Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

essere, copiando dallo stile degli allestitori che collegano il prima col poi, Da Fetonte a Berlusconi, dal momento che la frenesia percettiva dell'uomo nuovo si realizza oggi, energia nucleare permettendo, nel televisore a comandi, nella varietà instancabile con cui l'abbonato massmediale si costruisce immagini cangianti nella penombra solitaria del suo villaggio elettronico. Le sintesi teatrali, l'ossessione lirica della materia, i montaggi alternati verrebbero pertanto messi in onda nell'attitudine non scientifica (Gobetti aveva accusato Marinetti di impotenza a riflettere!) ma sintonizzata alla tecnologia essoterica del XX secolo. 3) Futurismo e Guerra. Si sa che a lungo la nostra cultura ha rimosso il Futurismo. Occuparsene, implicava sospetti nostalgici. Specie l'antifascismo l'ha espulso dalle proprie indagini, con un ostracismo simile all'imbarazzata integrazione operata nei suoi riguardi dal regime fascista che si era affrettato a ricoprire il capo di Marinetti della feluca di accademico. Si è dovuto attendere il neosperimentalismo degli anni '60 con la poetica dell'arte montaggio, con la citazione parodica, l'antipsicologismo, il ludismo linguistico per tentarne un parziale recupero innocuo nell'etimo della parola. Ma è stato il '68, con la sua carnevalizzazione degli spazi e dei tempi del sapere istituzionale, con l'antipedantismo anarcoide, con l'enfasi dell'azione diretta, le palingenesi e i gradi zero della Storia, a spalancare le soffitte scoprendovi tutto un deposito imL a comprensione di quella·«nebulosa» apparentemente inesplicabile rappresentata dall'odierna realtà giovanile passa necessariamente anche attraverso un'analisi del ruolo in essa svolto dalla componente musicale. Il rapporto dei giovani con la musica è infatti oggi di un'importanza fondamentale, talmente fondamentale da occupare, seppure con forme e modalità diverse, larga parte del loro tempo d'esistenza quotidiana. Non è superfluo allora chiedersi se è possibile coniugare rock e sociologia, se è possibile cioè studiare con gli strumenti concettuali.e metodologici messi a punto dalla ricerca sociologica la musica rock e l'intero universo culturale giovanile che le fa da contorno. L'analisi della letteratura esistente in materia ci mostra però come l'incontro tra rock e sociologia sia sempre stato difficoltoso. La spiegazione di ciò deve essere rintracciata, oltre che naturalmente nel persistere di pregiudizi «accademici» verso un soggetto come il rock ritenuto troppo «quotidiano» e troppo poco significativodal punto di vista sociale, nella natura stessa del rock, nato alla fine degli anni '50 come fenomeno giovanile di consumo musicale, ma subito impostosi anche come realtà giovanii::s le completa, come subcultura che .s ~ attraversa trasversalmente l'intero ~ universo giovanile e muta perciò continuamente di forma. Tale funzione è resa possibile dalla strutturale mancanza d'identità del rock, trasformatosi sin dall'inizio in una «babele di linguaggi»che assorbe e necessariamente consuma al suo interno tutte le forme culturali disponibili (tutte le musiche, tutte le pratiche artistiche, ecc.). È probabilmente a causa di questa instabilità congenita del rock prevedibile di analoghi investimenti emotivi, di fissazioni fondanti e collettive capaci di spiazzare comportamenti ed equilibri di un'intera generazione. Ora, di questo frontismo, di questo spirito barricadiero che cerca le sue trincee, nella Mostra di Palazzo Grassi non c'è traccia. O meglio, non mancano i singoli pezzi, ma è la combinazione che risulta un po' carente. È giusto ridimensionare il politico, ma è molto politico insistere sul non politico del movimento. Dalla passata rimozione, si è cascati nell'altro eccesso, nella rimozione della rimozione. I treni blindati di Severini, le Guerre navali di Carrà, le Truppe a riposo di Nevinson, la Guerra di Dix, la Lotta di Witkiewicz, andrebbero risistemati in un unico ambiente all'insegna di una polemologia tumultuante e spesso autolesionista (vedi il sangue versato dai Boccioni, dai Sant'Elia, dagli Apollinaire). L'orrore e il non senso del conflitto mondiale vengono riletti nei processi di occultamento estetico od etico con cui, al di qua e al di là degli schieramenti nazionali, le alcove di acciaio e l'igiene del mondo metaforizzano l'adesione ingenua giovanilista alle strategie antisocialiste. A epitaffio di questa sezione proporrei il passo sulla pittura astratta di un autore oggi relegato tra la carta straccia, ahimé!, Brecht, che si ostinava a considerare resistibile l'ascesa di Mahagonny, là dove il colore rosso indeterminato provoca lagrime di commozione pura nel pubblico intoccato e lagrime diverse nei genitori di che da sempre hanno prevalso le analisi di esso orientate in senso «musicologico». Negli ultimi anni però alcuni sociologi hanno incominciato ad occuparsi di queste problematiche e i risultati da essi raggiunti meritano senz'altro di essere considerati, nonostante la loro parzialità, se non altro per la sinora scarsa circolazione in Italia. L a maggior parte de?li studi in questo campo proviene non a caso dalla Gran Bretagna, la nazione più coinvolta dalla cultura rock e maggiormente motivata perciò alla sua comprensione, _e britannico è naturalmente anche il primo importante libro scritto sull'argomento: The Sociology of Rock, uscito nel 1978, tradotto in italiano nel 1982 e rivisto e ripubblicato recentemente dall'autore, Simorì Frith, con il titolo di Sound Effects. La struttura generale del volume è rimasta però sostanzialmente la stessa, così come invariato è rimasto il suo difetto principale: un eccessivo «musicologismo» di fondo che convive male con le intenzioni marxiste di partenza dell'autore. Del resto è difficile credere a queste intenzioni se si considera che Frith basa la sua analisi del fenomeno rock su una vecchia rièerca empirica da lui svolta nel '72 su un piccolo campione composto da 105giovani e della cui metodologia oltretutto ci dice ben poco. Lo è ancora di più però quando egli arriva a sostenere che i giovani sono «molto più disincantati nei confronti di loro stessi e del loro mondo di quanto la tradizionale immagine dell'adolescente sia disposta a riconoscere. I giovani sanno come funziona il rock commerciale anche se gli piace» (ed. it., p. 58). Ma i giovani in realtà, così come un bambino dilaniato da una bomba d'aereoplano. 4) Futurismo e Alienazione. Il lavoro innanzitutto. Gli operai che si intravedono nei quadri di Balla e Boccioni, le tute razionali degli abbigliamenti eccentrici, l'antigrazioso quale indicazione enigmatica dei primi manifesti, sono un discorso obliquo sulla subalternità sociale, da cui solo progressivamente il futurismo cerca di liberarsi. Il lavoro trasfigurato in energia, sublimato in macchinismo sono un po' la spia di un rapporto intimorito con l'altra classe. Analogamente, la fisicofollia, gioiosamente agitata nel tempo degli eroici furori, se retrocessa nella fase aurorale, nei tentativi divisionisti e puntillinisti, ancora a ridosso del reale, svela..t.utta la sua disperante tensione di diversità minacciata, non minacciosa, come i quadri preespressionisti di Munch, o come la Pazza di Balla che agita le sue mani adunche da una fredda terrazza condominiale. E la Metropoli fornisce allora le metonimie d'obbligo per tale Universo disanimato dentro, in rapporto alla dinamicità di facciata. La Città come spazio sostanzialmente nervoso, proiezione reificata dello smarrimento di un Soggetto che ha perduto il proprio luogo di origine, di un Essere sradicato da sé, la Città reticolo di strade senza centro, la Ville poco radieuse e poco charnelle, il Corpo senza Testa o la Testa senza Visceri dei notturni urbani multicolori e viceversa delle lugubri pianificazioni geometriche, la Città Caos e la Città Cosmo sono le quinte-simulacro non sono manipolati passivamente dalle industrie discografiche, cosa che del resto afferma anche lo stesso Frith in polemica diretta con Adorno e la sua «snobistica» concezione di tutta la musica «non-colta», non sono nemmeno dei consumatori smaliziati di musica, nonostante che la frequentazione quotidiana dei meccanismi commerciali e simbolici del consumo culturale li abbia resi più «esperti» di questi rispetto al passato. Essi hanno invece nei confronti della musica rock quello stesso atteggiamento «strumentale» che possiamo ritrovare oggi anche in altre sfere della condizione giovanile e che sembra diventarne sempre di più il tratto predominante. A Frith va comunque il merito di aver per primo cercato di analizzare, pur con esiti contraddittori, la musica rock considerandola non soltanto una forma di espressione musicale, ma un vero e proprio insieme di merci prodotte per il consumo giovanile di massa. Il rock va studiato cioè in quanto linguaggio simbolico di comunicazione e di riconoscimento per larghe masse giovanili, risultato dell'interazione tra il «nuovo protagonismo» giovanile reso possibile dalla crescente disponibilità di reddito e di tempo libero per i giovani dell'Occidente industrializzato, e le strategie di sviluppo dell'industria culturale e discografica. Per quest'ultima esistono però, come ha evidenziato lo stesso Frith, anche problemi legati alle possibilità di crisi di sovrapproduzione, molto elevate in un mercato • come questo caratterizzato da una particolare instabilità e imprevedibilità. Del resto la natura stessa del rock è contraddittoria: perfettamente integrato nel sistema produttivo capitalistico e contemporadi un accesso al Moderno acritico e drammaticamente privo di alternative percorribili. Gli esiti più escapistici, la mitologia naturista dello Sport, le Nuotatrici di Carrà, i ciclisti e i calciatori di Boccioni, così come la topica ossessiva e tardosimbolista della danseuse ed ancora la Supermarionetta circense che da Severini a Depero attraversa l'invivibilità del sociale, sono le terapie utopiche, la fuga dal rigido e dal bloccato tramite la apologia del fluido e del perturbante artificiale in una metafisica che esorcizza lo spettro della fatica espropriata. Come titolo di questa sezione, propongo Il ritratto di Pound, la piccola china di Henri Gaudier-Brzeska seminascosto nella sala inglese, e che, invece moltiplicherei in gigantografie col suo profilo sdegnato su carta crema, e lo sguardo delirante che manda bagliori artaudiani sulla materialità dell'esistenza tecnologica con cui deve convivere. È il Pound dei Cantos dantescamente furibondo nel suo spaesamento rispetto al Nuovo. Magari, il profilo dovrebbe collocarsi nell'asse prospettico del video Fiat inneggiante alla Grande Fabbrica della Cattedrale culturale, per spiare i fotogrammi dove appaiono le «maestranze» alle prese con le tegole, in bilico su assi traballanti, o immerse nel fango delle palafitte, buffi schiavi ignari dei destini del Faraone, sprovveduti e inadeguati nei confronti dell'epica Impresa. Ma qtJesti braccianti, nel senso pieno della parola, mi richiamano per analogia futurista un altro apologo brechtianeamente mezzo di comunicazione interindividuale «a misura d'uomo» che consente la costruzione di comunità simboliche tra gli individui di tipo collettivo o di piccolo gruppo. A fianco del lavoro di ricerca singolo di Frith esiste però in Gran Bretagna anche una vera e propria «scuola» sociologica che si occupa di questi temi. Si tratta della cosiddetta «scuola di Birmingham», scuola che è nata all'interno del Centre for Contemporary Cultural Studies (Cccs), fondato nell'università di questa città britannica da Richard Hoggart nel 1964 e diretto in seguito da Stuart Hall. Ancora relativamente poco noti e tradotti in Italia, i numerosi autori di questa scuola si occupano prevalentemente dello studio delle dinamiche dei processi socio-culturali della società urbana e soprattutto di quelle riguardanti la realtà operaia britannica. • Probabilmente il lavoro più significativo di quell'approccio sottoculturale che caratterizza la scuola di Birmingham è Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, nel quale l'autore Dick Hebdige utilizza un metodo realmente interdisciplinare, anche se fortemente condizionato, come l'intera scuola del resto, dall'interpretazione del pensiero marxista fornita da Gramsci. Del concetto gramsciano di egemonia, in particolare, Hebdige si serve spesso, anche se generalmente senza esplicitarlo direttamente, per leggere la molteplicità di forme assunte dalle sottoculture giovanili succedutesi negli ultimi anni in Gran Bretagna e diffusesi rapidamente attraverso un processo imitativo in tutto il mondo: punk, mod, skinhead, hippie, beat, ecc. no, quello sui macchinisti dietro le quinte d'un teatro classicoche contemplano perplessi, col panino e la birra in mano, il panciuto mattatore prima delle sue magiche metamorfosi in King Lear. 5) Futurismo e Scrittura. Qui le tavole parolibere e tattili, i geroglifici di Cangiullo, le linee-forza del pugno di Boccioni, i graffiti che trasbordano dalle pagine gutem- ,,berghiane per arrampicarsi sulle pareti, verso altri media, verso altri sensi, l'odio per il Logos, per l'argomentazione dialettica e il sillogismo, la ricerca della parola immagine e suono, e dunque le nuove tecniche suasorie e motorie dovrebbero divenire l'oggetto di visite guidate per scolaresche ben ammaestrate e costrette a periodici sprofondamenti nella storicità del loro quotidiano. E vedo allora maree di studenti paninari, strappati alle discoteche e ai giochi elettronici, ai cartoni animati e agli spot pubblicitari, ripercorrere angosciati le sublimi espansioni dell'espressività delle avanguardie. I libricini da antiquario, che giacciono sui tavoli al centro delle sale, con le prime edizioni in cui futuristi e sodali vaticinavano la apocalisse della carta scritta, dovrebbero uscire dai reliquari protetti dell'esposizione e divenire testi adottati nelle scuole, da memorizzarsi fino all'ultimo suono gutturale, altrimenti lo scolaro poco zelante pagherà la propria ritrosia con ulteriori frequentazioni di Palazzo Grassi. Secondo Hebdige ognuna di queste sottoculture giovanili va interpretata considerandola non come un «testo» isolato, ma come una pratica significante, come un complesso processo di produzione di senso. Il vero problema sociologico diventa allora quello di decodificare le forme musicali e culturali proprie di queste sottoculture, perché è solo così facendo che è possibile vedere come, al di là delle evidenti diversità, esse siano comunque unificate dal produrre un proprio personale stile, cioè un insieme molteplice ma coerente di elementi differenti attraverso 1 quali ogni appartenente alla sottocultura può comunicare con gli altri e dare un significato unitario al proprio mondo d'esperienza. Con la nozione di stile, infatti, egli definisce quel ricco gioco combinatorio di codici in cui rientrano tanto le pratiche rituali del consumo comunicanti attraverso le merci, quanto ogni altro tipo di segnale simbolico che consenta ai giovani di differenziarsi nella quotidiana guerra sociale dei segni e di definire così la propria identità individuale e sociale. È soprattutto però «tramite i diversi rituali del consumo, tramite lo stile, che la sottocultura rivela subito la propria "segreta" identità e comunica i propri significati proibiti» (p. 116). Attraverso infatti l'attribuzione di significati condivisi dagli appartenenti ad una determinata sottocultura ad una vasta serie di oggetti e beni di consumo e la definizione di regole interne d'uso di questi ultimi la sottocultura può rafforzare la propria identità di gruppo e differenziarsi così da formazioni ,culturali più ortodosse. Differenziarsi non significa però assumere un atteggiamento radicale di opposizione antagonistica al

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