha dell'incomprensibile. Del museo dell'architettura, ad esempio, si era parlato ai tempi di Adriano Olivetti. Colonetti. Quando in Germania nel giro di sette anni hanno costruito quello straordinario museo... Dorfles. Ma senza andare in Germania-, a Vronslav, c'è un egregio museo dell'architettura, ospitato da una chiesa restaurata, un bellissimo museo con plastici, gigantografie ecc. Colonetti. Esistono tanti archivi gestiti in modo settoriale, ma una memoria collettiva non esiste. - Anceschi. E con questo chiudiamo il circolo, ritornando al tema dell'individualismo. li ·dolc-estiflrancese I • e he ne è del design francese? Abbiamo la se~sazione c_hein questo campo I momenti magici della creazione si perdano nella notte dei tempi della Modernità. Per trovare grandi fermenti di idee e di realizzazione dobbiamo infatti risalire all'epoca della scuola di Nancy, o perlomeno, a quella del1'Art Déco degli Anni Folli. Le ragioni di questo relativo disinteresse sono piuttosto complesse. Il surrealismo ha giocato sicuramente un ruolo negativo, proponendo un universo in cui gli oggetti venivano sottratti al loro uso comune. D'altra parte niente di simile al Bauhaus·o al gruppo De Stijl è riuscito· a imporsi nel nostro paese, e a lasciare un'impronta abbastanza duratura da influenzare il futuro. Il dopoguerra non ha portato alcun rinnovamento, e l'evoluzione delle avanguardie nella sfera dell'arte ha allontanato la maggior parte degli artisti da un'attività ritenuta marginale alla pura speculaz./one estetica. Tutto quello che è avvenuto nel microcosmo della produzione di «cose» è stato possibile soltanto grazie agli stimoli proposti da singoli individui. Costoro, benchè dotati di un certo talento, sono rimasti emarginati rispetto a tutti i grandi avvenimenti culturali del loro tempo. Il Rinascimento delle arti applicate e del design, loro attuale derivazione, è sbocciato alla fine degli anni '70 sotto l'impulso di una nuova generazione. La mancanza di rapporti stretti, seppur ambigui, con la produzione industriale ha rallentato molto questa rinascita e ha spinto i giovani creatori ad assumere un atteggiamento ben diverso da quello dei loro colleghi euro- • pei, dei quali sono stati costretti ad assorbire velocemente le esperienze. La nascita e il successo di questo nuovo movimento dipende da una serie di circostanze fortunate verificatesi in un lasso di tempo molto breve. L'aspetto più sorprendente è senz'altro l'interessamento dei poteri pubblici, che, sotto l'impulso del ministro della Cultura Jack Lang, hanno promosso iniziative per incoraggiare e diffondere le proposte più valide di questo settore, a ragione considerato sinistrato. Inoltre, la scuola specializzata è stata radicalmente riformata. Il ministero ha organizzato e appoggiato delle manifestazioni per far conoscere al pubblico gli aspetti più innovativi dell'immaginario della quotidianità. «Art et Industrie», una grande mostra svoltasi al Musée des Monuments Historiques, ha tentato di tracciare un bilancio esaustivo dei progressi ottenuti dalla difficile collaborazione tra due universi che non hanno mai lavorato in maniera unitaria. Benchè sia stata un fallimento, la mostra ha comunque permesso di vagliare l'entità dei problemi. Lo slancio dato dalle istituzioni ha coinciso con la fondazione di piccole società di produzione. Queste ultime hanno moltiplicato gli effetti positivi dell'industria statale Via che ha finanziato la realizzazione di una serie di mobili e la pubblicazione di vari libri e cataloghi. A Parigi si sono aperte gallerie (ad esempio Neotu e Nestor Perkal) riservate esclusivamente alla presentazione di oggetti e mobili contemporanei. Ciò che colpisce di più è la rapida evoluzione dai nego- · zi alle gallerie, che non hanno r1ienGérard-Georges Lemaire te da invidiare a quelle d'arte moderna perché ne riproducono tutti i segni particolari. Per la prima volta, la fondazione Cartier ha deciso di consacrare una mostra alle espressioni più audaci - dei designer francesi, e questo fatto testimonia una situazione sviluppatasi in meno di un decennio. D'altra parte, la concezione del Café Costes di Philippe Stark, il progetto di trasformazione del «Relais Beaubourg» di Christian de Portzamparc, la mostra dei mobili dell'Eliseo al Centre Pompidou e l'organizzazione di grandi esposizioni hanno messo a confronto, finalmente anche in Francia, le proposte creative di artisti di diverse nazionalità (come è avvenuto con «Caravelle» a Lione), mostrando così il passaggio da una fase d'isolamento, di stasi, a una fase dinamica di apertura e di sperimentazione. S i può parlare di uno stile specificamente francese? Non ne siamo sicuri, è troppo presto per dare una risposta precisa. Per ora possiamo solo dire che stiamo assistendo ad una fase di efferve- . scenza che promette molto. La chiara volontà di recuperare il tempo perduto e di assorbire nel modo più rapido l'influenza straniera non testimonia soltanto una presa di coscienza rispetto all'ovvio stallo creativo delle arti decorative, ma indica anche il desiderio di integrare, di fondere e in fin dei conti di sorpassare i paradigmi stranieri, a prescindere dalle scelte stilistiche. Indipendentemente da sviluppi futuri, è possibile fin d'ora circoscrivere due orientamenti principali. Il primo può essere definito «neo-modernismo», a condizione di intendere questo termine secondo un'accezione comune, e dunque al di fuori delle riflessioni sul design condotte da Ettore Sottsass Jr., Alessandro Mendini e Andrea Branzi, negli anni '70 in Italia. Si tratta semplicemente di definire uno stato d'animo che rivendica l'eredità del Modernismo, riconoscibile nell'opera di Mallet Stevens, di Gropius, di Le Corbusier, di Breuer, ma che si sforza di evitare la ripetizione sterile di quegli stereotipi. Questi designer, forti dell'esperienza dello stile internazionale che ha trionfato intorno al 1960, tentato di raccogliere la sfida dell'industria sforzandosi di imporre una concezione inedita, spesso elevata ma pur sempre pragmatica, dell'oggetto d'uso. Il secondo orientamento è molto più complicato da definire, poichè gioca sulla forza dell'eclettismo e della parodia: il pastiche, la citazione, il prestito umoristico o ironico sono intesi in maniera così diversa dai vari artisti che diventa difficile raggrupparli in un'unica categoria. L'unico punto in comune a tutti è l'attenzione per le arti plastiche di questo secolo, di cui non esitano a servirsi per le loro imprese stilistiche. Gli scambi tra queste due tendeze primordiali esistono, ma ancora in forma ridotta. Anche se tra questi due poli non c'è una grande frattura concettuale e neppure una grande incomprensione, essi sembrano destinati a coesistere nel loro stato attuale, prima che una nuova generazione si faccia avanti e superi le loro divergenze congenite. Cominciamo l'esplorazione del continente progettuale francese con la prima di queste tendenze, che rivendica la tradizione dello «spirito del nuovo». Il personaggio di maggiore rilievo, e ormai anche il più celebre, è senza dubbio Philippe Stark. Pur lavorando su un registro stilistico estremamente ampio, Stark non rinuncia al desiderio di inventare oggetti, luoghi, situazioni plastiche e spaziali assolutamente coerenti da un punto di vista formale. Egli ha poi un «marchio di fabbrica» riassumibile in una serie di formule: espressione sobria e addirittura austera, economia di mezzi, riduzione delle forme dell'essenziale, gamma cromatica molto contenuta, con predominanza di nero egrigioo scelta limitata ad un unico colore, estrapolazione dell'oggetto in funzione di una poetica purissima e originalità della concezione strutturale, il tutto sempre entro i limiti di uno scrupoloso rispetto della funzionalità. Le sedie e i tavoli di Stark, ad esempio quelli progettati per gli appartamenti del palazzo dell'Eliseo, si limitano a rigorose associazioni lineari, corrette da un particolare ludico e inatteso. D'altra parte, Stark ama accostare materiali che normalmente non si combinano, come l'acciaio nero e il mogano che ha usato per la scrivania del presidente. Le sedie che ha progettato per il Café Costes di Parigi presentano lo stesso tipo di sovrapposizioni, senza però sottolineare troppo l'effetto. Stark comunque non ama essere limitato da un principio costruttivo. In varie occasioni non ha esitato a ribaltare soluzioni formali degli anni '50, come con la lampada da scriva-

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