Alfabeta - anno VIII - n. 88 - settembre 1986

della somma delle sue parti. Sulla definizione del concetto di intelligenza che ne deriva, i trasformazionisti autorizzano ad elaborare una riduzione della stessa a segno e a processo intercomunicativo di tipo segnico. Già Ch. S. Peirce, padre della semiotica e della scienza dei segni contemporanea, aveva avvertito in un manoscritto inedito che l'interpretante, punto d'arrivo della fondamentale tripartizione dei segni, è intelligenza stessa. Intelligenza, cioè comprensione dell'oggetto, ma anche capacità elaborativa e trasformativa dello stesso da ente extramentale a concetto interiorizzato e passibile di comunicazione, in una parola, a segno. Parlare dei segni diventa allora, in questa prospettiva, un valido contributo per la comprensione del termine-ombrello/intelligenza. Parlando dei segni, si privilegia una particolare metodologia dell'in fieri comunicativo e cognitivo attraverso cui passa la trasmissione, la crescita e la tr~sformazione dei nostri processi inte'llettivi. Il libro di Ponzio, Bonfa6tini e Mininni torna utile proprio per capire, attraverso questi percorsi, quale tipo di intelligenza ci appartiene e in che cosa si diversifica dal semplice calcolo, dal computo infallibile e velocissimo tipico dei computers. P arlare dei segni significa per Ponzio mettere in scena quel rapporto dialogico che conferisce senso e specificità, laddove il segno impregna, con le sue suddivisioni, i suoi caratteri e la sua essenza, la nostra stessa capacità di riflettere e di riferirci alle cose: «Dunque, ciò a cui ci riferiamo non sono "nudi fatti" o "cose in carne ed ossa", ma fatti e cose interpretati e a loro volta interpretanti. Noi possiamo riferirci soltanto (per richiamare il noto "mito della caverna" di Platone) all'ombra segnica ' E il 1959. Sto in uno scantinato di Padova (la mia città), nella sede di un circolo ben disegnato che si chiama «Il Pozzetto». C'è un concerto tenuto da quattro: John Cage, Sylvano Bussotti, Heinz-Klaus Metzger e Teresa Rampazzi. Estraggono dalla tasca alcune strisciolinesu cui sono disegnate rette e qualche punto nero - segni, segnali, partiture di Cage. È il capovolgimento totale di qualunque idea di concerto e di partitura. Si crea un evento (teatrale?) unico, il primo concerto di Cage in Italia. Gli esecutori camminano in su e in giù, estraggono a caso i bigliettini, suonano per conto loro, in mezzo a noi, battono il pianoforte, ne toccano l'interno, si trovano e si perdono. Non c'è raccon- ' to «forma»: ma il caso, il gioco, l'ironia. L'impatto è forte. lo sono un giovane studente e mi sembra di scoprire un'immensa indicazione di libertà. Dirige il circolo del Pozzetto Ettore Luccini, filosofo. Ha una storia: è comunista dal 1942, è stato stalinista aperto, come allora quasi tutti i suoi compagni, è andato in crisisotto i colpi del rapporto Kruscev e dei fatti d'Ungheria. È uno che sa ascoltare. Vede il nuovo e riesceafarsene mediatore. Per me, di provenienza cattolica, all'inizio è stato difficile cominciare il discorso: ma scopro e conosco anche attraverso di lui il mondo di Curie/, Zancanaro, i comunisti, certi artisti d'avanguardia, i cantacronache, la pedagogia sovietica, Rigoni Stern e Comisso, Calvino, Donatoni, Castiglioni e altri: passati per quasi tre anni (in presenza o in memoria) da quel luogo vivo e contraddittorio. Il Pozzetto fu un delle cose» (p. 41). Bonfantini, su questa strada, ritrova la forma innovativa del segno, quella che meglio si prospetta attraverso la inferenza abduttiva peirceana e il cui studio sembra più adatto per fornire i nuovi strumenti atti a comprendere le performances più elevate dell'intelligenza naturale, quelle che ancora segnano la differenza tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale. Mininni ricerca, nellò studio dei segni, la possibilità di reimpostare l'intera psicologia cognitiva dell'umano. A causa della dialogicità e del principio di collaborazione segnica che intercorre nei processi di comunicazione, il gioco intelligente dei significati va spostato dalla testa, in cui ingenuamente si pensa abiti, alla interazione semiotica tra Sandro Chia, 1981 persone che crea i vissuti emozionali, i ruoli interazionali e le configurazioni dei tratti della personalità. Ancora una volta ne emerge il monito wittgensteiniano leggermente corretto:· non si dà intelligenza umana senza corpo umano e senza corpo sociale, senza cioè quelle interazioni e intercomunicazioni sociali che concorrono all'in-• telligenza. I tre contributi del liQrosono legati da un filo rosso. Tentano di mostrare il lato «relazionale del nostro pensiero». T.ali relazioni sembrano essere la vera base delle performances inventive e creative del nostro intelletto. Ritenere le performances inventive e creative del nostro intelletto il prodotto di relazioni e interrelazioni segniche significa, sul piano semiotico, lo stesso che annunciare in biochimiLuccinei «Il Pozzetto» circolo culturale finanziato dal Partito comunista che apriva alle avanguardie senza rifiutare il sovietismo: e che in questa ricerca trovava il motivo del proprio entusiasmo e della precaria esistenza. Un'isola di inquietudine piena di stimoli in un Veneto quasi tutto cattolico, o addirittura clericale, o stalinista - con punte di «comunismo clericale» che riuscirono (nel '59), a far chiudere bruscamente il circolo, con pesante giudizio su Luccini. Il quale, senza abbandonare il suo partito, non si risollevò più dal trauma. E un po' forse ne morì (1978). La pietas, l'affetto, la gratitudine, il risarcimento hanno fatto nascere un libro (Ettore Luccini, umanità cultura politica, a cura di Franco Busetto, Ivo Dalla Costa, Francesco Loperfido, Franca Tessari, Andrea Zanzotto, Vicenza, Neri Pozza 1984), da cui emergono alcuni fra i problemi più scottanti e affascinanti intorno al lavoro culturale negli ultimi cinquant'anni. E, indirettamente, alcune questioni relative al narrare e al fare antropologia. Si vedono due città storiche (Treviso, Padova) negli anni che partono dal 1935. Gli amici, i conoscenti, gli allievi di Luccini (che insegnò filosofia al liceo Canova a Treviso e al Tito Livio a Padova), hanno descritto il loro ricordo di lui. Ne è nato un lungo ritratto a più mani che è insieme vera storia, romanzo, sistema di racconti, rivelazione, cronaca, documentazione, memoria, memoriale, saggio critico, elegia, agiografia, monumento. Fra i personaggi o narratori ecco Zanzotto, Curie/, Comisso, Zancanaro, Sylvano e Renzo Giuliano Scabia Bussotti, Alberto Limentani, Renato Mieli, Enrico Opocher, Fasan e altri. Compare la complessa figura di un'anima inquieta e curiosa, lieta e malinconica nella sua metamorfosi lungo il tempo. Mi chiedo se non sia questo il motivo per cui il libro mi ha affascinato come un romanzo, del quale è il perfetto opposto: quello, «falso», dettatura di un io ricercante; questo, costruzione oggettiva dovuta a molti, «vero» (vera storia). Appare che Luccini fu (con molta modestia, sofferenza, fatica, serenità, studio, contraddizioni, incertezze) maestro di vita, guida a molti, e che coltivò soprattutto, senza vanto, l'arte della maieutica. Non ha lasciato libri, non ha voluto farne. Zanzotto nella sua memoria accenna alla questione: «Credo che appunto questo continuo verificare in vivo, nel dialogo portato déntro la scuola e fuori, in tutti gli ambienti da lui animati o frequentati, anche il più incrollabile degli enunciati del suo pensiero, gli abbia sempre conservato quel suo totale sentimento di libertà da qualunque presunzione dogmatica, quell'umiltà di fronte all'imprevedibile che può scaturire anche dalla mente più disarmata. Forse nasce di là anche la sua diffidenza nei confronti della scrittura, luogo dell'irrigidimento sempre in agguato, luogo dell'unilateralità del messaggio e, infine, del monumentalismo in cui svanisce ogni autentico magistero. Eppure egli ebbe sempre la nostalgia del libro, che non può cessare di essere «sacro» in quanto allude, almeno, a una forma di ordine, chiarezza, stabilità minimale contro il caso e l'enigma del mondo» (pp. 134-35). L ibro e tempo. Il libro che ferma il tempo. Ma questo libro ha un suo movimento. Ha riannodato fili di memoria, riavvicinato persone disseminate nel tempo di quasi 50 anni. Ha costretto alcuni a riflettere sul periodo della loro formazione, giocando a rimettersi in moto dal passato verso il presente, fino al punto in cui anch'io, riacchiappato da un filo che sta nel libro, ne scrivo. Se coltivare (come si fa coi fiori: far vivere) una memoria vuol dire realizzare un culto, cioè un collegamento di coltivazione e vita, il libro su Luccini è una testimonianza di culto laico. Perciòparlavo di antropologia - perché osservare lo svolgersi di una persona nella rete delle sue amicizie e conoscenze equivale a osservare un villaggio lontano o un sistema parentale. Vedo qui, intorno a Ettore Luccini, gli accampamenti dei veneti in metamorfosi sotto i bombardamenti, nella fine del fascismo, durante le guerre di religione del dopoguerra e i crolli delle utopie, alla ricerca di legamenti e nel progetto di nuova società. Vedo il villaggio Treviso, il villaggio Padova, rettori d'università, pittori, politici, preti, gente comune, accampati accanto alla mente e al corpo di uno di loro. Dicono: «Aveva la capacità di avere rapporti con la gente al di fuori di ogni schematismo». E ancora (parla Tono Zancanaro): «Ho sempre pensato che fosse un· po' cristiano, ha pagato sul piano personale». E lui che dice (da un articolo pubblicato sul Il Bò il /0 maggio 1935) : «Ma è sempre incondizionatamente morale il successo?». C'è un modo di stare a parlare ca la plurivalenza dei messaggichimici. Anche lì, in effetti, si ha a che fare con interrelazioni che vengono esplicitate nella interdipendenza dei fasci di informazione elettrochimica. Similmente, assumere il segno come veicolo delle informazioni e come base delle nostre capacità inferenziali, significa ragionare sempre a partire da un involucro, da una trasformazione culturale e mentale di oggetti/concetti esterni (ché noi tiriamo inferenze non a partire dagli oggetti o da dati interpretati, ma sempre da assunzioni, interpretazioni, pre-elaborazioni degli stessi), quindi significa dare una spiegazione, ancora tutta semiotica, delle mutazioni e delle interazioni chimiche che avvengono a livello neuronale. Ma il libro dei tre autori sembra suggerire qualche cosa di più. Sembra suggerire che il segno è un prodotto tipicamente umano sul quale si è specificata e forgiata la nostra intelligenza e alla quale oréJ.è intrinsecamente mescolato. L'interdipendenza segno/intelletto permette di analizzare il segno come setaccio che, attraverso le proprie caratteristiche, rivela i meccanismi che regolano i nostri processi intellettivi. Per cui si deve pensare che riprodurre l'intelligenza umana è secondo la lezione semiotica riprodurre in realtà, o perlomeno anche, alcune strutture che governano il regno dei segni e delle relazioni comunicazionali. Con ciò diventa abbastanza chiaro quale sostanziale differenza accompagni la distinzione tra trasformazionisti e computazionisti. Le trasformazioni a cui va soggetto il sistema uomo sono troppo legate alla sua mutevole e vitrea essenza perché semplici risposte binarie, per quanto complessificate esse siano, possano un giorno renderne completamente conto. con gli appena morti (aparlare coi loro pensieri, con la loro presenza) che è cercare di portarli luminosamente verso il futuro (con noi) senza venire dal loro peso retro-agente trascinati. È la scommessa di ogni culto: o portare il passato a diventare vita nuova, o venire ingoiati dal passato. Pericolo (latente) di regressione nel «c'era una volta». Emerge dallo svolgimento di Luccini attraverso tutti i racconti il senso della metamorfosi, l'accorgersi del cambiare. E questo senso è anche la vittoria del vivente sulla fissità del libro, del discorso detto sulla descrizione scritta, dell'insegnamento (positivo negativo) sul monumento. Attraverso il colloquio messo in moto fra le 62 persone che hanno scritto, le centinaia che sono evocate e le numerose che attraversoil libro hanno stabilito un legamento è rimesso in dialogo il protagonista. Ed è anche questa unaforma di teatro delle immagini su cui ci sarà da riflettere. Per chiudere voglio ricordare che nel libro si leggel'autobiografia di Luccini scritta nel /957 per la federazione comunista di Padova, confessione curricolare quasi religiosa, indicatrice della situazione materna/e in cui il militante si trovava ali'epoca delle grandi mitologie appena incrinate: un documento oggi impensabile, chefa capire tante cose. EttoreLuccini,umanità cultura politica a c. di F. Busetto, I. Dalla Costa, F. Loperfido, F. Tessari, A. Zanzotto Vicenza, Neri Pozza, 1984 pp. XVI-436, lire 30.000

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