nichilista sia anche, nello stesso tempo, il più implacabile negatore di queste potenze intermedie. Se la volontà di potenza nega la forma in quanto limite al dominio, Severino non può nemmeno pensare la forma in quanto sintesi di identità e differenza: come potrebbe infatti l'identico differire senza annullarsi come identico? (Come potrebbe l'ente svanire nel niente senza annullarsi come ente?). 4 C'è però un aspetto che sembra sottrarsi a questo ambiguo gioco di Paul Ricoeur La semanticadell'azione a cura di A. Pieretti Milano, Jaca Book, 1986 pp. 173, lire 19.000 F acendo seguito alla pubblicazione di Metafisica e politica di J. Ritter (Marietti, 1983), e di Azione, linguaggio, ragione di R. Bubner (il Mulino, 1985), la recente traduzione di Le discours de l'action (prima parte de La sémantique de l'action), sembra testimoniare come anche nel nostro paese si vada consolidando l'interesse per la riflessione sui fondamenti filosofici della teoria dell'azione. (Il richiamo al titolo originale dell'opera non è casuale: in La semantica dell'azione si parla appunto del discorso dell'azione in termini che sono quasi esclusivamente propedeutici e introduttivi a una compiuta teoria filosofica dell'azione. In altri termini, il titolo della traduzione italiana non esclude il rischio di depistare il lettore, rischio peraltro attenuato dalla chiara introduzione di Antonio Pieretti). Va detto subito che l'opera di Ricoeur si discosta sostanzialmente dai testi appena citati. Ritter tende a reperire il senso pratico-filosofico dell'agire recuperando la nozione aristotelica di phronesis, di saggezza o prudenza, il che sembra piuttosto problematico in quanto la phronesis aristotelica aveva spessore ed efficacia per via del presupposto, che Aristotele poteva (allora) dare per scontato, di una comunicazione non disturbata tra etica e politica - una via che oggi appare difficilmente praticabile. Bubner, che vorrebbe sfuggire a questa difficoltà, rischia da parte sua di offrire un concetto dell'agire quasi naturalistico, e senza d'altro canto riuscire a risolvere il problema. Il suo concetto di azione, come ciò che si orienta in «vista-di-cui», sembra piuttosto astratto e generico: per «riempirlo» è così costretto a ricorrere alle analisi concrete della sociologia dell'azione (che pure critica), o tornare a riproporre, come fa esplicitamente, l'ideale del «phronimos» come l'uomo saggio che delibera ponderatamente di volta in volta facendo appello alla solida base identitaria della propria esperienza. Si tratta però di un ~ ideale che non solo sembra, oggi, .5 ~ piuttosto irreale, ma che inoltre si I::).. scontra con una difficoltà ulterio- ~ re: quella della sua generalizzazio- -. ne agli altri uomini. S Il percorso filosofico introdotto -.-...! cS da Ricoeur procede in una direzio- ..., ne molto diversa anche se, in parte, } il retroterra filosofico a cui attinge è quello di Bubner, e cioè il linguaggio nella forma in cui è pensato dalla filosofia analitica, in particolare da Searle e Austin. Ma Ri- ~ coeur opera un duplice spostamen- l to di prospettiva, che deriva da tra- ~ dizioni filosofiche ben precise. specchi, ed è la diagnosi del tempo come «alienazione essenziale», sviluppata da Severino in una fenomenologia della volontà di potenza dove il divenire di questa esibisce caratteri decisamente «perversi». È quell'aspetto, già accennato, che potremmo definire l'accelerazione del tempo storico, ossia il progresso come derivata del tempo ( così come l'accelerazione fisica è la derivata della velocità), come sempre crescente volontà di potenza. Qui la filosofia della storia proposta da Severino è suscettibile ·di sviluppi preziosi, incontrandosi con quelle analisi della modernità in cui l'accumulo della coscienza storica presenta caratteri di patologica decadenza (Nietzsche in primis). Quanto alle radici di questa patologia vorrei concludere con un ultimo cenno (ma si vedano in proposito le acute riflessioni di Francesco Calvo): l'abbandono della nozione classica di atto come forma dinamica autocentrata, pagato al prezzo di una temporalità eccentrica, alienata, o, per dirla sempre con Hegel, di un «cattivo infinito». Note 1) Sul significato della polemica calvinista contro le sette libertine (dove l'eredità gnostica è evidente) fornisce indicazioni preziose Gerhard Schneider, Il libertino. Per una storia sociale della cultura borghese nel XVI e XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 1974. 2) Lo splendido Epilogo del libro di Jonas su Gnosticismo, esistenzialismo e nichilismo pare tuttora un riferimento decisivo per il nesso tra gnosticismo e volontà di potenza. 3) Si vedano in proposito le testimol'azione-di.Ricoeur L'ermeneutica innanzitutto: il linguaggio-azione non è studiato come il terreno chiuso che permette di elaborare una tassonomia di espressioni pratico-comunicative con il rigore metodico della scienza, isolandole dal vissuto di chi le esprime; esse sono non soltanto la manifestazione della struttura dell'esperienza, che è «infinita» in via di principio, così che l'enumerazione degli atti linguistici fondamentali non può mai concludersi in una classificazione definitiva. Sono anche, inoltre, il luogo in cui si conserva l'esperienza passata: ovvero la dimensione della storicità. È per questo che, rispetto a Bubner, che mira a dissociare programmaticamente il dire dal fare, per descrivere l'azione iuxta propria Edoardo Greblo gioe la fenomenologia della volontà, poiché è solo dalla loro integrazione reciproca che può emergere una filosofia dell'azione come etica (e cioè come descrizione e analisi dei discorsi nel quale l'uomo dice il suo fare), radicata, attraverso il linguaggio ordinario, all'esperienza e alla storicità, e fondata, mediante la fenomenologia, sulla dimensione originaria del «vissuto». Questa integrazione (o questo parallelismo) presenta però un punto di frattura, il «corpo proprio», che incunea un rapporto di non simmetria - e nondimeno essa è necessaria. Per diverse ragioni. In primo luogo l'analisi del linguaggio ordinario sottrae la fenomenologia dalla possibilità di limitarsi a semplice «percezione interlinguistico entro il quale si è parlato del linguaggio stesso. Non sono però soltanto le sue difficoltà interne che rinviano alla fenomenologia. Vi è anzi, nel suo metodo, una spinta positiva che lo orienta in questa direzione, e cioè il legame che unisce il linguaggio all'esperienza. Innanzitutto c'è una sorta di tendenza filosofica comune: in entrambi i casi si tratta di chiarificare rispettivamente gli enunciati e le essenze del vissuto. È il carattere non dialettico (il fatto e/le in ambedue i casi vengano messe in gioco tecniche di chiarificazione, di distinzione) che, intanto, unisce fenomenologia e analisi linguistica. Non sintetizzano, non ricompongono, ma istituiscono «differenze». L' «Ouroboros», il drago-serpente. Riflette la duplice natura di Mercurio, composto di contrari ma anche simbolo di unione. Lambsprinck, in Museum Hermeticum, 1677 principia, ma così appiattendola «naturaltsticamente» dissolvendone la storicità, in Ricoeur l'azione si configura indissolubilmente legata al linguaggio, e quindi alla storicità. R icoeur però non si limita, ermeneuticamente, ad unire il linguaggio al contesto d'esperienza entro il quale esso opera e funziona. Grazie all'apporto del- ... la fenomenologia (interpretata come fenomenologia della volontà), egli riesce a dar conto del tenore vitale dell'azione, della sua opacità e della sua contingenza - e ciò anche mettendo in gioco la psicoanalisi. Il libro è appunto costruito sul confronto tra l'analisi del linguagna», e quindi la riconduce all'aspetto pubblico e sociale di ogni esperienza. Essa inoltre, che si muove nella prospettiva di cogliere l'essenza sull'esempio, si imbatte nuovamente nelle difficoltà che derivano dal ricorrere all'intuizione, rischiando così di non rimanere immune dalla possibilità di una caduta nel solipsismo. Si tratterebbe, comunque, di una fenomenologia psicologica, alla quale Ricoeur oppone una fenomenologia che tenga conto della innata dicibilità del vissuto. Mclse la fenomenologia richiede l'apporto del linguaggio ordinario, anche quest'ultimo deve essere «completato». Il metodo linguistico non è infatti in grado di riflettere su se stesso e di definire il gioco ' E tuttavia a un livello ulteriore, meno estrinseco, che si rivela la complementarità tra queste due così apparentemente diverse tradizioni di pensiero, e che viene a costituirsi come il presupposto necessario per la semantica dell'azione. L'analisi linguistica indaga il senso degli enunciati; la fenomenologia il senso del vissuto - due diversi livelli strategici che corrispondono, rispettivamente, al livello di costituzione e al piano di fondazione. «Husserl finisce là dove Austin e gli altri cominciano» (p.162). Come afferma Ricoeur, la fenomenologia dà un fondamento «vissuto» agli enunciati; gli enunciati danno un' «espressione» al vissuto. Questa conciliazione viene però nianze di Porfirio, De abstinentia, sullo gnostico come «abisso di potere» e «abisso di libertà», citate e discusse in H. Ch. Puech, En quete de ,fa Gnose, voi. 1, Parigi, Gallimard, 1978, p. 107; il libro del Puech è ora disponibile in traduzione italiana presso Adelphi. 4) Già Gli abitatori del tempo è un titolo carico di suggestioni gnostiche: sembra rimandare a un'idea latente del tempo come carcere che subentra all'immagine antica del mondo.come carcere (Marcione: haec cellula creatoris). Ma questo modo carico di negatività ,,metafisica è anche detto, nella letteratura tardoantica, saeculum, cioè appunto una determinazione temporale. incrinata dalla piega ontologica che la fenomenologia ha preso con Heidegger e Merleau-Ponty. Il tema del «corpo proprio» introduce un fattore di dissimmetria, poiché in quanto oggetto fra altri oggetti e insieme condizione non oggettivabile dell'azione, esso fonda la struttura ontologica dell'essere-nelmondo che, superando la distinzione soggetto-oggetto, denuncia i limiti dell'analisi linguistica quanto della fenomenologia. L'analisi del discorso dell'azione, che viene proposta da queste due correnti di pensiero è pertanto solo introduttiva. La filosofia dell'azione, e cioè l'etica, non può limitarsi ad essere descrittiva; deve anche possedere, necessariamente, una portata normativa. In modo forse un po' troppo succinto (pp. 50-52), Ricoeur afferma infatti che l'etica, proprio per il suo carattere normativo e vincolante, è un discorso «dell'azione sensata» che non può essere soltanto analitico e descrittivo. Ma è «un discorso prescrittivo e costitutivo del senso stesso dell'azione sensata. È un discorso che genera senso», un discorso «della mediazione e della totalizzazione» (p. 52), «costitutivo e dialettico» (p. 169). Il libro si conclude quindi con il getto delle fondamenta (lo studio del rapporto reciprocamente necessario tra analisi linguistica e fenomenologia) per una riflessione filosofica sulla teoria dell'azione. Quest'ultima resta appena accennata, e per questo il titolo della tra-· duzione italiana può essere fuorviante: della semantica dell'azione possediamo i presupposti, ma non l'elaborazione vera e propria. Nell'opera troviamo tuttavia un accenno agli sviluppi possibili dell'opera di Ricoeur; egli afferma: «L'azione significanteè come un testo offerto alla lettura, a più letture, e [... ] la dialettica fra spiegazione e comprensione, implicata dalla lettura e dall'interpr~tazione di un testo, ci invita a cercare anche nell'interpretazione dell'azione degli uomini una simile alternanza tra comprendere e spiegare. Ma questa analogia con il testo dovrà essere elaborata con grande cura; è per questa ragione che qui lamenziono soltanto» (p. 50). In questa direzione di ricerca diviene allora possibile superare tanto l'oscillazione di Bubner tra il suo «naturalismo» e la contemporanea rivalutazione (in comune con Ritter) di una ragione modellata sulla phronesis, legittima all'epoca di Aristotele, ma poco credibile in epoca «post-moderna». E recuperare, d'altro canto, un'etica radicata nella storicità dell'esperienza (attraverso il linguaggioordinario) e nel «vissuto» dell'uomo (attraverso la fenomenologia della volontà).
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==