Giornale dei giornali li-boomchenonc'èstato Il e ome abbiamo visto nello scorso numero, i dati statistici resi noti in diversi paesi occidentali intorno alla metà dell'anno hanno confermato che la rapida crescita dell'economia mondiale preconizzata all'inizio del 1986non c'è stata. Al contrario, in alcuni paesi-chiave come la Germania e il Giappone le cifre della crescita sono precedute dal segno negativo. Questi dati lasciano aperte, ovviamente, diverse ipotesi, in un largo ventaglio che va dal semplice rinvio del boom all'inizio di una recessione mondiale. Estate di incertezza, aveva decretato il titolo di un editoriale del Financial Times del 14 giugno. Previsione rispettata in pieno. Le notizie affluite in luglio hanno reso percepibile anche sulla stampa italiana quel mutamento di clima che avevamo segnalato nella prima puntata, partendo dalla lettura della stampa straniera. È notevole che tale mutamento si osservi anche in giornali che, fino a qualche settimana fa, erano percorsi da brividi per l'imminente «miracolo economico». Pochi giorni dopò aver chiuso la prima puntata, la Repubblica ci ha offerto in prima pagina un articolo di Guido Carli, intitolato Ma avete dimenticato la Grande Depressione? (5 luglio). Nella psicologia collettiva l'articolo di Carli ha segnato, in Italia, un punto di svolta; questa almeno la valutazione espressa dall'ingegner De Benedetti, di lì a poco: «...mi pare si faccia un gran parlare (di ,crisi) da parte di coloro che fino a pochi mesi fa dissertavano con altrettanta convinzione di ripresa. Qualcuno Q uando nel marzo dello scorso anno - scrive The Economist - il governo della signora Thatcher incaricò un comitato, presieduto dal professor Peacock, di studiare i modi di finan: ziamento della Bbc, non era difficile indovinare la segreta speranza del governo che la commissione avrebbe autorevolmente raccomandato alla Bbc di aprire finalmente le porte alla pubblicità. L'ente televisivo di Stato avçva appena chiesto di portare il canone per la Tv a colori a 65 sterline l'anno; si era dovuto accontentare di 58. Ai primi di luglio, rendendo pubblico il suo rapporto, la commissione Peacock ha preso in contropiede il governo di Sua Maestà. In primo luogo, perché ha rigorosamente rispettato la data per la conclusione della sua indagine. In secondo luogo, perché ha concluso che la Bbc dovrebbe continuare a tenere gli spot pubblicitari fuori dalla porta. Il comitato di esperti ha invece suggerito di congelare il canone a. 60 sterline (in termini reali) e di puntare gradualmente su forme di pay television, con cui il pubblico pagaper i programmi che preferisce vedere. A questo scopo, i nuovi televisori dovrebbero essere attrezzati con decodificatori che rendono possibile la visione solo agli spettatori paganti. Infine, il rapporto Peacock è andato abbondantementeal di là dell'incaricoaffidatogli, avanzando imbarazzanIndex - Archivio Critico dell'Informazione mi dovrà spiegare come ha fatto a cambiare opinione; forse perché lo ha detto Guido Carli? Può darsi, ma si dicono tante cose». ( «È esagerato parlare di recessione», in la Repubblica, 19 luglio). Con l'affluire di dati negativi e nell'incertezza generale, è comprensibile che lo schierarsi di una deve aver impressionato, fin dalle prime righe: «Si diffonde sempre più il timore sommessamente espresso di pericolo serpeggiante di recessione mondiale». Converrà ricordare che, pochi giorni prima, la stessa Repubblica aveva ospitato un'intervista a Galbraith (Un crack nel nostro futuro, ---~Quadrimestrale del Centro di Ricnca sulla Tradi::ione Manoscriua di A uwri Comemporanei. Uni1·ersitlidi l'm·ia Nel/'ouavo numero Intervista a Ernesto Sabato a cura di Cesare Segre Una prosa inedita di Umberto Saba Il «Fondo Carlo Levi» dell'Università di Pavia Saggi di Fredi Chiappelli, Paolo Giovannetti. Giuseppina Restivo, Franco Loi In libreriaa lire 10.000 Abbonamento per un anno (3 numeri) Lire 28.000 Inviare l'importo a Co,opcrativa lntraprc~a Via Caposik 2. 20137 Milano Conto Corrente Postale I 5431208 voce qualificata, come quella di Carli, sul versante delle ipotesi più pessimistiche, possa aver suscitato una certa sensazione, anche se analisi dello stesso tipo si potevano leggere da tempo (e con crescente frequenza) sulla stampa finanziaria_ internazionale più accreditata. Lo stesso tono dell'articolo di Carli 2 luglio), nella quale l'economista americano affermava testualmente: «Non escludo un nuovo '29». Carli, a proposito della crisi debitoria del Terzo mondo e in particolare di quella messicana, scrive: «Anche nel '30 la grande depressione fu innescata da una crisi periferica: quella della Kreditanstalt di Indice della comunicazione Vienna». Lo spettro del Grande Crollo del '29 non manca mai di sortire i suoi effetti. La schizofrenia delle analisi e delle previsioni economiche in questa «estate d'incertezza» si riflette in pieno nel diverso atteggiamento assunto dai principali quotidiani. Soltanto il giorno prima dell'articolo di Carli, il Corriere della Sera presentava in prima pagina un titolo come L'Europa ha ripreso a creare occupazione, mentre in terza pagina una nuova puntata della lunga inchiesta di Stille sull'America di Reagan (L'eroe di Reagan è un manager d'assalto, 4 luglio) apriva il sommario con parole baldanzose: «La grande ripresa in atto negli Stati Uniti ... ». Passano poco più di quindici giorni, ed anche il Corriere deve prendere atto che qualcosa non funziona nella «grande ripresa». L'articolo di fondo, sempre di Stille, del 21 luglio è intitolato: Lo stop americano - Perché rallenta la ripresa economica Usa. Sul lato opposto, la Repubblica registra una serie martellante di titoli di prima pagina dal sapore catastrofico. Dopo Galbraith e Carli, il 10 luglio c'è un commento di Brancoli, E anche per Reagan la festa è finita. Il 13il titolo principale è Si ferma la ripresa? Ecco cosa può fare l'Italia. A fianco un articolo con un'altra firma prestigiosa, quella di Luigi Spaventa, e un altro titolo tempestoso, Le nubi economiche sul nostro orizzonte. Il 16 si annuncia: Il petrolio a sette dollari. Rallenta l'economia Usa. Il 17nuovo commento di Brancoli: L' America è tornata al tempo degli orsi (il riferimento è al gergo di borsa, dove «orso» è definito colui che opera Il rapportoPeacock Index - Archivio Critico dell'Informazione ti proposte per rompere ciò che il professor Peacock chiama il «confortevole duopolio» della Bbc e delle compagnie indipendenti radunate sotto l'ombrello della ltv. Il rapporto si raccomanda anche per la sua proiezione nel futuro più lontano della radiotelevisione, un futuro - come scrive maliziosamente The Economist - nel quale «la maggior parte dei membri del- ['attualegoverno andrà a ritirarela pensione». In termini generali, il rapporto prevede che i mutamenti tecnologicifiniranno per minare la ' capacità del governo di regolare programmi e pubblicità. Queste previsioni soddisfano gli astratti furori liberisti del governo Thatcher. Ma risultano imbarazzanti quando si scende sul piano della concretezza. Per esempio, il suggerimento che i programmi dovrebbero essere sottoposti alle normali leggi in materia di oscenità, diffamazione e sedizione, ha suscitato l'orrore personale della signora Thatcher, che non supporta l'idea di programmi «sesso-e-violenza» trasmessi nelle ore di massimo ascolto. Il suggerimento è stato respinto. Non è il solo punto su cui il governo ha fatto già sapere la sua disapprovazione. Forse le proposte più dure da digerire sono proprie quelle che il comitato Peacock ha elaborato con lo scQpOdi attivare una autentica competizione fra le reti televisive e radiofoniche. Particolarmente interessanteci sembra quella avanzata da quattro membri della commissione. Secondo la loro raccomandazione, la Itv dovrebbe rilasciare le licenze per le stazioni televisive private sulla base di offerte competitive, insomma di una specie di «asta»nella quale la licenza andrebbe al miglior offerente, fermo restando l'impegno di rispettare alcuni standard minimi. L'asta otterrebbe il duplice risultato di «scremare» i profitti monopolistici e di aprire una competizione sui costi di produzione dalla quale neppure la Bbc resterebbe immune. A nostro parere, si· tratta di una proposta interessante e originale, almeno in termini di . «filosofia» .generale, per restaurarenel broadcasting quella competizione che tutti dicono di volere e che, in effetti, si·risolve quasi ovunque in pratiche oligopolistiche e collusive fra soggetti inamovibili. Per ottenere i suoi effetti, una simile «asta» dovrebbe essere periodicamente riaperta ed estendersi progressivamente dai canali alla stessa programmazione, aprendo la strada alle produzioni indipendenti. Si pensi a ciò che potrebbe fare in Italia un metodo di questo tipo per rompere la cristallizzazione indefinita del duopolio Rai-Berlusconi. In Gran Bretagna, il dibattito aperto dal rapporto Peacock è appena iniziato, ed è probabile che, almeno a livello di esperti, si estenderà in altripaesi europei, come la Francia, alle prese con gli eterni problemi posti dalla «privatizzazione» di un monopolio radiotelevisivo. Intanto, vale la pena di registrare la reazione che il rapporto Peacock ha suscitato al di là dell'Atlantico. Ci riferiamo a un editoriale pubblicato dall'influente Wall Street Journal, alfiere del liberismo reaganiano - in fondo così diverso dal liberismo dei conservatori inglesi. L'editoriale offre una criticaad alzo zero, con argomenti semplici quanto rivelatori. Il punto principale di attacco è il rigetto dell'ipotesi di introdurre la pubblicità nei programmi della Bbc. «Il problema non sta in quello che lapubblicità farebbe alla qualità dei programmi, né riguarda il modo con cui finanziare la British Broadcasting Corp. La questione - malgrado il rapporto Peacock - verte su ciò che è bene per l'economia britannica. L'intero dibattito circa la pubblicità alla Bbc sembra perdere di vista il concetto che le nazioni hanno bisogno di permettere alle imprese l'accesso allapubblicità, se vogliono costruire un'economia funzionante. La pubblicità è uno strumento nella costruzione di una nazione». Come si vede, il punto di vista del Wall Street Joumal ribalta completamente i termini della discussione così come viene prevalentemente impostata in Europa. La pubblicità non è al servizio della televisione, è la televisione che in previsione di un ribasso). II' 18 c'è una corrispondenza di Vittorio Zucconi, intitolata Sulle banche americane soffia un vento di crisi - Forti perdite, profitti in declino. Per la nostra stampa quotidiana, di solito poco sensibile ai temi dell'economia internazionale, una siffatta sfilza di titoli è poco meno che eccezionale. e ome si può dedurre facilmente dall'impostazione dei titoli della Repubblica, l'arresto della ripresa economica mondiale e lo spettro di una recessione vengono collegate strettamente all'economia americana e alla politica economica di Reagan. Inevitabilmente, l'analisi economica si tinge di connotazioni politiche. Cio è particolarmente evidente, per esempio, nel titolo di testa di Paese Sera del 16 luglio: Usa, finito il boom. Sulla «reaganomic» (sic) il fantasma del tracollo del '29. Per contro, sul Corriere della Sera, l'articolo di fondo del 21 luglio spiega che la ripresa americana si indebolisce soprattutto per la mancata espansione della domanda negli altri paesi, principalmente in Germania e in Giappone. In terrnini un po' sovrasemplificati: la reaganomics ha fatto la sua parte per rilanciare l'economia mondiale, ma gli altri paesi industrializzati si attardano in politiche restrittive; di qui i rischi di uno scivolone recessivo. Non si tratta di un'analisi stravagante, isolata. La si può leggere un giorno sì e un giorno no sulle pagine del Wa/1Street Journal e in diversi editoriali dell'inglese Financial Times (anche se quest'ultimo ospita, a volte, anche articoli deve essere posta al servizio della pubblicità. Non solo la pubblicità, scrive il giornale, consente ai produttori e ai commercianti di far circolarenel mercato le notizie sulle loro merci; fa molto di più: «Essa crea i bisogni. Dà un punto focale ai sogni. Fa sì che lagente lotti quando potrebbe, diversamente, tirarsi indietro... Il risultato è un maggior volume per gli affari individuali, un inasprimento della concorrenza, una maggiore rapidità nel ritmo degli scambi. Più lavoro significa più posti di lavoro da occupare». Sono parole da meditare. nella loro concisa mancanza di ipocrisia valgono più di molti noiosissimi volumi di «teorie» sulla pubblicità che abbiamo dovuto subire da almeno vent'anni a questa parte. È notevole che molti argomenti sembrino presi di peso da qualche ela,borazione marcusiana di qualchf lustro fa. È ·solo cambiato il segno: là era negativo, qui è positivo. Oscillazioni del gusto? Peering past Peacock The Economist 5 luglio 1986, p. 12 What's good for the Bbc The Wall Street Journal 7 luglio 1986, p. 6 The Peacock Report (articoli diversi) Financial Times 4 luglio 1986, pp. 9-10.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==