Mensile di informazione C1.Jlturale Settembre 1986 Numero 88 / Anno 8 Lire 5.000 88 • ~ ... - . . ~. t • • ~ • ~ . . • . . , . . . . . ' ~· , Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale ·gruppo IIl/70 • Printed in Italy -"° SEITU. LACvvARTD\ IPIU'\ CHIpUO'O ·. Degradoaccademico t:teP• fismo * Sullanube :·,·. ·•• · Arilheim,Barilli1COrli;Di·Ruscio,Finz . Leonetti,Lyotard,Riofta,Taélini,Valesio, erg ne '. - SupplementoH: omofaber(Designr,icerca Ancesclii,Chiapponi,Colonetti,D' Amlirosio,Doles, Grimaldi,Lemaire,Mendini, Morpurgo,Riccini,SVasosgi,liano,Zorzi •
Herman Bang • La casa bianca. La casa grigia Un maestro eterodosso del decadentismo nordico. ,Na"ativa• Pagine 240, lire 21.000 Giorgio Benone Percorsi andini Guida romanzesca e· romanzomapp_a _per v1agg1 e Ittneran peruv1an1. ,Na"ativa• Pagine 136, lire 13.000 Giorgio e Nicola Pressburger Storie dell'Ottavo Distretto Nel gherco di Budapest, tra finzione e ricordo. L'esordio narrativo di due sorprendenti «outsider». PREMIOCITIÀ DI JESOLO'86 «Na"ativa, Pagine 107, lire 14.000 Framo Rodano Lezioni di storia «possibile» Nella scoria con la forza dell'ucopia. ,Saggistica, Pagine 176, lire 23.000 Ferruccio Masini La via eccentrica Figure e miti dell'anima tedesca da Kleist a Kafka Da Kleist a Kafka a Benjamin. Un itinerario nei meandri della soggettività della crisi. ,Saggistica» Pagine 206, lire 21.000 Walter Schulz Le nuove vie della filosofia contemporanea 1: scientificita Introduzione di Gianni Vattimo Un confronto con i protagonisti. Una «piccola grande» opera .. ,Minima» Pagine 384, lire 25.000 Italo Mancini Filosofia della religione Il testo fondamenrald di un maestro contemporaneo. ,Filosofia, Pagine 416, lire 35.000 Henry Corbin Il paradosso del monoteismo Postfazione di Gianroberto Scarcia L'Islam, il Dio-Uno, l'Angelo. Il dialogo tra civiltà e tradizioni. ,In forma di parole» Pagine 180, lire 23.000 AA. VV. Essere teologi .oggi Il mestiere di teologo in dieci racconti autobiografici. ,Daban, Pagine 192, lire 21. 500 le immagindiiquestonumero F otografare l'arte è un'impresa difficile perché l'incertezza e il dubbio di chi fotografa stanno sempre tra il ritrarre l'autore o il riprodurre l'opera dell'artista, o riprendere contemporaneamente l'autore e il suo ambiente di lavoro. Ma se l'arte è un farsi lento e progressivo nel quale le intenzioni sono presenti quanto le casualità, l'incontro fortuito con un materiale nuovo e con strumenti e realtà inconsuete, allora fotografare l'arte dovrebbe essere il rispecchiamento di tutta questa sorta d'impalpabilità e non il fissare esclusivamente parte del prodotto artistico o dell'autore stesso. Un grande fotografo d'artisti fu Ugo Mulas; ecco cosa scriveva nel suo libro La fotografia a proposito dei suoi incontri con Duchamp e Newman: «Quando fotografo un pittore, spesso cerco una possibilità per uscir fuori da quella che è la foto di cronaca, e cerco anche di evitare il normale ritratto, il bel ritratto, perché quello che m'interessa è dare un'idea del personaggio in rapporto al risultato del suo lavoro, cioè di capire quale dei suoi modi e atteggiamenti è decisivo rispetto al risultatofinale. Per alcuni pittori il non fare è più significati- . vo del fare». Alfabeta presenta in questo numero una serie di immagini di Paolo Mussat Sartor, immagini che rappresentano, nel coro, un ventaglio di approcci possibili al medesimo soggetto: ritratti d'artisti, gli spazi de~'arte, il fare e il non fare de~'artista. Ogni fotografia di Mussat Sartor sembra tenere conto dell'impossibilità di riprodurre /'impalpabilità del concetto di arte, se non attraverso le sue sedimentazioni empiriche, le opere, Sommario Maria Corti Degrado accademico pagina 3 Sergio Finzi Il soggetto, le sue «misurazioni» e la psicosi . (Sintesi delle nevrosi di traslazione, di S. Freud; Misura d'uomo. Strumenti, teorie e pratiche dell'antropometria e della psicologia sperimentale tra '800 e '900, a c. di C. Barsanti, S. Gori-Favellini, P. Guarnieri e C. Pogliano) pagine 4-5 Paolo Valesio Narrativa, a proposito di Marquez (I) (El amor en Lostiempos del c6lera, di G. Garcia Marquez) pagina 6 Renato Barilli Narrativa, a proposito di Marquez (II) (L'amore ai tempi del colera, di G. Garcia Marquez) pagina 7 Milli Graffi Oulipo (La letteratura potenziale (Creazioni Ri-creazioni Ricreazioni), di Oulipo; Segni, cifre e lettere, di R. Queneau; I Draghi locopei - Imparare l'italiano con i giochi di parole, di E. Zamponi) pagina 8 Prove d'artista William Xerra pagina 9 Luigi Di Ruscio pagina 10 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta~ Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da ptecisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: autore, titolo, editore (con città e data), numero di Fotografare l'arte o registrando il procedimento dell'azione, dal pensiero al primo gesto che materializza l'intuizione. Credo che un corretto atteggiamento del fotografo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto sul piano filologico, possa rendere un lista al di là delle convenzioni linguistiche a cui siamo abituati quando sfogliamo le riviste d'arte: o in un primo piano disarmante perché l'obiettivo sottolinea la naturalità, l'umanità, la quotidianità de~'autore - in copertina i ritratti Luciano Fabro, 1968 buon servizio non soltanto ai problemi di documentazione artistica, ma anche allo studio de~'arte, intesa appunto come farsi e non esclusivamente come fatto, come oggetto. Mussat Sartor coglie sempre l'arGianni Riotta Terrorismo. Da New York (a cura di Paolo Valesio e Stefano Rosso) pagina 11 Cfr. pagine 13-15 Conversazione con Arnheim (a cura di Lea Vergine) pagina 16 Conversazione con Lyotard (a cura di Guitta Pessis-Pasternak) pagina 17 Mauro Ferraresi Trasformisti e computazionisti (Intelligenza artificiale, di Aa. Vv.; Mente, comportamento e intelligenza artificiale, di L. Gallino; Per parlare dei segni, di A. Ponzio, M. Bonfantini, G. Mininni) pagina 18 Giuliano Scabia Luccini e il «Pozzetto» (Ettore Luccini, umanità cultura politica, a c. di F. Busetto, /. Dalla Costa, F. Loperfido, F. Tessari, A. Zanzotto) pagina 19 Denis Gaita Psicoanalisi e felicità (La battaglia della verità, di F. Re/la; Histoires d'amour, di J. Kristeva; Freud la letteraturae altro, ·diM. Lavagetto; Il coraggio di Venere, di L. Pagliarani) pagina 21 Sulla nube Introduzione al dibattito dei Collettivi studenteschi . dell'Università di Siena; interventi di Rosanna Ceri, Laura Conti e Stefano Ruffo pagine 22-23 pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati m triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione veng_onoesaminati, ma larivista si compone prevaleptemente di collaborazioni su cmpmissione. di Beuys, di Pistoletto di profilo, di Parmiggiani, Vedova; o all'interno dello spazio in cui opera - Kounellis, Fabro, Cucchi, Mario Merz, Gilbert e George; o in un momento d'abbandono quasi romantico, per esempio, il ritratto di Il pittore islandese Conversazione di Jean-Jacques Lebel con Errò pagina 25 Paolo Puppa La contromostra del futurismo pagina 26 Vanni Codeluppi Rock e sociologia (Sociologia del rock; Sound effects. Youth, Leisure and the Politics of Rock'n'roll, di S. Frith; Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, di D. Hebdige; La rivolta dello stile. Tendenze e segna/ii delle subculture giovanili del pianeta terra, di Aa. Vv.; Vita da rock. Viaggio tra i gruppi musicali giovanili di Bologna, di C. Bandi; Sposerò Simon Le Bon, di C. Gurrado) pagina 27 Relazione fra le arti e la poesia di Gilio Dorfles, Francesco Leonetti e Emilio Tadini pagine 28-29 Giornale dei giornali Il boom che non c'è stato (II) pagine 30-31 Indice della comunicazione Il rapporto Peacock pagina 30 Immagini Fotografare l'arte di Aldo Colonetti Supplemento: Homo faber (Design, ricerca) a cura di G. Anceschi, A. Colonetti,. G. Sassi In copertina: Joseph Beuys, 1976 Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti-e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, dis~gni e fotografie non si restituiscono. AlJabeta respinge lettere e pacchi inviati per corriere, salvo che non siano espressamente richiesti con tale urgenza dalla direzione. Il Comitato direttivo Salvo, quasi una citazione di alcune immagini di Nadar, in particolare quella di Baudelaire del 1862. Indicativo di questo atteggiamento fotografico «colto», nel quale, accanto alla presenza dell'artista, è ripreso uno spazio che nel suo ordine costruttivo possa ricordare per assonanza o dissonanza la sua poetica, e il ritratto dedicato a Mattiacci: l'ordine costruttivo dei piani, dei grigi, dei bianchi, dei neri colloquia con una realtà, quella dell'individualità Mattiacci, che non è riducibile a un criterio di somiglianza seriale. Come scrive Roland Barthes nella sua La camera chiara, «Ma ecco una cosa più insidiosa: a volte la fotografia fa apparire ciò che non si coglie mai di un. volto reale (o riflesso in uno specchio): un tratto genetico, il pezzo di se stessi o di un parente che ci viene da un ascendente». In queste fotografie di Mussat Sartor, accanto al rispetto dell'individualità de~'artista e della sua opera, appare sempre, come annota Barthes, qualcosa che non è possibile cogliere da un volto reale: la magia della provenienza, del proprio vissuto, della propria inafferrabilità. Elementi questi che si ritrovano invece come segni tangibili, e quindi testimonianze storiche, dello spazio-luogo e del momento inatteso, nel gesto fermato dalla macchina fotografica. Fotografare l'arte è anche. questo: documentare soggettivamente, ma nel rispetto delle singole poetiche, gli autori e le opere. Il lavoro di Mussat Sartor è significativo, secondo noi, proprio per questa discrezione, che definirei laica, ne~'entrare nella stanza della creazione artistica. Aldo Colonetti alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Floriana Lipparini Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giovanni Alibrandi Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 50.000 estero Lire 65.000 (posta ordinaria) Lire 80.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 8.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale yia Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati
Degradog~cademico Q uasi tutta la nostra vita è accompagnata dal pensiero che qualcosa potrebbe andare meglio di come va. In questi ultimi due anni credo, anzi spero che buona parte dei professori universitari abbiano avuto un tale pensiero nei riguardi dei concorsi a cattedre di ruolo. Se è così, vale sempre la riflessione di Baudelaire nei Diari intimi: «A rimandare quello che si deve fare, si corre il pericolo di non poterlo fare mai. A non convertirsi subito, si rischia di essere dannati». Non rimandiamo, dunque: ora (estate 1986)che tutti i concorsi dell'ambito umanistico volgono al termine, è tempo di amare denunce. Non alla magistratura, naturalmente, perché sul piano formale le cose sono quasi sempre in regola; ma all'universo etico-culturale degli intellettuali. Per l'attuazione dei concorsi collaborano due realtà: le istituzioni universitarie, risalenti a disposizioni ministeriali, e la categoria dei professori di ruolo chiamati a fare da commissari e a mettere in atto i concorsi stessi. Se da entrambe le parti a un certo momento difetti ed errori predominano su virtù e verità, il danno è compiuto e perfetto; il degrado incombe paurosamente. Partiamo dall'istituzione: come è noto, molti anni fa i concorsi avevano ricorrenze o annuali o, in prevalenza, biennali, il che produceva almeno tre esiti positivi. 1) Il numero dei concorrenti non era molto vasto, in quanto avveniva una distribuzione abbastanza normale dei candidati nel tempo. 2) Vincere o perdere non era una questione di vita o di morte professionale, perché subito dopo si presentava un'altra occasione di concorso. 3) Essendo ristretto il numero dei posti messi a concorso, il numero dei giudici e dei candidati, c'era minore adito per giochivari estranei alla cultura e al futuro della disciplina. Adesso, come si sa, dopo anni di assenze concorsuali, si può arrivare a concorsi con più di trenta posti e con varie centinaia di concorrenti. Una situazione babelica. Ancora: una volta c'era la «libera docenza», che era un esame a concorso, ma di carattere scientifico, non pratico e carrieristico. L'esame selezionava i concorrenti e dava un titolo che era di puro riconoscimento di maturità scientifica e, come tale, meno soggetto a una serie di interessi dell'ordine pratico. Il libero docente poteva essere liberamente chiamato da una uqiversità, dove faceva il suo tirocinio anche didattico come professore «incaricato»; dopo di che, a maggiore o minore distanza di te01po, prendeva parte ai concorsi a cattedra. Q ualcuno vorrà postillare: poiché oggi nelle università italiane esiste, come all'estero, una struttura dipartimentale, si è creato al posto della libera docenza il dottorato di ricerca, una sorta di Ph.D. italiano. Benissimo. I:! .s Con qualche differenza, però, e già l all'orizzonte qualche grosso pericolo: siccome il dottorato di ricerca, che ha la sua sede presso una specifica università, funziona solitamente per un gruppo di tre o quattro università, che collegatesi al proposito inviano i propri candidati al concorso presso la sede specifica fra loro designata ai fini del- ~ l'esame e dei corsi di specializza- ..c:, zione seguenti, ecco due pericoli ~ ~ che già si prospettano. II primo è legato al male della lottizzazione, che risulta infettivo: difatti dal mondo dei politici, dove _l'epidemia è iniziata, il morbo sta passando ad altre strutture sociali, diffondendosi ed estendendo le proprie dannose conseguenze. Può accadere, e in qualche luogo è accaduto, che i posti di dottorando non siano distribuiti in base a una graduatoria del valore scientifico delle prove d'esame, ma in base a una lottizzazione. Per esempio: se sono tre le università collegate ai fini di un dottorato di ricerca, si sceglie un candidato per ognuna cultore della materia, non invece un normalissimo dottorando. Ma stiamo per scivolare su terre- . no più scottante, quello del comportamento, come dire dell'etica professionale, dei commissari. Non si vuole, beninteso, fare i puri moralisti: errori e giochi d'astuzia ci sono sempre stati nei concorsi universitari, come del resto in tutte le cose amministrate dagli esseri umani. È chiaro che sarebbe stato, e sarebbe ancora possibile, mimando il Boccaccio, scrivere una sorta di Decameron: una giornata «nella quale si ragiona di tante Giulio Paolini, 1970 delle tre università. Si noterà subi- nullità che con l'aiuto della Fortuto quanto il criterio sia contropro- na e la distrazione degli intelligenti <lucentenei riguardi di una asettica magnificamente arrivarono alla difesa della graduatoria di merito. cattedra». Un'altra «nella quale si Ma vi è un pericolo ancora più ragiona di eccellenti studiosi che grave, come si è visto negli ultimi non poterono per la loro eccellenza concorsi a cattedra, da poco esple- .. toccare il traguardo della cattetati: dottorandi che concorrono ad- dra». O una «nella quale si ragiona dirittura alla cattedra, con scavai- di chi entrò in commissione al solo camento di ricercatori e professori scopo di far perdere il concorso a associati, possibile se si ha il pro- un bravissimo candidato»; o un'alprio maestro in commissione. Na- tra «nella quale si ragiona degli alturalmente apprezzeremmo il mi- lettamenti, inviti, ospitalità, conrabile salto categoriale se si trattas- vegni e marchingegni vari preconse di riconoscere un genio in erba corsuali con cui un candidato, diffidella disciplina o un eccezionale dando dei propri scritt~,felicemente arrivò a conquistare la mente di commissari reputati valenti», e via di seguito. Si concluderebbe da un tale libro che gli ignoranti sono al mondo la più stupefacente espressione di vitalità. M a allora che cosa è cambiato? Che cosa è oggi peggiorato? Molte cose sono peggiorate, in accordo con la legge universale dell'a poco a poco, a a grado a grado. Soffermiamoci su due, sempre riferendoci alle Facoltà umanistiche: delle altre parli chi ne ha competenza. In primo luogo, quella che un tempo era l'aspirazione più o meno tacita di ogni maestro a fare vincere un concorso a un proprio allievo si è grammaticalizzata, cioè codificata; è divenuta un elemento portante della grammatica della.v. isione del mondo concorsuale. In altre parole, per un tacito accordo ormai equiparabile a una norma, ogni commissario ha per così dire •«diritto» a far vincere un proprio candidato. Il giudizio comparativo inizia per ogni giudice col secondo candidato. Tutto ciò apparirà abbastanza assurdo o grottesco solo a chi è fuori da questo universo accademico, da questo sistema perverso; quelli che sono dentro sembrano non stupirsene affatto. Per esempio, se i commissari sono cinque e i posti a concorso sette, in pratica si discute su due; ma se per caso i posti sono quattro, può succedere di tutto, come nei drammi in famiglia. Se i posti sono molti, i candidati moltissimi e i commissari salgono da cinque a nove, vi sono concorsi in cui a ogni commissario, rappresentante di una scuola, propria o altrui, per accordo interno si lasciano da coprire due posti. Esistono poi commissari più astuti degli altri che si prendono di «diritto» al primo posto un allievo mediocre, ritenendo che per un calcolo di probabilità il bravo si potrà farlo vincere attraverso la discussione. Con questa disgustante tecnica si conducono tranquillamente abbastanza spesso i concorsi, alla fine dei quali ovviamente eccellenti studiosi non possono che rimanere esclusi. A fare uno schizzo dell'evento concorsuale si può anche inserirvi, quasi a compensazione, uno o più giudici intelligenti e intellettualmente onesti (è la coppia delle qualità che conta), che ne trarranno a seconda della loro natura esperienze amare o amari godimenti. Il secondo fatto su cui si vuole richiamare l'attenzione è quello, gravissimo e abbastanza nuovo, della lottizzazione. Forse per evitarlo il ministero ha da qualche anno introdotto il sistema dell'estrazione a sorte finale dei commissari in precedenza votati dalle Facoltà; ma il rimedio si è risolto in nuovo male (un proverbio lombardo-veneto dice, tradotto, «peggioil rammendo del buco»). D el pericolo della lottizzazione già si è parlato a proposito dei dottorati; più frequente e assai più gravido di conseguenze nel mondo dei concorsi, dove ha luogo soprattutto se i posti a concorso ·sono molti, una ventina o • una trentina. Parlare di lottizzazione significa parlare di programmazione della copertura delle cattedre in base a fattori che nulla hanno a che fare con i titoli del candidato o le necessità di una disciplina, bensì dipendono da motivazioni politiche, partitiche, geografiche, di scuola quando non di mafia universitaria. Qui siamo di fronte a veri sintomi di degrado sia etico che culturale, di cui si potranno avere le conseguenze per molti anni. Non si può calcolare esattamente dove porterà l'influsso di cervelli mediocri messi in gran numero in cattedra in questa ondata concorsuale con motivazioni extraculturali, extrascientifiche, ma tale influsso lascerà certo segni su varie generazioni di studenti. Questo breve articolo corre il rischio di essere preso per una minuscola guida alle malefatte accademiche, ma non è che un semplice schizzo di una realtà a portata di • tutti. Con esso si vuole solo ricor,- dare a coloro che nel nostro Paese credono alla cultura come non si possa, non si debba restare indifferenti di fronte ad alcune manifestazioni di avversione assoluta per i prodotti seri dell'intelligenza. Da dove nasce e dove conduce questo genere di trista stravaganza di certi intellettuali italiani?
Il sogg o, lesue<<misura~ij9ni>> elapsicosi Sigmund FreÙd Sintesi delle nevrosi di traslazione (un manoscritto inedito a cura di lise Grubrich-Simitis) Torino, Boringhieri, 1986 pp. 120, lire 20.000 Misura d'uomo. Strumenti, teorie e pratiche dell'antropometria e della psicologia sperimentale tra '800 e '900 a cura di C. Barsanti, S. Gori-Favellini, P. Guarnieri, C. Pogliano Firenze, Giunti, 1986 pp. 172, lire 22.000 N el 1879 a Lipsia si aprì un laboratorio, di cui una mostra a Firenze offre in questi giorni documentazione: era il laboratorio di Wundt al quale convergevano i cultori della psicologia dell'epoca animati dalla speranza di portare la psicologia a quel livello di dignità che le scienze naturali godevano. Questi ricercatori si specializzavano, si può dire, nell'introdurre il calcolo, e lo studio dei rapporti numerici, proprio là dove maggiormente regnava il disordine della psiche umana: nei manicomi criminali, nel mondo delle meretrici, o, non so se questo sia o meno un o disgiuntivo, nell'ambito dei conventi di clausura. Le misurazioni di peso, di altezza, di rapporto di proporzioni, oggi abbandonate dalla psicologia, si ritrovano negli studi di auxologia che mirano precipuamente a stabilire gli assi ideali lungo i quali deve svolgersi la progressiva maturazione genitale del fanciullo odierno. Così, lungo il filo della misurazione, lo studio della psiche ha lasciato il posto allo studio degli organi genitali, delle ossa del polso o dello sterno, ai fini di un corretto .sviluppo. Più chiaramente emerge per noi che ci siamo occupati in questi anni di perversione qualcosa che ha attinenza con questa posizione che non è né nevrosi né psicosi. Chi ha seguito il mio lavoro di questi anni sa che misura, peso e, detto col Cellini, l'«ordine delle ossa» sono fattori che, in rapporto tra loro stessi, caratterizzano alcuni aspetti della perversione: ma, come stiamo per vedere, essi riguardano anche un'attività, un «lavoro» cui il bambino si dedica in rapporto al particolare «luogo» in cui egli si trova all'età di circa quattro anni e che gli consente di evitare in questa costellazione, insieme con la perversione, anche la possibile riconferma di un fondamento psicotico. L o scritto fino a ieri inedito di Freud, scritto e regalato, scritto nel 1915 nell'ambito del piano previsto per la Metapsicologia, cioè per i «fondamenti» che Freud si proponeva di dare alla teoria che andava costruendo (sappiamo che erano previsti dodici saggi e che ne ha scritti cinque: Lutto e malinconia pubblicato nel 1917, Pulsioni e loro destini, La rimozion_e, L'inconscio, e il Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, pubblicati nel 1915), questo scritto di Freud, che Freud non pubblicò ma regalò a Ferenczi, doveva essere appunto il dodicesimo saggio, una Sintesi riassuntiva, come dice il titolo, delle nevrosi di traslazione. Ebbene questo scritto, che parte dall'esame dei fattori in gioco nelle nevrosi, che ci dà una «serie delle nevrosi» e una «serie delle psicosi» in rapporto alle grandi catastrofi primitive, inaridimento, glaciazione, sembrerebbe in effetti orientato allo sviluppo che Ferenczi diede a un punto di partenza comune. Freud e Ferenczi lavoravano nel '14 ai legami intercorrenti tra la psicoanalisi e la biologia. In Ferenczi questo programma diventa la «biopsicoanalisi» che nel 1924produrrà l'opera che gli americani chiamarono Thalassa e il cui titolo originale era appunto: Verso una teoria della genitalità. Se ho ricordato l'esperienza dei ricercatoti di Wundt e il suo travaso nella moderna auxologia, è perché, in certo qual modo, analoga è stata la vice_ndadi questo piccolo scritto di Freud. Esso doveva, con una sintesi che mirava a stabilire classificazioni per la psiche e rapporti con l'antropologia, rappresentare il coronamento dei fondamenti «scientifici» del pensiero freudiano: ma Freud lo scarta, e lo regala a qualcuno che lo elabora in direzione di una teoria della genitalità. E così, questo .libro diviene importante perché ci illumina su ciò Emilio Vedova, 1984 che Freud non è stato, da ciò che non ha scritto. Non ha scritto, come Ferenczi, una teoria della genitalità. Ha scritto invece una teoria sessuale, e l'ultima pagina di questo scritto, scritto ma non pubblicato, ci aiuterà poi ulteriormente a comprendere la particolare posizione «scientifica» di Freud che còsì si determina e i suoi ascendenti. Qual è la differenza tra ciò cui approda Ferenczi, e la teoria freudiana? In questa sintesi, Freud ci parla di oppressione del padre: infatti: «Se le disposizioni alle tre nevrosi di traslazione furono acquisite nella lotta con la necessità imperante nell'epoca glaciale, le fissazioni che stanno alla base delle nevrosi narcisistiche originano dall'oppressione esercitata dal padre», scrive Freud. Ferenczi invece è del godimento del padre che ci parla ponendosi però con questo non in rapporto alle psicosi, ma all'interno del discorso psicotico se è vero, come ho già avuto occasione di mettere in evidenza, che lo psicotico è colui che sa del godimento paterno e che, così sapendo, si identifica con il prodotto di questo godimento. Ebbene è allo sperma che si identifica il pensiero di Ferenczi in Thalassa. • Ferenczi disegna dall'interno la volta dell'universo psicotico. Per questa sua posizione Ferenczi fa e descrive l'esperienza della psicosi ma non si avvicina a teorizzarla. Così Fornari accanto a una rigida teoria della genitalità si è trovato a sviluppare, ma come se non ci fosse un nesso tra questi due filoni della sua opera, uno studio sulla guerra come istituzione capace di far trovare al soggetto minacciato da nemici interni un nemico reale, all'esterno, con cui combattere. Ancora l'autore non coglie che è proprio nella teoria della genitalità, nel suo aderire a un fantasma psicotico di interno e di esterno, il germe, il seme anzi se stiamo all'oggetto del discorso, della psicosi. A divaricare in Freud dalla psicosi la teoria sessuale è a sua volta la posizione logica dell'assunto che in essa si trova. Se la Genitaltheorie è una teoria sessuale adulta, che proprio per questo pone il soggetto in faccia a un confronto diretto con il godimento del padre da cui lui stesso è stato generato, e trova in ciò il suo segreto, il suo referente nella psicosi, la teoria sessuale di Freud ha un soggetto che nasce e cresce, e si mantiene anche, giacché l'inconscio non muta le sue iniziali opinioni, nell'apparente assurdità, di contro alla «normalità» consequenziale della prima, delle teorie sessuali infantili. E il referente di queste, il luogo della Sexualtheorie, è proprio quell'ambito che da noi denominato a partire dai disegni e dal contesto del caso freudiano di fobia, il caso del piccolo Hans, come il luogo della fobia, è condizione di strutturazione del soggetto in relazione alla facoltà di rappresentare. Questo luogo, che appare frequentemente nei sogni e nei momenti di svolta di un'analisi, è una barriera, come quella posta da Hans tra la propria casa e la dogana con un'apertura che non coincide con quella reale perché è un'apertura di fantasia. Questa barriera è «molle» e quindi soggetta a spostamenti come nell'Origin di Charles Darwin dove barriere si innalzano e si abbassano, avanzano e recedono, barriere di mare e di terra, o di aria, a determinare le condizioni per l'accumularsi delle piccole differenze individuali che danno luogo alla selezione naturale. In questo momento della fobia, che Freud colloca all'età circa di quattro anni, in questo luogo che abbiamo visto caratterizzato in modo simile a un disegno, a una mappa, che davvero si costituì a quell'età e che riaffiora nei sogni dell'adulto ed è rintracciabile in analisi, un luogo che, in rapporto a quella che Freud chiama Vorstellungrepriisentanz, è una rappresentazione speciale, la prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico: in questo luogo avvie- "':!- ne la scelta della nevrosi, il passag1::s gio dalla nevrosi d'angoscia che è il ,5 ~ segnale d'avvisaglia dell'apparire dello spazio fobico, alla nevrosi os- ~ sessiva per esempio che può esser- .....,. ne uno sbocco successivo; oppure ~ si determina la perversione che di É questo luogo ignora la barriera che ~ lo divide, e che si trova rivolta al "" godimento del padre, ma che di 28 questo luogo mima le misurazioni, ~ dandone una caricatura simile a S ~ quella che usciva dalle relazioni dei l ricercatori di Wundt, e tenta con ~
questo di difendersi dalla psicosi che pur rimane in agguato, in assenza di barriera. O la psicosi infine, che la rappresentazione di questo luogo la manca, sicché quella sorta di f andamento psicotico che ha caratterizzato la prirpissima infanzia del bambino trova il suo prosieguo, un continuum nella psicosi dell'adulto. In questa, il peso di una «teoria genitale» che l'inconscio ha fatto propria al posto delle teorie sessuali infantili (la nascita dall'ano per esempio, o il pene nella donna), appare in tutta la sua evidenza. Quando, ad esempio, il discorso in analisi oscilla tra una sessualità regredita, regredita dico, non «infantile», giacché non ne contiene gli «errori» necessari, caratterizzata dallo sperma rivolto verso la madre, e uno sforzo agonistico per raggiungere una sessualità adulta, che nel caso cui mi riferisco si esercitava in un faticosissimo dongiovannismo, ma che finiva con l'intrattenersi solo con l'immagine del padre, giacché quella che ne forniva era un'imitazione che portava continuamente il soggetto sui bordi di una crisi psicotica. P oca fa citavamo Darwin, il Darwin autore dell'Origin e dei viaggi alla scoperta delle barriere coralline: proprio nell'ambito del luogo della fobia, della formazione delle teorie sessuali infantili, della possibilità di evitare la psicosi eludendo con stratagemmi curiosi la fatalità di riconoscere la __propria origine nel godimento del padre, visto come un Thalassa, un mare di sperma che dilaga a coprire il mondo visibile, proprio in questo ambito ci si offre una seconda considerazione sullo scritto di Freud in questione. Non è stato Freud un evoluzionista nel senso che questa parola ha assunto tardivamente in Darwin e dopo di lui. Possiamo dire, questa è la mia tesi, che Freud fu tentato dal neo-darwinismo e l'inizio della collaborazione con Ferenczi lo attesta, ma seppe restare fedele ali 'assunto giovanile di Darwin: / do not believe in any necessary development. Non credo in alcun necessario sviluppo. Anche quest'operetta finisce sulla nota di un «disincanto» dalla «fantasia filogenetica» svolta nella seconda parte in nome di una corrispondenza fra alcune tappe della storia dell'umanità e la serie delle nevrosi di traslazione che si prolunga nelle psicosi, fantasia che non per niente Freud abbandona a Ferenczi. L'idea della ricapitolazione, dell'ontogenesi che riassume la filogenesi (Haeckel), dello sviluppo individuale che ripete le tappe della storia del genere umano, inevitabilmente introduce, sia pure a posteriori, un carattere di «sviluppo necessario». Freud non vi indulge affatto: Nonostante le apparenze contrarie non è all'«origine dell'uomo» che si riallaccia Freud. Il suo rapporto diretto a Darwin si gioca sul terreno dell'Origin of Species e dell'altra grande opera sull'Espressione delle emozioni negli animali e nell'uomo. Che cosa corrisponde in Freud al fondamentale principio darwiniano della selezione naturale? Vi corrisponde puntualmente, punto a V) ~ punto, alla lettera, col suo proce- .s dere, come quella, «muta e inav- ~ Cl... vertita», la nozione di pulsione di ~ morte. A questa nozione si riallac- -. ciano i due concetti, pure impor- ~ tantissimi, di sedimento e di resi- E duo. Prendiamo le due definizioni ~ ~ "' ~ freudiane del sintomo: «sedimento di antiche esperienze amorose», e dell'angoscia: «residuo di antichis- ~ sime esperienze traumatiche», e chiediamoci: che cos'è un sedimen- ~ ~ l to, e un residuo? ~ Sedimento è qualcosa che si deposita e, depositata, si accumula. Perché ciò avvenga è però necessario che qualcosa cessi: un moto, un'agitazione. Anche il residuo presuppone una perdita, una cessazione. Così in Darwin l'estinguersi di azioni specifiche dotate di un significato lascia, come residuo, espressioni indecifrabili, arbitrarie che volgono, proprio per il loro non-senso, sull'ordine puramente negativo e differenziale della parola e del linguaggio. La psicoanalisi è agli antipodi di ogni psicomotricità ed espressionismo terapeutico (Freud respinse l'«aggiornamento» di Rank e Ferenczi in chiave di Esperienza, Erlebnis, psicoanalitica). A parte le note condizioni di «astinenza» segnate dal setting, Freud si interessò al valore del movimento e del gesto solo nella forma pietrificata della scultura: Gradiva, Mosè di Michelangelo e, mi si consenta di aggiungervi, il «gruppo» di Sant'Anna del ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci. C'è del movimento d'altra parte, dal gesto della mano che disegna alle azioni dell'afferrare, stringere, strappare, dall'andatura di «colei che risplende nel camminare» alle raffigurazioni motorie in forma pantomimica dell'attacco isterico, c'è del movimento all'origine della psicoanalisi, ma è solo un residuo, un ricordo di movimento, e un'attesa. Ma non è l'attesa di un mutamento in avanti. È una tensione che, al pari della pulsione di morte, è volta alla riconquista di un patrimonio che già esiste. Come quando paragonammo l'arcano dell'accumulazione dell'inconscio e quello dell'accumulazione del capitale. La pulsione di morte sottolinea la posizione logica del soggetto come l'arcano della formazione che lo fa muovere. E questo è agli antipodi del continuum postulato dallo sviluppo dell'evoluzionismo. E Totem e Tabù? Sembra difficile che si possa respingere anche per quest'opera l'ascendente antropogenetico neodarwiniano, dato che vi si parla dell'orda primordiale, tratta si sa dall'Origine dell'uomo di Darwin. Ma in Freud è sempre importante osservare gli attacchi. Che cosa .. Douglas Huebler, 1970 fa l'originalità dei Tre saggi sulla sessualità se non il prendere avvio dalle perversioni sessuali come presupposto e condizione della sessualità infantile? E Totem e Tabù non parte dall'«orrore dell'incesto», non pone nell'animale, «un animale commestibile, innocuo o pericoloso e temuto», gli stessi presupposti «logici» della fobia, la fobia non come sintomo, ma quella posizione cui abbiamo accennato come strutturante il soggetto: la fobia che contro l'orrore dell'incesto eleva per esempio le teorie sessuali infantili, e in cui l'animale appare, un cavallo, un cane, un lupo, una mucca, come la statua della sfinge, ma anche come l'alare, la statua che sorregge permette e limita l'estendersi del fuoco? Concludiamo allora. «Non è dunque - scrive Freud - che ritornino nei nuovi individui costituzioni arcaiche, in rapporto numerico forse stabilito una volta per tutte conformemente a una legge, e che si insinuino nella nevrosi attraverso il conflitto con le pretese del presente.» In questa 5Pnclusione alla «sintesi» oggi pubblicata, sembra che Freud abbia aggiunto il «non» successivamente, nel manoscritto, nello spazio, dice la curatrice, prima dell'inizio della riga. Questa «aggiunta» che ora regge la proposizione come una protesi nella struttura del soggetto, sta a dirci che 1) le costituzioni arcaiche, 2) il rapporto numerico. 3) la conformità a una legge, rispetto alla costruzione di una nevrosi, stanno in una funzione che è presieduta da quel meccanismo scoperto da Freud che è la denegazione. Mentre, rispetto alla formazione della perversione stanno nel loro riconoscimento. E, rispetto al rafforzarsi di una psicosi, stanno nel f accia a faccia del soggetto con qualcosa che lo precede, da cui ha tratto origine, ma che lo travolge senza pietà. Stanno in rapporto con una modalità che, diversamente da quanto sembrerebbe quando si esclude un discorso di sviluppo, è l'unica che può dare adito a un cambiamento. Perché il cambiamento è radicale, è un salto, è segnato da una differenza, e questo è permesso solo in quanto la posmone del soggetto nella sua formazione ha un carattere non sperimentale ma logico. E l'analisi testimonia di questo «non» aggiunto sopra le righe di questa operetta, questo «non» che consente di riscoprire quel luogo che Freud chiama Wo Es war, là dove il soggetto era e dove può accadere che la pulsione di morte, ricerca dei nostri antecedenti, diventi attraverso una antica tecnica acqµisita qualcosa che non si oppone alla pulsione di vita, giacché la forma sessuale che in questa dimensione si specifica fa sì che l'esito di entrambe, pulsione di vita e pulsione di morte, sottratte alla categoria di sviluppo, l'origine non è più la causa, si trovi ad essere per entrambe la strutturazione e la sopravvivenza del soggetto. F inora non ho parlato che al negativo, di quest'operetta di Freud, mettendo però in luce il valore e la funzione che vi assume appunto la negazione (la teoria sessuale è differente dalla teoria genitale, la psicoanalisi non si qualifica da una prospettiva evoluzionistica). Ora mi piacerebbe però finire su una nota positiva, su un insegnamento «tecnico» che possiamo trarre dalla lettura di questo inedito. Non so in realtà, o meglio so che quanto sto per dire è meno ricavato da questa lettura che da essa ispirato. Ma si tratta comunque di qualcosa di molto significativo, di utile appunto nella cura psicoanalitica della psicosi. Freud fa risalire «le disposizioni alle tre nevrosi di traslazione» alla «lotta contro la necessità imperante nell'epoca glaciale» (l'angoscia al trasformarsi del mondo in un cumulo di pericoli; l'isteria al dovere di limitare la procreazione con una certa regressione a soddisfacimenti anteriori al primato dei genitali; la nevrosi ossessiva all'oscillazione della «figura grandiosa» del padre primordiale tra saggezza e brutalità). Le nevrosi narcisistiche, le psicosi cioè, si sarebbero fissate invece nella lotta che la seconda generazione intraprese contro l'«oppressione del padre», attraverso castrazione dei figli che raggiungono la pubertà (dementia praecox), fuga dei fratelli e sviluppo di sentimenti sociali basati su un soddisfacimento omosessuale (condizione restituita dalla paranoia), uccisione e rimpianto del padre primordiale (premessa dell'inserimento della melanconia-mania). Ebbene, se è vero che il nevrotico vive sotto un regime di necessità e lo psicotico sotto un regime di oppressione, possiamo avanzare il suggerimento che forse è nel mantenimento in analisi di una condizione di necessità che lo psicotico può resistere all'oppressione che lo minaccia. In altre parole, l'analista ha il dovere di non contrastare più di tanto la strana riluttanza che lo psicotico manifesta ad abbracciare soluzioni per la sua vita che lo toglierebbero dalle difficoltà, economiche o d'altro genere, che al presente lo angustiano. Niente è più pernicioso per lui di un colpo di fortuna. È qui che si manifestano gravi errori degli psichiatri sorpresi di veder peggiorare le sofferenze di malati dei quali hanno favorito, attraverso l'interessamento per un lavoro o l'ottenimento di una pensione, il reinserimento sociale o la serenità familiare. Nel rapporto che lo psicotico intrattiene con una necessità quasi «artificiale», spesso costringendosi a un'esistenza al limite, con abiti stretti, la casa piccola, il cibo scarso, il tempo smangiato - e la soluzione a portata di mano - sta per lui la sola chance di poter essere trattato, anche dal suo psicoanalista all'occasione, come un nevrotico.
Narrativa, a proposito ~lo M&irquezI Gabriel Garda Marquez El amor en los tiempos del colera Parets del Vallés (Barcelona), Editorial Bruguera, 1985 illustrazione di copertina: omaggio di A. Mondadori editore «hora a su afan ansioso lisonjera» (Francisco de Quevedo) ' E un topos antico - stolto e vitalmente vero, come tutti i topoi fondamentali - quello vissuto da chi in età media o declinante s'innamora di una persona spietatamente più giovane. Ma che cos'è mai questo dramma - che pure può distruggere un'esistenza - appetto del dramma di chi, non più giovane, s'innamora di una lingua? Innamoramento, questo, che (come l'altro) pare senza speranza, eppure non accetta il verdetto; e combatte, in nome di un futuro, per la riuscita. Dopo una certa età (dice il folklore sull'argomento) non si può apprendere, fino alla riproduzione scorrevole e fluida, un idioma straniero. Sarà vero? In ogni caso, quando un'attrazione profonda calamita •una persona verso una lingua, come una vocazione che da tempo abbia fattorisuonare il suo richiamo (da una lettera recente: «Yo creo que las lenguas se suefian antes»... ), non vi è più tempo di tirarsi indietro: si è sotto il dominio. Le righe che seguono non appartengono a un ispanista né a un traduttore professionista (sono a priori sicuro che la traduzione italiana del romanzo di Garda Marquez è più che sufficiente a farlo gustare, e l'uguaglianza della copertina è il simbolo di un gemellaggio); provengono, queste righe, semplicemente da un innamorato della lingua spagnola. (Innamorato di una lingua... situazione, appunto, ancor più drammatica e sulfureamente grottesca dell'anziano innamorato di una fanciulla... che l'oggetto del desiderio amoroso non abbia, propriamente parlando, età - la nozione diacronica di età di una lingua è una metafora sociologicarenda la distanza ancor più disperante.) Come ogni altro innamoramento, anche quello per una lingua può essere foment,ato o da un senso di distanza o da un'impressione di vicinanza. Nel caso dello spagnolo si tratta ovviamente della seconda possibilità: una vicinanza alla lingua italiana che è illusoria, elusiva e iridescente. E che può esser simboleggiata da quella parola carta che, com'è noto, in spagnolo corrisponde all'italiano «lettera». Ma se, per l'ultimo romanzo di Garda Marquez, io voglio parlare di «carte d'amore», non è per far combaciare a tutti i costi - all'insegna di un calco ispanistico - la cornice di questo discorso (dove le carte amorose sono gli appunti di lettura'in qualunque modo connessi alla lingua amata) e il suo contenuto- un romanzo in cui uno dei fili conduttori è un lunghissimo scambio di lettere d'amore, una corrispondenza dalle dimensioni epiche. No: io uso il termine generico di «carte» perché in tutto il romanzo, tramato appunto in gran parte su scambi di lettere, non è trascritta nessuna delle lunghe lettere che so- ' no a più riprese descritte (si riproducono solo - con una funzione di abbassamento alquanto ironico - alcuni dei messaggi più laconici). Perché ciò avvenga, lo si comprende se si considera la strategia generale di questo romanzo: che è (per dirla in breve) quella di porre innanzi alcune mosse modernistiche, dietro la cui copertura si muove una narrativa di restaurazione, o restituzione (tanto per chiarire che il termine è usato qui senza alcuna connotazione negativa). È un accorgimento modernistico, appunto, quello di descrivere dettagliatamente l'infrastruttura letteraria e psicologica di una corri- • spondenza amorosa senza offrirne campioni specifici: prendendo così distanza sia dalla gran tradizione medievisticorinascimentale dell'Iberia (le lunghe lettere d'amore e cortesia che costellano quei bei romanzi cavallereschi - dal catalano di Tirant lo Blanch al castigliano di Amadfs de Gaula - che fecero impazzire Don Chisciotte) sia dalla generale tradizione europea del romanzò epistolare. Anche modernistico è il depistaggio per cui la prima sezione del romanzo (una settantina di pagine) sviluppa una storia - con possibile intrigo e colpo di scena - su un personaggio che poi scompare completamente dalla scena, per dar luogo ai veri protagonisti: il dotto.- re Juvenal Urbino, la sua sposa Fermina Daza (con un nomè teneramente ossimoronico, nel suo sposare una radice di fermezza - che a noi ricorda il protomanzoniano Fermo - con un suffissodiminutivo) e il fedele innamorato di quest'ultima, Fiorentino Ariza che, dopo 57 apni 7 mesi e 11 giorni di incrollabile attesa ne diverrà (entrambi avendo passato i settanta) l'amant6. Ma appunto: questo romanzo segna una riuscita essenzialmente perché esso è un gesto di restituzione; restituzione di una narrativa nettamente tradizionale e francamente letteraria. È difficile spiegarsi su questo punto senza abbozzare un esercizio (la comparazione tra questo romanzo e Cien afios de soledad) che è sostanzialmente inutile: con El amor en Lostiempos del colera, Garda Marquez ha semplicemente dimostrato (finalmente, dopo una serie di deviazioni minori) di esser riuscito a sopravvivere alla riuscita sfolgorante di quel Cent'anni; ma non ha potuto riprendere l'intensità di quel testo - né questo è ciò che interessa. Quel che importa è che El amor en Los tiempos del colera (titolo • modernistico, e meno «sentito» che Cien afios de soledad) ha chiarito un elemento che in Cien afios MichelangeloPistoletto,1976 restava celato: la restaurazione o restituzione o nostalgia della narrativa come paternale. Questo elemento, nel vecchio romanzo, restava scarsamente visibile dietro la proliferazione delle immagini epico-surreali (proprio quelle che meglio passano attraverso le maglie della traduzione). Non è che il filone epico-surreale sia assente da El amor; però non è il suo elemento predominante e caratterizzante, ma resta piuttosto una riserva di vignette. (La storietta del capitano Rosendo de la Rosa - pp. 259 ss. del testo edito da Bruguera - ricorda il Pirandello de L'uomo, la bestia e la virtù.) La vena centrale del romanzo è come ho detto, paternale: non nel senso di un discorso moralistico, bensì nel senso di una narrazione costantemente animata dalla nostalgia di una grande, fondante storia di famiglia al cui interno possano trovar giustificazione varie vite successive. Non c'è bisogno di avanzare alcuna ipotesi· sulla biografia di Garda Marquez: quella che qui è in_giuoco è per così dire la forma pura della genealogia familiare. In questa prospettiva, la nostalgia, che è insieme paterna e materna (padres com'è noto designa in spagnolo entrambi i genitori) è, appunto in quanto forma pura di un desiderio nostalgico, indissolubilmente legata con il processo di ripercorrimento (lento, sereno) di tutte le possibilità della lingua materna. Lento, sereno - dunque, non un'esplorazione di funambolismi lievemente isterici nella tradizione stanca dello sperimentalismo. El amor in• effetti chiarisce qualche cosa che peraltro era apparso visibile giada molti anni: che il filone centrale della narrativa latino-americana è quello della restituzione; essa naviga lungo il bel fiume ampio di una lingua letteraria che è orgogliosa di esserlo. Vari elementi (per esempio, la sopravvalutazione di Borges) hanno contribuito a oscurare questo punto importante; ma a questo momento, il quadro è chiaro. Certo occorre valutare i vari livelli, le diverse riuscite e non-riuscite, di questo movimento: non confondendo, per esempio, restituzione creativa con ripetizione astuta. (Esempio di quest'ultima, l'ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa, molto visibile in questi giorni nelle biblioteche di Madrid: l Quién mato a Palomino Mo/ero? Barcelona: SeixBarrai, 1986;un'abile ma inutile esercitazione alla Georges Simenon.) Restaurare significa: aderire alla lingua nella sua pienezza d'espressione della vita; dunque, nulla d'archeologico o formalistico. In questi anni assistiamo all'esaurimento di un discorso su cui la critica ha tambureggiato per anni e anni - un discorso che può esser sintetizzato come tema de: l'incertezza che il soggetto narrante ha, se esso veramente esista oppure no (tema che va dai casi meno ovvi- come la vena narrativa nella saggistica di Kierkegaard - fino ai più ovvi come Beckett, passando attraverso esperienze cruciali come quelle di Pirandello, della Woolf, del sopravvalutatissimo Joyce, ecc.) Questa incertezza è proprio ciò che non tormenta il narratore restaurativo - e l'assenza di essa non dev'essere considerata un limite, ma al contrario una prova di feconda energia. Nella nostra tradizione, il maggior rappresentante di questa certezza di esistere è il più deplorevolmente misconosciuto narratore del Novecento italiano: Gabriele D'Annunzio. Salvando tutte le debite proporzioni, Garda Marquez con il suo romanzo si colloca in questa scia, conferma la validità di questa tradizione. M a insomma: che cosa racconta veramente, la lunga storia d'amore di Fiorentino Ariza? Questa storia è una versione insieme smascherante e degradata di quell'itinerario che l'ossessione dantesca ha istituzionalizzato nella letteratura mondiale: un uomo passa attraverso le più varie esperienze (erotiche e sentimentali) serbandosi fedele al ricordo amoroso di una donna. La storia di Fiorentino è- rispetto al solenne paradigma dantesco - smascherante (anni or sono, si sarebbe detto «demistificante») poiché in essa son portati con franchezza alla luce tutto l'egoismo, tutta la brutalità predace che nella retorica di Dante sono invece costantemente eufemizzate. Cioè: riparato dietro lo scudo del suo amor costante, Fiorentino usa e scarta una gran quantità di donne, ed è la causa indiretta della morte di due tra esse. D'altro canto, questa storia è anche una degradazione di quella dantesca - e non per ragioni scolasticamente ovvie (le differenze di registro stilistico, di contesto - tutte le condizioni, insomma, non evitabili nelle quali si scrive oggi, e sopra tutto si scrive un romanzo). No: la degradazione in questo romanzo è una sfaldatura di autocompiacimento che era evitabile; dunque è tale che può essere oggetto di una valutazione e(ste)tica. Fiorentino, dopo aver trafitto molti cuori, conquista la sua beatrice (son vecchi entrambi, ma che importa? E Garda Marquez è brillante e completamente persuasivo, nel mostrare quanto poco ciò importi) - la_conquista, e se la gode. Vi è, in ciò, qualche cosa di facile e un po' troppo indulgente (vi è anche una commovente paura della morte). Oppure no? E allora questo romanzo sarebbe un buon pretesto per rivedere uno dei nessi teologico-letterari centrali nella letteratura europea? Voglio dire: forse, in ultima ana- 'O lisi, il contrasto è quello che oppo- ~ ne il cristianesimo (per dirla ossi- -S ~ moronicamente) rabbinico di Dante a un cattolicesimo ibero-ameri- ~ cano paganizzaJo... Ma qui comin- -. eia un altro discorso, che va oltre il ~ ..t:) bel romanzo di Garda Marquez... E: e per il quale bisognerà cercare le ~ ~ carte più diverse·, anche carte "' (prendo a prestito -le parole del- 158 l'autore, a p. 108) «empapadas de ~ lluvia, sucias de lodo, desgarradas ~ por la adversidad».... l ~
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