Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

~ L e opere del pittore islandese Errò saranno ospitate nel corso dell'estate 1986 in due importanti mostre, una al nuovo museo dell'abbazia di Montmajour, vicino ad Arles, e l'altra al padiglione d'arte finlandese alla Biennale di Venezia. Nel testo qui pubblicato (che fa seguito a «Autoportrait de l'artiste en collectionneur d'images», apparso sul catalogo dellamostra di Errò a /'Are, museo dell'arte moderna di Parigi, maggio-giugno 1985) Errò risponde ad alcune domande di Jean-Jacques Lebel sulle tecniche e sui ritmi del suo lavoro. Errò. Sono sempre a caccia di immagini, di documentazione, di riviste, di cataloghi e dizionari illustrati. Ho bisogno di buon materiale, e durante i miei viaggi vado a rovistare dappertutto: nei negozi dei remainders, sulle bancarelle. Accumulo così un'enorme quantità di materiale, e quando ho messo insieme parecchie immagini che rimandano allo stesso tema, so che posso cominciare una serie. Le fasi successive del processo consistono nel selezionare le immagini, nello «sposarle» per farne dei collages e poi dei quadri. Con una buona scorta di immagini posso lavorare un anno o due. Ho bisogno·di sorprese. E la sorpresa più bella è stata il ritrovamento delle quattrocento foto a colori delle anatre che ho utilizzato per Birdscape. Lebel. Come si fa a non pensare alla pesca, a questa attività fisica da pescatore di immagini professionista, che pratichi ovunque tu vada, senza interruzione? Per dipingere, hai prima bisogno di trovare nella rete o di prendere ali'amo qualche grosso pesce (dizionari illustrati, raccolte di vecchi numeri di Life, Magazine, ecc... ) per poi trasformare questo materiale base nel tuo atelier, come quei pescatori d'alto mare che riportano a terra tonnellate di pesce già preparato e surgelato sui loro pescherecci. Ti riferisci spesso allapesca come un'attività sublime, l'attività della tua infanzia islandese. Si direbbe che per te la pesca non sia una metafora della pittura, ma semmai la pittura una metafora della pesca. Errò. Esatto. New York, per esempio, è un paradiso, perché c'è un mucchio di negozi di libri d'occasione, di vecchie riviste, di vecchie foto, di fumetti, e di documenti di tutti i generi su migliaia di soggetti. È una fonte inesauribile, una zona eccezionalmente pescosa. Un giorno, a New York, negli anni Sessanta, non sapevo cosa dipingere. Ero rimasto a secco di immagini. Cercavo e frugavo dappertutto, e finalmente, in un negozio di remainders mi è capitata fra le mani una ristampa di Ecce homo, il libro di Grosz, che allora era una rarità. È nata così una serie che non avrei .s mai potuto dipingere se non avessi [ trovato quel libro. ~ -. Lebel. Che cosa ti procura mag- ~ • gior piacere, una pesca particolar- 1 mente buona - quando tiri su le reti ~ piene di immagini efficaci - o ~ quando dopo, nel tuo atelier, di- ~ pingi a partire da quelle imma- .:: gini? s ~ l Errò. È uguale. Una volta, in ~ Islanda, quando ero piccolo, uno zio mi portò a una pesca al salmone. Mi ero appostato in mezzo a'! fiume, su un'isoletta. Erano state tese delle reti per acchiappare i pesci che non abboccavano alle lenze, ma i salmoni sanno saltare gli ostacoli. E un grosso e bel salmone più furbo degli altri saltò sull'isoletta per schivare la rete, e ricadde sulla roccia ai miei piedi. Lo liberai, e lo lasciai scappare. Mi presi una bella strapazzata. Certo a volte mi capita di pescare un bel pesèe. Non sono di sicuro il migliore dei cuochi, ma se c'è una cosa che so fare molto bene, è mangiare. Finché si tratta di pese.are e cucinare le immagini, o anche di portare a termine un quadro, me la cavo, ma sono molto meno abile quando devo valutare il risultato. Qualche volta, quando guardo da lontano una mia tela, mi sembra di vedere un bel quadro astratto, o perfino impressionista. Lebel. Ma mentre gli impressionisti dipingevano su un modello (un viso, un paesaggio, una scena che avevano sotto gli occhi), e i pittori astratti lavoravano direttamente linee e colori, tu lavori una materia mediata, indiretta, una materia di seconda mano, che è già trasformata in immagine quando tu la trovi. Errò. Mi ci vuole molto tempo per combinare le immagini, per sposarle tra loro. Cerco di provocare un effetto di contrasto tra gli elementi eterocliti che mescolo, e di trovare tra loro una continuità. Mi piace scioccare. Gli «incidenti tecnici» sono molto importanti. Sono stati gli «errori» dei collages che facevo intorno al 1958che mi hanno messo su questa strada. Spesso è migliore il risultato di un «errore» di quello di un lavoro premeditato. Per esempio, quando si ritaglia un'immagine con le forbici, può capitare di accorgersi che il rovescio di quell'immagine sia più interessante del suo diritto. Ho cominciato a dipingere a partire da collages preparatori verso il 1959-60, con la serie «Meca-makeups». Erano immagini-shock, quasi un insulto. Ti ricorderai che allora tutto era violento. C'era la guerra d'Algeria, poi la guerra del Vietnam. Anche la musica rock era violenta. E gli happenings che facevamo a Parigi (all'American Center, e allo Studio de Boulogne), e a Londra (al Dennison Hall) erano violenti. La nostra reazione alla. , violenza della società era violenta, addirittura selvaggia. Quando si è in mare, in mezzo a una tempesta, le onde sono così al- .. te ed il vento è così forte, che non si riesce a capire se la barca va avanti o indietro. È un momento molto bello, molto personale, in cui si riflette sul fatto che non si sa dove si va e se si arriverà da qualche parte. È come stare in groppa a un cammello: fa dei passi laterali, dei passi falsi, e non si capisce se avanza o rincula. In pittura è la stessa cosa, non bisogna tentare di capire tutto. Ma in fin dei conti, non si può che avanzare. Io preferisco procedere che indietreggiare. Mi può persino succedere di dipingere un buon quadro. Qualche volta si riflette meglio quando non si ha il tempo per farlo. In questo momento sono sotto pressione, sto preparando due mostre contemporaneamente (a Montmajour e alla Biennale di Venezia); è veramente troppo. La Eliseo Mattiacci, 1977 grande fatica è una droga. Più si è stanchi meno si pensa, meglio si lavora, più intelligenti si diventa. Dopo una lunga giornata di lavoro mi sento molto bene. È certamente meglio sentirsi sfiniti per aver dipinto che per l'alcool o peggio. Lebel. Ho notato che da qualche tempo cominci i quadri grandi trasferendo sulla tela le trame geometriche disegnate col computer e che ti servono da struttura portante. Errò. Nel 1979, nei quadri intitolati Galileo e Pasteur ho dipinto un computer, ma erano delle composizioni na"if,e qualche volta come strutture di base utilizzavo progetti di falegnami o di architetti. Nei quadri-politici c'erano prospettive piane. Grazie alla grafica del computer ho trovato strutture più flessibili, più complesse. È impossibile disegnare così senza il computer. In Motorscape, dipinto per la Renault Art et Industrie, c'è una struttura-patchwork: è un «tappeto» disegnato col computer. Il quadro galleggia sulla superficie della trama e il motore è posto all'interno del «reticolo». Anche per i quattro grandi lavori che ho dipinto per Montmajour ho usato i «reti- . coli» del computer, per creare un effetto di prospettiva che spinga il quadro verso l'alto. Soltanto adesso mi accorgo che sono strutture triangolari o cubiche. La composizione è inconscia. In Howard-the-duck-scape c'è una grande confusione. È un quadro barocco, rococò. Howard (il personaggio) continua a sbagliarsi. La composizione di questo caos è «automatica» (vale a dire inconscia come la scrittura automatica). Ho volutamente aggiunto, in basso a destra, una «finestra» con una mano guantata che viene dall'esterno, in modo che sembri quella dello spettatore. Ciò permette di «penetrare» il caos, e di circolarvi. Lebel. È l'ultimo nato della serie Scapes cominciata nel 1959. Tu dipingi praticamente soltanto per serie successive. Come avviene il passaggio (o la rottura) da una serie ali'altra? Errò. Ho adottato la serie perché questo sistema mi facilita il lavoro, e perché le variazioni di uno stesso tema mi permettono di utilizzare la maggior parte del materiale documentario. In questo momento sto preparando la prossima serie. Sarà una serie a un solo elemento (un dettaglio: un viso, una mano ... ) e non sarà inclusa in questo libro. Parlandoti e riguardando con te le foto dei miei lavori degli ultimi anni, mi accorgo che la serie di grandi quadri (tre o quattro metri d'altezza), molto complicati, che combinano parecchi personaggi e elementi, si alternano sempre a serie di «rilassamento», più semplici, con due soli elementi, quasi dei ready-mades. È da due anni che sono completamente assorbito dalla serie di quattro grandi tele per Montmajour. Ho esaurito quello che avevo da dire. Ho dovuto rompere il ritmo dipingendo tre piccole tele a due elementi che ho esposto ali'Are insieme alla serie Scapes. Dopo un lungo periodo di lavoro di dodici ore al giorno, sentivo il bisogno di riprendere fiato lavorando a tele che finivo in due giorni invece che in due mesi. Gli editori di cartoline scelgono sempre i quadri più semplici, quelli a due elementi, invece degli Scapes, perché li trovano più commer- - ciali, più leggibili. La gente non ha più il tempo di guardare, né lavoglia di stancarsi; ha gli occhi già abbastanza affaticati dalla televisione e dalla pubblicità. Comunque, è sempre meno stancante guardare la televisione che i quadri. Lebel. Soprattutto quando si tratta .di quadri che mettono in scena (o in questione) quei «contenuti», quegli stereotipi della cultura dominante, che tu estrai dal loro mascheramento, dalla loro confezione. Senti qualche affinità con l'arte di Oyvind Falhstrom? Anche lui ha utilizzato personaggi dei fumetti, ha fatto film e happenings. Errò. Con lui mi trovavo molto bene, non c'è dubbio. In quasi tutti i miei quadri c'è la storia di uno o di più personaggi, di un oggetto o di una macchina. La storia è raccontata dal titolo della serie. Quello che mi piace del mio lavoro è che assomiglia alle trasmissioni della radio. Si gira un pulsante e si può passare da Amsterdam al Messico, o a Tokio. Mi piace molto ascoltare i notiziari in diverse lingue, anche se capisco solo qualcosa. Passo da France Inter alla Bbc, a Radio Pechino. I punti di vista, le informazioni, i reportages sono molto diversi. Il mio lavoro ~ un po' così, ma è meno effimero. Quando ero a Berlino nel 1971,grazie al Daad ho dipinto alcuni quadri a tre elementi. Allò Mutti, per esempio, fonde elementi russi con altri americani e tedeschi. Lebel. Questi quadri sono veri e propri reportages, «ritratti» della situazione in cui ti trovavi, prigioniero del muro di Berlino, bloccato in Germania tra l'armata russa e quella americana. Errò. È vero, non ci avevo mai pensato. A quell'epoca ero turbato da questioni personali. I collages di Berlino sono molto «contorti» e «difficili», forse i più tormentati che abbia mai fatto. Ogni elemento è aggredito, distrutto da un altro. Ci sono dei volti doppi. Fu un periodo molto duro; ma le notti di Berlino erano splendide. Proprio di fronte a dove abitavo c'era un bordello; non un «eros center» o una fabbrica del sesso, ma un autentico bordello. Si beveva qualche cosa e si chiacchierava con le ragazze. Ci andavo spesso. C'erano anche bar che restavano aperti tutta la notte come a New York e a Bangkok. Erano notti che non finivano mai. Adoro viaggiare. Non sopporto di riposarmi senza far niente. Per questo vado spesso in Oriente, in Europa, negli Stati Uniti. Viaggiare mi libera. Vivo a Parigi, a Formentera e a Bangkok, così posso cambiare clima. È una cosa molto importante. Fuori del mio atelier parigino posso dipingere soltanto piccoli formati o acquerelli, con una tecnica rapida, con la quale posso fare anche due acquerelli in un giorno. Questi periodi mi servono per alternare i lunghi mesi di lavoro dedicati alle grandi tele. Sono momenti di .grande sollievo. Quando sono spossato dalla pittura di quadri molto complicati, sento il bisogno di una vacanza, e vacanza per me significa dipingere quadri o acquerelli molto semplici. traduzione dal francese di Chiara Bietoletti

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