GiovanniAnceschi, Aldo Colonetti, GianniSassi Da funzioni a finzioni pagina I RenzoZorzi Forma come comunicazione pagina III ValerioMorpurgo Sommossa dei disegni onirici pagina V Conversazionecon Gilio Dorfles a cura di Giovanni Anceschi, Aldo Colonetti, Gianni Sassi pagina VI Gérard-GeorgesLemaire Il dolce stil francese pagina X GelsominoD'Ambrosio, PinoGrimaldi Il libro, design inavvertito pagina XII MaurizioVogliazzo Design alimentare pagina XIII MedardoChiapponi, RaimondaRiccini Storie del disegno industriale pagina XIV AlessandroMendini Design pittorico pagina XV Supplementoad Alfabetan. 88 • Settembre 1986 ... (Design, ricerca) Dopo l'inserto uscito nel numero 83 dell'aprile di quest'anno, dedicato a «Gli scenari della grafica», Alfabeta torna ad analizzare, con questo secondo supplemento, «Homo Faber», un'altra area della produzione materiale, quella degli oggetti d'uso e di consumo, l'equipaggiamento tecnico e l'armamentario del corpo: l'insieme degli oggetti quotidiani. Il disegno industriale fa parte ormai del nostro paesaggio; molte volte non è possibile distinguere il valore d'uso e il valore simbolico degli utensili, degli strume~ti, cioè di tutto quel parco di artificialità che circonda la nostra esistenza. Alfabeta, già da tempo, con approcci diversi, tutti comunque caratterizzati da un livello di riflessione teorica piuttosto che da una semplice presentazione di autori e di opere, vorrebbe aprire un dibattito in un settore della progettazione dove, abitualmente, prevale una sorta di giustificazionalismo, in-assenza di un reale confronto tra idee e atteggiamenti culturali divergenti. Un altro inserto sarà dediçato ai problemi de~architettura, alla qualità del microambiente urbano, ai problemi dell'orientamento nella città, al vivere e al sopravvivere nel macroambiente. Dall'immagine bidimensionale al rapporto natura, storia, artificio. Dafunzionai finzioni S e il disegno industriale è da intendersi «come attività progettuale che prende le mosse esclusivamente da un'idea a prioristica sul valore estetico della forma1 allora potremmo affermare che esso ha assolto questa sua funzione e potrebbe, a questo punto, trasformarsi in attività da accademia, da inserirsi nelle istituzioni pubbliche come una sorta di lascito archeologico per i posteri. Se invece il disegno industriale ha come finalità culturale «la concretazione di un individuo tecnico»,2 per cui «progettare la forma significacoordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un modo o nell'altro, partecipano al processo costitutivo della forma dei prodotti»,3 allora la strada da percorrere è ancora lunga, nonostante il successo del design, soprattutto del made in Italy, e malgrado la sua consacrazione nei luoghi istituzionali e nella borsa delle merci. Introdurre una funzione artificiale tra l'uomo e il bisogno, tra le nostre capacità e attitudini ergonomiche e i nostri desideri e utopie, tra la sfera dell'essere e quella dell'avere, costituisce sempre un profilo di'testimonianza storica, determinata da particolari circostanze e esperienze; profilo che non può essere trasformato e tradotto in una forma metastorica, al di sopra della sua artificialità, una forma che appartenga a un iperuranio di platonica memoria. Il design, neila sua pretesa centralità all'interno dell'organizzazione del lavoro, ha operato soprattutto in questi termini, raddoppiando le funzioni e quindi le merci, nella direzione di un sistema di relazioni sempre più facili da fruire superficialmente e sempre meno facili da decodificare. Ciò significa che ad un'articolazione analitica e specialistica dell'offerta delle merci, la cultura della domanda ha cercato di rispondere, semplificando l'artificialità delle funzioni, proponendo di instaurare, il più delle volte, un rapporto ludico piuttosto che pratico con gli oggetti modellati dal disegno industriale. L'estetizzazione del prodotto è stata ed è un atteggiamento certamente stimolato e provocato dall'immagine generale che lo stesso mercato ha creato intorno al design, ma è anche il risultato della riduzione della funzione pratica degli oggetti a giochi simbolici, a situazioni edonistiche, ad apparizioni e recitazioni spettacolari. Da funzioni a finzioni. Il valore d'uso delle merci è già per principio nascosto dietro il valore di scambio nel contesto della società del consumo: «Mentre il valore di scambio si è fatto valere come finalità promotrice nella produzione delle merci, da questo momento (cioè dall'avvento e dalla diffusione della pratica del disegno industirale, ndr.) si produce una duplicità: non solo il valore d'uso riconosciuto, ma anche l'apparenza del valore d'uso, cioè la promessa estetica del valore d'uso».' Non si condanna, qui, la promessa estetica del valore d'uso, ma l'eccedenza di questa attesa rispetto alle esigenze di alcuna aree, zone della funzionalità collettive, nelle quali l'assenza o la presenza marginale di questa entità demiurgica favorisce una deregulation delle forme e dei servizi, dentro uno scenario dove è inesistente, ormai da decenni, la figura dell'homo faber, cioè di colui che è in grado di controllare tutto il processo delle trasformazioni, dalle esigenze primarie alle forme e funzioni significanti, soprattutto quelle collettive. Come scrive Arnold Toynbee, «gli esseri umani trasformano le "materie prime" inanimate, già esistenti in utensili, macchine, abiti, case ed altri manufatti, e danno a queste una funzione e uno stile che le "materie prime" non avevano. Funzioni e stile sono immateriali: in termini di materia sono cioè create ex nihilo». 5 Il designer opera dentro le categorie della funzione e dello stile, categorie immateriali rispetto alla naturalità dell'uomo e delle forme preesistenti al fare storico; se aggiungiamo a questa riflessione dello storico inglese un atteggiamento tipico del nostro scenario culturale contemporaneo, cioè la tendenza a trasformare tutto, anche i bisogni e la loro soluzione in eventi della comunicazione, tutto ciò diventa forse più comprensibile, ma non è certo completamente giustificabile l'atteggiamento progettuale che proietta sulle forme tridimensionali esterne non tanto i comandi delle funzioni quanto un paesaggio fantastico riconoscibile come opera d'autore: «Il limite non è dunque da segnare tra valore d'uso ed un'apparenza addizionale del valore d'uso. Ci si deve chiedere: quale apparenza del valore d'uso è legata al valore d'uso nel senso dei bisogni, e quale invece è orientata contro i bisogni. L'aspetto estetico delle merci è dunque da sottoporre ad una critica materiale». 6 e, è forma e forma, e c'è funzione e funzione: una critica materiale non significa necessariamente azzerare la storia della produzione del design di questi ultimi quarant'anni, ma significa invece riportare all'interno di questo settore particolare della progettazione alcune istanze, alcune problematiche che sono state espulse o perché sono col tempo divenute ingombranti culturalmente, o perché trnppo coinvolgenti dal punto di vista della collocazione ideologica del designer. Innanzitutto è necessario ridiscutere il concetto di funzionalità per evitare sia fughe laterali, evasive nella direzione di oggetti autoreferenziali, sia un ritorno a un triste parco di strumenti, prodotti, forme esteticamente poveri. A metà degli anni '80, il concetto di funzione deve tener conto della rivoluzione tecnologica che ha ridotto il cuore, il motore, la meccanica dell'oggetto a uno spazio fisico minimo, e a vuoto morfologico. Stiamo parlando del chip, della rivoluzione di Sylicon Valley, ma anche, in generale, della miniaturizzazione elettromeccanica e, per quanto riguada i materiali, della ormai acquisita possibilità di produrre materiali in funzione dei requisiti. L'aspetto formale del prodotto dell'oggetto, ora che la struttura tecnica non ha più una configurazione precisa e vincolante, può parlare più linguaggi contemporaneamente, destrutturando, se que- •sto è necessario per imporre un'utilizzazione nuova dello stesso prodotto, le intepretazioni tradizionali di carattere aprioristico. La liberalizzazione della forma rispetto al cuore tecnologico del prodotto, se è da un lato auspicabile, dall'altro lato dovrebbe essere controllata storicamente, in quanto l'utenza, la sua corporeità, il suo essere soggetto, il suo suddividersi in gruppi sociali, sono categorie storiche e quindi sempre in continua trasformazione. Il design, negli anni del suo grande successo economico é mondano, ha peccato di sincronicità, attribuendo così ad alcune soluzioni progettuali, storicamente significanti ma determinate da situazioni locali, un valore metastorico di forma e di funzione. «L'affermazione che Io scopo della progettazione sia, alla fine, la forma, mira troppo basso. Le forme dei prodotti - la configurazione visiva degli artefatti - non costituiscono l'obiettivo, ma servono piuttosto come mezzo per la soddisfazione dei bisogni dell'uomo ed è
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