cipazione, osmosi, sovrapposizione alle altre istituzioni della società costituisce un dato di partenza, una condizione e una necessità. Un'industria che si ponga in posizione parassitaria rispetto alle forze intellettuali, creative, di ricerca della società in cui opera, sta già morendo. Ed è già morta quando rispetto a queste forze invoca o talvolta attua una posizione di dominio,·di monopolio, di utilizzazione esclusiva e di guida imposta. Ma se poniamo l'ipotesi della vitalità, che è l'unica che possa interessare ai nostri fini, e vediamo l'industria come un organismo produttore di beni utili e quindi continuamente impegnata nella ricerca, nella innovazione tecnologica, nella razionalizzazione, nello sfruttamento non distruttivo delle risorse, allora la sua posizione rispetto alle altre istituzioni sociali, da quelle scolastiche e scientifiche alle organizzazioni politiche, all'attività artistica, ai mass-media, è insieme parallela, concorrenziale e di scambio. La cultura dell'industria può esistere proprio in quanto non si sviluppa sottovetro, ma è sollecitata dall'ambiente circostante (e lo sol- -- -lit,, SL i :;z iiMLJYi,l,,,. leeita), sia quello delle altre industrie, sia quello più generale delle istituzioni sociali. Il design di un prodotto, allora, oltre che rappresentare il grado di evoluzione formale e culturale di una industria determinata, entra necessariamente in relazione con quello degli altri manufatti, delle sigle grafiche, dei linguaggi generali e specifici con cui viene a contatto, e il suo livello di comunicazione sarà perciò direttamente collegato (e interdipendente) con l'infinito, perennemente intercambiabile e in movimento, panorama degli oggetti e dei prodotti che una società esprime e continuamente moltiplica, assimila ed inghiotte: di tanto efficace e individualizzato di qu·anto le sue valenze innovative, la continuamente evolventesi equazione forma/funzione, l'acquisizione tecnologica, la carica di futuro che la sua forma contiene ed in nuce rivela, saranno tali da stabilire con l'.univ.ersodegli altri oggetti un rapporto singolare, un punto di contatto, una caratterizzazione, un momento di tensione, l'evidenza di una evoluzione, o di una continuità, di ur~aripetizione o di un revival, il ritmo di una creatività perennemente all'opera o la forza ritornante, memorizzata, riconoscibile di una tradizione. O tutte queste cose insieme, e con esse l'infinita gradazione di possibilità fra vecchio e nuovo, fra obsoleto e imprevisto, fra riuscita ed errore, fra sicurezza ed audacia, in cui ogni giorno si esprime e si incarna la vocazione formale dell'uomo, la sua necessitante attitudine a prolungare ed estendere, attraverso strumenti che ne moltiplichino le capacità, la sua presa di contatto, di intervento e di trasformazione sul mondo, a inverare, attraverso la quotidiana attività del lavoro, l'antico mito mai estinto della vita come forza creatrice, mimesi e contrapposizione alla creazione divina. P erché, infine, anche senza consentire del tutto con il radicalismo per esempio di George Kubler che nel suo ormai lontano (1972) The Shape of Time suggerisce di considerare anche le creazioni artistiche sotto il comune profilo della produzione di oggetti, di strumenti e manufatti, facendo coincidere l'universo delle cose fated è quello di testimone e di noncostruttore del volto della propria epoca, non solo rispetto agli altri manufatti e prodotti creati per i bisogni dell'uomo, ma rispetto alla generale cultura formale, figurativa, plastica, adoperiamo pure la parola: artistica e intellettuale, del proprio tempo, per cui non è difficile riconoscere una comune·cittadinanza a certi prodotti industriali, poniamo, di Le Corbusier, o di Charles Eames, o di Gropius, o di Mies van der Rohe, o di Nizzoli, tanto per fare degli esempi, e a certi quadri di Kandinskij o di Klee o di Picasso o di Mondrian, anche dove non si voglia arrivare al rigore idéologico del Bauhaus, che-"ipotizzava per arti pure ed arti applicate, per ·architettura, ·scultura,, pittura, grafica, disegno in tutte le sue manifestazioni, un'uguale metodologia di invenzione, di analisi, di for- · mazione, di insegnamento e diffusione. In realtà tout se tient, e in un mondo sempre più unificato e informato, contraddistinto da un bisogno vitale di razionalizzazione, di miglior uso e minor spreco, di spazi ordinati e di standards. !'inJannis Kounellis, 1977 te dall'uomo con la storia del'arte, è·pur vero che le une e gli altri nascono su .un solco e appartengono ad una civiltà che sono comunque indivisibili. Per quanto nella storia della civiltà occidentale il pensiero estetico e l'analisi critica abbiano assunto atteggiamenti del tutto diversi nel considerare la produzione artistica (in cui l'uomo tende sempre più a esprimere soprattutto se stesso, la propria intimità, il proprio rapporto con l'esistenza) e quella pratica, tecnologica, manifatturiera, volta all'utile, a cui incontestabilmente appartiene l'industriai design,· non vi è, mi pare, dubbio, poichè tutta la storia lo dimostra, ch'ecategorie come quelle del bello e dell,..utile,per quanto distinte nelle intenzioni, nei significati e nei •valori;- hanno tuttavia in comune l'origine sociale dentro la quale entrambe nascono, il tempo culturale e morale e perfino il livello tecnologico; e; integrandosi, entrambe rispecchiano e a loro volta definiscono il volto dell'epoca. Se qoesto è .vero, possiamo dire che vi è quindi un ultimo grado di èòmunicazione del product design, dustria non può non ambire a collaborare all'immagine del proprio tempo con prodotti che, in una sintesi generale delle valenze che più sopra sono state indicate, comunichino e configurino anche lin'idea dell'epoca, nella molteplicità clei suoi valori e nell'attualità dei suoi risultati. Per questo ritengo che le ricerche di design debbano essere perseguite, approfondite, continuamente sperimentate, con la stessa indefessa perseveranza, che diventa talora eroica dedizione, con cui un artista approfondisce le sue ricerche formali, e con la stessa· disciplina, severità e impegno morale con cui lo scienziato propone nuove ipotesi e saggia più avanzate tecnologie. È vero, l'oggetto è sempre effimero e destinato a perire non appena il progresso lo sopravanzi, mentre l'opera d'arte chiede per sé la durata, se non l'eternità. Ma pur nei limiti della sua esistenza più breve, al di là della sua funzione e dell'utilità pratica per cui è nato, esso è pur sempre e irrinunciabilmente forma, rappresenta cioè un valore spirituale, una volontà organizzatrice, la concretizzazione di un'idea di ordine spaziale; sulla sua superficie si rifrange e si condensa l'infinitesimale frammento di una civiltà che, anche da esso, viene determinata, assume fisionomia e può a sua volta evolvere e svilupparsi. In una parola, come ogni atto umano non inconscio, anch'esso può, e quindi deve, vincere l'indifferenza dell'abitudine e della volgarità, e collocarsi fra le cose che si dovevano fare poiché meritavano di essere pensate e di venire alla luce. Anche l'oggetto ha cioè una traiettoria e una vita e, come per l'uomo, il peggio che si possa dire di esso è che ·si sia trattato di una vita inutile, senza-significato e senza carattere. D a quanto sopra è facile dedurre che una materia come • l'industriai design tanto più può dare risultati creativi, quanto più riesce a sfuggire o a non venircondizionata da presunte ricerche di mercato, da test condotti secondo le tecniche di indagine solitamente in uso e che meglio servono ad altre cose, da decisioni prese in nome di generiche attitudini commerciali. Queste in genere condu- •cono a soluzioni al minor livello, quando addirittura non sono impossibilitate ad esprimere alcunchè, se non per via negativa; quasi mai riconoscono l'innovazione come il miglior obbiettivo perseguibile, e sono fatalmente condotte ad approvare e sollecitare la ripetizione del già visto, dell'esistente con cui hanno più consuetudine, a far prevalere gusti di mimesi, ad essere eventualmente attratte da elementi secondari, del tutto ininfluenti o negativi rispetto alle qualità formali e tecnologiche del prodotto. Vi sono, com'è noto, in ogni organismo sociale (impresa, scuola, chiesa, partito, istituzione di qualunque ordine, esercito, movimento) attività di tipo democratico e attività di tipo aristocratico: in genere la degenerazione e la vecchiaia di un organismo si possono avvertire, accanto agli altri segni canonici, quando vi è un'inversione di campo tra questi due modi di assumere decisioni: quando le attività di tipo aristocratico vengono d~cise democraticamente, e quelle di tipo democratico, basate sul consenso, aristocraticamente (forse sarebbe più giusto dire autoritariamente). Il design è un'attività per sua natura aristocratica, specialistica, non può essere messo ai voti. Tutte le volte che ciò accade, il risultato è, se non per eccezione, il più mediocre, mentre tutto ciò che nella storia della disciplina ha significato qualcosa, ha introdotto nuovi elementi formali, ha segnato delle svolte, ha costituito dei punti fermi da cui non si è più potuto regredire, ciò è stato il frutto di decisioni nòn deviate da considerazioni di conformismo e di prudenza, dal timore di essere «troppo avanti» e di non trovare consensi, dal desiderio di «mettere tutti d'accordo», travestimento il più delle volte di un meno nobile stato di incertezza e di incompetenza. Ciò che mette tutti d'accordo è in genere il risultato più debole, senza fisionomia, senza -caratterizzazione e invenzione, senza elementi di vera novità, senza espressione. A questa condizione, che non è certo agevole, non si sfugge. Molto quindi dipende dal livello a cui nell'impresa il design è collocato e dalla possibilità che esso ha di partecipare su un piede di uguaglianza (e per quello che riguarda la specifica materia di sua competenza su un piede di preminenza) con le altre istanze dell'impresa. Nella quale, anche la migliore, vi sono costantemente due forze all'opera: chi una sola cosa no·n riesce a fare e cioè copiare, e chi sa soltanto o prevalentemente copiare, riferirsi a quello che già c'è e ha fortuna, seguire la corrente, sfruttarla, auscultare senza tregua un fantomatico mercato che in genere non parla, ripetere quanto già esiste assumendolo non come un gradin-0 di una scala che ha ancora in potenza possibillità, infinite, di crescere, ma come un raggiungimento definitivo sul quale arroccarsi e resistere. Da come nell'impresa queste due forze si articolano e riescono a prevalere, dipende non solo il destino del design, ma, alla lunga, quello dell'impresa stessa. Se essa si trova ad agire in un settore tecnologicamente in movimento, in cui non è possibile riferirsi al passato se non per superarlo, questa necessità di decisione si presenta in modi drammatici, e come una questione di vita e di morte, ma anche per i settori tecnologicamente più tranquilli e all'apparenza consolidati, essa alla fine si rivela determinante. La storia è ineluttabilmente dalla parte del nuovo, nulla di-quanto vi ha significato è anonimo, prodotto dal caso, anche se si è persa la memoria di chi abbia operato l'innovazione; e sono sempre assai pochi quelli che hanno la capacità di vederlo in anticipo, e la forza di determinarlo e farlo accettare. In questo senso il design è un elemento sostanziale, infungibile, dell'impresa produttiva, la spia del suo modo di essere, una delle misure della sua qualità. Ricordando tuttavia che ciò che è dirimente in questa accettazione, per un prodotto non di arredo e di decorazione, ma di uso e di complessità di strumentazione, è la sua qualità tecnologica, i suoi contenu-• ti reali, le funzioni che assolve, l'economicità, la sua immagine ,di prodotto avanzato: Da questo punto di vista si dovrà dunque dire che la tecnologia guida il design, nel senso che chi ha la tecnologia -più progredita può, se ne è capace e io vuole, determinare creativamente la forma e l'immagine del prodotto; chi segue deve necessariamente adeguarsi, e finirà fatalmente per imitare e andare, affannosamente o rassegnato, arrancando all'inseguimento.
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