Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

Psicoanaliesifelicità ...... "-I <:::! Franco Rella La battaglia della verità Milano, Feltrinelli, 1986 pp. 92, L. 12.500 Julia Kristeva Histoires d'amour Paris, Denoel, 1983 tr. it. di M. Spinella Storie d'amore Roma, Editori Riuniti, 1985 pp. 393, L. 28.000 Mario Lavagetto Freud la letteratura e altro Torino, Einaudi, 1985 pp. 435, L. 32.000 Luigi Pagliarani Il coraggio di Venere Milano, Cortina, 1985, pp. XXVI-396, L. 38.000 e hi ha orecchio riconosce la felicità di una frase musicale. Un buon lettore coglie la grazia di un testo. Un amico, o uno psicoanalista, sanno ascoltare la verità in chi dice «sono felice». «Felicità» è una parola luminosa e banale, dai molti sensi. Evoca l'incanto di un testo (e il piacere di frequentarlo), ma anche il sorriso di un'esistenza. Si dice che un'opera è felice, ad esempio, quando con il minimo spreco formale genera il massimo di piacere e di pensiero. Una posizione nella vita si può dire felice quando consente il massimo di amore e di vita mentale con il minimo di sofferenza connessa alla propria storia personale. Ma, se un'opera d'arte e il mondo interno si possono chiamare allo stesso modo felici, sembrano diversi i criteri per dirlo. Non esiste ' nessun sapere sistematico che fornisca una grammatica della felicità in estetica. Eppure, il musicologo e il critico (ma anche l'appassionato o l'ascoltatore, se non l'artista) mettono in funzione una specie di orecchio mentale che percepisce irresistibilmente la forma felice. Più imbarazzante, invece, si pone la questione in psicoanalisi. Che cosa può dire della felicità? Quando e come l'analista può dire, di un punto nell'esistenza di una persona, che è felice? Il sapere sistematico della metapsicologia non lo dice. Credo che a questo punto la psicoanalisi debba rivolgersi all'estetica. Forse la risposta a una que- •stione di felicità sta in musica, o in letteratura. D a tempo il pensiero scientifico cerca gli strumenti per dar voce all'indicibile, con incursiom m saperi classicamente estranei al suo metodo. Il filosofo e lo psicoanalista si rivolgono ai segreti della scrittura, e della narrazione. Franco Rella trova nel racconto il modo per dire ciò che non sta dentro al discorso filosofico. La vita delle cose sta nella loro trasformazione, che la parola scientifica rischia di disanimare. -S Per esprimere questa metamor- ~ fosi è molto più ricco e mosso il sapete metaforico del racconto, o del mito. La narrazione è la grande metafora del mondo, dunque ne coglie il cuore. La tragedia classica, il dialogo platonico, le «favole» mitiche di Vico, ma anche Le affinità elettive di Goethe o Il Castello di Kafka dispongono un sapere sulS le cose altrimenti indicibile in un ~ l ordine narrativo folgorante. Una ~ metafora felice dà un senso possibile al mondo. Anche se Rella non lo considera, il lavoro dello psicoanalista non è molto lontano da qui. Come Socrate nel Fedone, sa che sta costruendo con la persona in analisi un mito credibile, un possibile ordinamento metaforico della sua vita. Sa che «sostenere sino in fondo che le cose stiano così [... ] non si addice a un uomo intelligente; che tuttavia stiano così [... ] mi pare che convenga e valga la pena di correre il rischio di crederlo, perché il rischio è bello». Freud, come Socrate, non sostiene la storicità sostanziale del1'orda e del parricidio primordiale, ma si arrischia a inventare un mito ricco di sapere, in bilico tra letteratura, clinica e storia. Un mito ne- . cessarlo e rigoroso, dotato anche di una sua poetica felicità. «Compito del poeta non consiste nel riferire gli eventi, ma bensì ciò che può avDenis Gaita coanalista stesso, se non vuole dare luogo a un'analisi senza desideri, testimonierà dei suoi transfert, e sarà il modello di un padre amoroso, di una madre viva, e non di un traduttore senza cuore. Lo scrittore dà vita a un analogo trasporto di senso, a un equivoco simile: io, l'autore, il lettore, è qualcun altro, Fabrizio Del Dongo, Giulietta e Romeo. È la possibilità di essere qualcun altro, di slittare altrove, di equivocarsi, che dà luogo all'amore, all'analisi, alla scrittura. Luogo di metafora, di spostamenti di senso, di invenzione di racconti possibili, che rendono la vita misteriosa, appassionante, percorribile. Lo psicoanalista, allora, come il poeta, l'innamorato e la persona in analisi, è il co-autore di una storia da trovare, e la memoria di storie decisive. Storie d'amore, appunto. La psitasia mitica, o poetica: «Speculando, teorizzando, stavo per dire fantasticando» scrive Freud a proposito del metodo dell'invenzione metapsicologica. È questo «fantasticare» che permette di costruire storie magari inverosimili, ma che colgono una verità segreta e poco dicibile delle cose: «Il verosimile non necessariamente è il vero e [... ] la verità non è sempre verosimile». Forse, quindi, è la felicità della costruzione narrativa, e non la sua supposta fedeltà ai fatti, che apre la via a una verità più nascosta. Freud si pone spesso come implacabile e appassionato critico letterario, ai mercoledì della Società Psicoanalitica di Vienna, nei confronti dei pedissequi resoconti di psicoanalisti noiosi: le storie cliniche devono essere elaborate quasi letterariamente, altrimenti risultano «indigeste»; la presenta- ----------------------------------- venire e ciò che è possibile secondo verosimiglianza e necessità», dice Aristotele. Tocca al filosofo riconoscere anche un po' sua questa narrazione verosimile e necessaria del possibile. Ma anche all'analista. Compito dello psicoanalista, si potrebbe dire, non è di tradurre in parole gli eventi del mondo interno, ma di renderne possibili altri, con la pertinenza e la necessità che può avere lo snodarsi degli eventi in una narrazione felice. Se poi, con Vico, la poesia consiste «nel dare alle cose insensate senso e passione», si profila una insospettata parentela fra analisti, filosofi e poeti. Tutti, ~ncora con Vico, tentano di inventare una metafora felice, una «piccola favola» che, a partire dalle passioni che animano il nostro corpo e il nostro cuore, dia un senso al mondo. Una metafora d'amore, secondo Julia Kristeva, è la chiave della scrittura, della psicoanalisi e dell'innamoramento. L'innamorato si accende per ciò che l'oggetto d'amore presente fa risuonare di un assente ideale. La persona in analisi trasferisce un amore antico su qualcuno che tace, e che l'aiuteràrimandandoglielo - a sapere qualcosa di questo equivoco. Lo psiMarco Gastini, 1977 coanalisi diventa qui un formidabile esperimento letterario, dove si intrecciano storie d'amore volgari e sublimi, storiche e anonime: l'Eros maniaco di Fedro e quello celeste di Diotima in Platone, l'amorosa Sulamita di fronte all'amato nel· Cantico dei Cantici, l'amore di Narciso per la propria immagine nell'acqua come inaugurazione dell'interiorità occidentale, la conquista infinita senza possesso di Don Giovanni, l'amore che si appaga nel cantarsi di Cherubino. A queste si intrecciano le storie quotidiane o straordinarie della gente, delle persone in analisi, degli amanti, in una serie infinita di metafore, d'autore o no, che l'analista ascolta e combina, con un orecchio anche letterario, perché no?, che è come dire amoroso. Letterario, secondo Mario Lavagetto, è il filo segreto della trama freudiana. La psicoanalisi, in questa luce, appare come un rigoroso edificio di analogie, caricato di una «metaforicità» tanto alta da apparentarlo più al mito che alla scienza classica. «Ma - chiedeva Freud a Einstein - non approda forse ogni scienza naturale a una sorta di mitologia?» Il lavoro dello psicoanalista si trova spesso sul filo della fanzione del caso deve essere «scrupolosa ma "artistica"». Scrivere una storia clinica, dunque, darle un qualche ordine, una trama narrativa, significascoprirne il senso più profondo. Assecondandone il filo interno, che solo la narrazione sa trovare, si giunge persino - come nella creazione artistica - a esiti teorici insospettati, giacché la storia «riesce come v~ole». Il problema di un'anali!;i, allora, è analogo a quello della scrittura: ricostruire una storia necessaria dei luoghi di verità della propria vita. Una storia il meno possibile infelice, dunque, a non aver paura delle parole, bella. Siamo vicini a una bizzarra estetica della psicoanalisi (solo in apparenza eterodossa, se produce felicità, che dovrebbe essere il suo scopo), come quella che traspare dalle pagine di Luigi Pagliarani: la ricerca della bellezza sepolta in ognuno; l'educazione di un orecchio al bello; la coscienza che, negando la nostra bellezza, saremo costretti a possedere e consumare quella dell'altro; l'enigmaticità della bellezza, e il coraggio di Venere necessario ad affrontarla. Nell'invenzione toccata dalla grazia ·del racconto o del mito, vive la trasformazione delle cose che il filosofo non riesce sempre a dire. Nel miracoloso equivoco dell'innamoramento e del transfert affiora la verità che da sempre trova voce nelle storie d'amore della gente, della letteratura e del teatro musicale. E lo psicoanalista, se vuole fare un lavoro felice, sa che deve attraversare una possibile felicità estetica del discorso, deve fare i conti con la bellezza. F ilosofi, poeti, innamorati e analisti cercano la stessa cosa: la metafora felice per dire ciò che non sta dentro al linguaggio scientifico, o al vocabolario. Il sospetto che attraversa le disparate riflessioni in cui abbiamo curiosato fin qui è che il discorso più imprendibile e luminoso per dare voce a tutto questo non sia il linguaggio discorsivo (né tantomeno quello scientifico), ma qualcosa che percorre il linguaggio sotterraneamente, forse la musica. Quella di Don Giovanni o di Cherubino, che canta pensieri che non sono contenuti in nessuna posizione morale o teorica rispetto all'innamorato o al libertino. Ma anche quella del canto, della propria musica possibile, della propria voce più autentica da trovare. Si fa strada il sospetto, insomma, che il sapere che può. parlare di questo somigli più all'orecchio che alla critica. Se è vero che la compiutezza di un'opera e la grazia di un'esistenza si misurano alla fine con lo stesso metro, se analisti innamorati poeti e filosofi cercano la stessa cosa fuori di sé, altrove dal proprio sapere storico, per dire· qualcosa sulla felicità (che è poi lo scopo dell'arte, dell'etica o della psicoanalisi), bisognerà annettere alla propria competenza scientifica questo orecchio mentale che non è soggetto a nessuna scienza. Tutto questo lo sanno molto bene, senza dirlo, gli artisti o gli innamorati. Lo sapranno anche gli analisti, se non vogliono amministrare una disciplina senza cuore, e sottrarsi a una questione di felicità, in cui l'estetica e l'etica son la stessa cosa, e la divisione dei saperi vacilla. Per questo è importante un'idea della filosofia che non insegua l'accademia dei discorsi interni a sé, ma il sogno degli ordinamenti possibili del mondo; e un'idea della psicoanalisi che non persegua l'ossessione clinica di una vita «come dovrebbe essere» in rapporto a una .teoria, ma sappia cogliere qui e là i luoghi di verità e i frammenti di felicità che consentano di inventare, per le proprie miserie e i propri talenti, una storia possibile. Si configura qui un'analisi poetica, felice o musicale, visto che è in gioco un orecchio, che cerchi la parola accesa di dubbi e d'amore contro le parole certe e spente che circolano, sempre di· qualcun altro, che crede di manipolarci. Compito tanto più decisivo e storico quanto più le città e glistudi degli analisti si popolano di pseudonormali e di finti felici, che affollano tutti i luoghi (turistici, artistici, affettivi) dove si è supposti essere importanti, senza interrogarsi se si è felici. Diventa necessario allora che la psicoanalisi tenga vivo questo orecchio mentale nel suo sapere, contro le sordità premiate dal consumo o dall'accademia, per ascoltare di volta in volta in ciascuno la voce più felice di ciò che sta a cuore, come il filosofo in un romanzo, o l'innamorato in una musica.

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