Degradog~cademico Q uasi tutta la nostra vita è accompagnata dal pensiero che qualcosa potrebbe andare meglio di come va. In questi ultimi due anni credo, anzi spero che buona parte dei professori universitari abbiano avuto un tale pensiero nei riguardi dei concorsi a cattedre di ruolo. Se è così, vale sempre la riflessione di Baudelaire nei Diari intimi: «A rimandare quello che si deve fare, si corre il pericolo di non poterlo fare mai. A non convertirsi subito, si rischia di essere dannati». Non rimandiamo, dunque: ora (estate 1986)che tutti i concorsi dell'ambito umanistico volgono al termine, è tempo di amare denunce. Non alla magistratura, naturalmente, perché sul piano formale le cose sono quasi sempre in regola; ma all'universo etico-culturale degli intellettuali. Per l'attuazione dei concorsi collaborano due realtà: le istituzioni universitarie, risalenti a disposizioni ministeriali, e la categoria dei professori di ruolo chiamati a fare da commissari e a mettere in atto i concorsi stessi. Se da entrambe le parti a un certo momento difetti ed errori predominano su virtù e verità, il danno è compiuto e perfetto; il degrado incombe paurosamente. Partiamo dall'istituzione: come è noto, molti anni fa i concorsi avevano ricorrenze o annuali o, in prevalenza, biennali, il che produceva almeno tre esiti positivi. 1) Il numero dei concorrenti non era molto vasto, in quanto avveniva una distribuzione abbastanza normale dei candidati nel tempo. 2) Vincere o perdere non era una questione di vita o di morte professionale, perché subito dopo si presentava un'altra occasione di concorso. 3) Essendo ristretto il numero dei posti messi a concorso, il numero dei giudici e dei candidati, c'era minore adito per giochivari estranei alla cultura e al futuro della disciplina. Adesso, come si sa, dopo anni di assenze concorsuali, si può arrivare a concorsi con più di trenta posti e con varie centinaia di concorrenti. Una situazione babelica. Ancora: una volta c'era la «libera docenza», che era un esame a concorso, ma di carattere scientifico, non pratico e carrieristico. L'esame selezionava i concorrenti e dava un titolo che era di puro riconoscimento di maturità scientifica e, come tale, meno soggetto a una serie di interessi dell'ordine pratico. Il libero docente poteva essere liberamente chiamato da una uqiversità, dove faceva il suo tirocinio anche didattico come professore «incaricato»; dopo di che, a maggiore o minore distanza di te01po, prendeva parte ai concorsi a cattedra. Q ualcuno vorrà postillare: poiché oggi nelle università italiane esiste, come all'estero, una struttura dipartimentale, si è creato al posto della libera docenza il dottorato di ricerca, una sorta di Ph.D. italiano. Benissimo. I:! .s Con qualche differenza, però, e già l all'orizzonte qualche grosso pericolo: siccome il dottorato di ricerca, che ha la sua sede presso una specifica università, funziona solitamente per un gruppo di tre o quattro università, che collegatesi al proposito inviano i propri candidati al concorso presso la sede specifica fra loro designata ai fini del- ~ l'esame e dei corsi di specializza- ..c:, zione seguenti, ecco due pericoli ~ ~ che già si prospettano. II primo è legato al male della lottizzazione, che risulta infettivo: difatti dal mondo dei politici, dove _l'epidemia è iniziata, il morbo sta passando ad altre strutture sociali, diffondendosi ed estendendo le proprie dannose conseguenze. Può accadere, e in qualche luogo è accaduto, che i posti di dottorando non siano distribuiti in base a una graduatoria del valore scientifico delle prove d'esame, ma in base a una lottizzazione. Per esempio: se sono tre le università collegate ai fini di un dottorato di ricerca, si sceglie un candidato per ognuna cultore della materia, non invece un normalissimo dottorando. Ma stiamo per scivolare su terre- . no più scottante, quello del comportamento, come dire dell'etica professionale, dei commissari. Non si vuole, beninteso, fare i puri moralisti: errori e giochi d'astuzia ci sono sempre stati nei concorsi universitari, come del resto in tutte le cose amministrate dagli esseri umani. È chiaro che sarebbe stato, e sarebbe ancora possibile, mimando il Boccaccio, scrivere una sorta di Decameron: una giornata «nella quale si ragiona di tante Giulio Paolini, 1970 delle tre università. Si noterà subi- nullità che con l'aiuto della Fortuto quanto il criterio sia contropro- na e la distrazione degli intelligenti <lucentenei riguardi di una asettica magnificamente arrivarono alla difesa della graduatoria di merito. cattedra». Un'altra «nella quale si Ma vi è un pericolo ancora più ragiona di eccellenti studiosi che grave, come si è visto negli ultimi non poterono per la loro eccellenza concorsi a cattedra, da poco esple- .. toccare il traguardo della cattetati: dottorandi che concorrono ad- dra». O una «nella quale si ragiona dirittura alla cattedra, con scavai- di chi entrò in commissione al solo camento di ricercatori e professori scopo di far perdere il concorso a associati, possibile se si ha il pro- un bravissimo candidato»; o un'alprio maestro in commissione. Na- tra «nella quale si ragiona degli alturalmente apprezzeremmo il mi- lettamenti, inviti, ospitalità, conrabile salto categoriale se si trattas- vegni e marchingegni vari preconse di riconoscere un genio in erba corsuali con cui un candidato, diffidella disciplina o un eccezionale dando dei propri scritt~,felicemente arrivò a conquistare la mente di commissari reputati valenti», e via di seguito. Si concluderebbe da un tale libro che gli ignoranti sono al mondo la più stupefacente espressione di vitalità. M a allora che cosa è cambiato? Che cosa è oggi peggiorato? Molte cose sono peggiorate, in accordo con la legge universale dell'a poco a poco, a a grado a grado. Soffermiamoci su due, sempre riferendoci alle Facoltà umanistiche: delle altre parli chi ne ha competenza. In primo luogo, quella che un tempo era l'aspirazione più o meno tacita di ogni maestro a fare vincere un concorso a un proprio allievo si è grammaticalizzata, cioè codificata; è divenuta un elemento portante della grammatica della.v. isione del mondo concorsuale. In altre parole, per un tacito accordo ormai equiparabile a una norma, ogni commissario ha per così dire •«diritto» a far vincere un proprio candidato. Il giudizio comparativo inizia per ogni giudice col secondo candidato. Tutto ciò apparirà abbastanza assurdo o grottesco solo a chi è fuori da questo universo accademico, da questo sistema perverso; quelli che sono dentro sembrano non stupirsene affatto. Per esempio, se i commissari sono cinque e i posti a concorso sette, in pratica si discute su due; ma se per caso i posti sono quattro, può succedere di tutto, come nei drammi in famiglia. Se i posti sono molti, i candidati moltissimi e i commissari salgono da cinque a nove, vi sono concorsi in cui a ogni commissario, rappresentante di una scuola, propria o altrui, per accordo interno si lasciano da coprire due posti. Esistono poi commissari più astuti degli altri che si prendono di «diritto» al primo posto un allievo mediocre, ritenendo che per un calcolo di probabilità il bravo si potrà farlo vincere attraverso la discussione. Con questa disgustante tecnica si conducono tranquillamente abbastanza spesso i concorsi, alla fine dei quali ovviamente eccellenti studiosi non possono che rimanere esclusi. A fare uno schizzo dell'evento concorsuale si può anche inserirvi, quasi a compensazione, uno o più giudici intelligenti e intellettualmente onesti (è la coppia delle qualità che conta), che ne trarranno a seconda della loro natura esperienze amare o amari godimenti. Il secondo fatto su cui si vuole richiamare l'attenzione è quello, gravissimo e abbastanza nuovo, della lottizzazione. Forse per evitarlo il ministero ha da qualche anno introdotto il sistema dell'estrazione a sorte finale dei commissari in precedenza votati dalle Facoltà; ma il rimedio si è risolto in nuovo male (un proverbio lombardo-veneto dice, tradotto, «peggioil rammendo del buco»). D el pericolo della lottizzazione già si è parlato a proposito dei dottorati; più frequente e assai più gravido di conseguenze nel mondo dei concorsi, dove ha luogo soprattutto se i posti a concorso ·sono molti, una ventina o • una trentina. Parlare di lottizzazione significa parlare di programmazione della copertura delle cattedre in base a fattori che nulla hanno a che fare con i titoli del candidato o le necessità di una disciplina, bensì dipendono da motivazioni politiche, partitiche, geografiche, di scuola quando non di mafia universitaria. Qui siamo di fronte a veri sintomi di degrado sia etico che culturale, di cui si potranno avere le conseguenze per molti anni. Non si può calcolare esattamente dove porterà l'influsso di cervelli mediocri messi in gran numero in cattedra in questa ondata concorsuale con motivazioni extraculturali, extrascientifiche, ma tale influsso lascerà certo segni su varie generazioni di studenti. Questo breve articolo corre il rischio di essere preso per una minuscola guida alle malefatte accademiche, ma non è che un semplice schizzo di una realtà a portata di • tutti. Con esso si vuole solo ricor,- dare a coloro che nel nostro Paese credono alla cultura come non si possa, non si debba restare indifferenti di fronte ad alcune manifestazioni di avversione assoluta per i prodotti seri dell'intelligenza. Da dove nasce e dove conduce questo genere di trista stravaganza di certi intellettuali italiani?
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