Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

L a Storia della psicoanalisi di Silvia Vegetti Finzi è un lavoro con pochi precedenti; è quanto basta per rilevarne il merito e la necessità, anche se storicizzare la psicoanalisi costituisce «un'impresa anti-psicoanalitica, perché questa forma di sapere presenta una resistenza interna alla dimensione storica». L'autocritica appare eccessiva: da uno storico della psicoanalisi non ci si aspetta la trasmissione di un sapere clinico, né la cautela dello psicoanalista nel preservarlo dall'irrigidimento e dalla schematizzazione, ma piuttosto una sorta di bussola che orienti nell'arcipelago presente e passato delle storie di psicoanalisi e psicoanalisti. Soprattutto in quello presente, così penetrato da una psicoanalisi involgarita e ridotta a gergo quotidiano, eppure con una domanda così ampia ed urgente di psicoanalisi «buona», senza frode, di psicoanalisi «vera» e di «veri»psicoanalisti. I clienti della psicoanalisi chiedono, insomma, delle garanzie: si può dire che questa «storia»ne fornisca? Che distingua, ad esempio, buone e cattive scuole, teorie vere e false e così via? Direi di no; anzi, dà alle eresie lo spazio negato dal- ['ortodossia per sottolineare l'erranza, non l'errore, della ricerca psicoanalitica. L'opera si fonda, tuttavia, su un progetto dichiarato: circoscrivere ciò che permette di identificare la psicoanalisi desiPhips. Nel 1692 Phips, appena sbarcato a Boston, come primo gesto di governo decise di rispondere alla domanda di giustizia che proveniva da Salem nominando il tribunale speciale che svolse i processi e ordinò l'impiccagione di diciannove imputati, più lo schiacciamento progressivo, s1noalla morte per soffocazione, di Giles Corey che si rifiutava di rispondere alle domande dei giudici, non ricon9scendone l'autorità. Le cose erano dunque pen più complicate, anche ad un esame sommario, di quanto non appaia dall'analisi di Boyer e Nissenbaum. L'ansia per l'incertezza del futuro colpiva tutto il Massachusetts, e non soltanto SalemVillage; i mutamenti che erano nell'aria coinvolgevano l'intero insediamento, minacciato anche dal pericolo delle guerre con gli indiani e preoccupato dalla vicinanza del sovversivo Rhode Island fondato da Roger Williams, già pastore di Salem. U n altro elemento di cui non tiene conto il discorso dei due studiosi riguarda, di nuovo, la banda delle giovanissime accusatrici. A chi abbia familiarità con le cronache dell'epoca, appare chiaro che i loro «attacchi», le loro «crisi», i loro «tormenti» ricalcavano un modello antecedente, il caso Goodwin studiato a Boston da Cotton Mather e notissimo in Massachusetts perché pubblicato in Memorable Providences nel 1689; o::s mentre altri casi di stregoneria era- .::; ~ no stati descritti e analizzati dal pac:i.. dre di Cotton, Increase, in Illu- ~ strious Providences del 1684. Il ca- ...., so Goodwin è sorprendentemente -8 simile a quello di Salem quanto ad i avvio: la bostoniana Martha Goo- ~ dwin, tredicenne, manifestò sintob<l mi identici a quelli delle bambine :::s ~ salemite, e come loro denunciò l'-,. o0 una persona che prestava il fianco ~ alle accuse, la lavandaia irlandese Glover (le salemite in prima istan- ~ za accusarono la schiava Tituba, la ..C) vecchia Osborne e la «malfamata» ~ ~ Good). gnando i tempi e i luoghi della sua elaborazione. Il progetto mi appare, a sua volta, sostenuto da una domanda, semplice ma radicale: che cos'è la psicoanalisi? Una storia della psicoanalisi può essere un modo di contornare la risposta ad una domanda costitutivamente insaturabile. Se quest'impresa, storicizzare la psicoanalisi, è stata così poco tentata, non è solo perché l'atemporalità dell'inconscio fa ostacolo alla cronologia, ma anche perché la psicoanalisi non esiste - dopo Freud - come corpus teorico in cui, almeno sui concetti chiave, ci sia accordo. La storia della psicoanalisi non può che diventare, allora, storia delle psicoanalisi, vale a dire di quei brandelli di sapere strappati alla clinica, formalizzati e trasmessi dalla scrittura. Resta fuori di ogni possibile «storia» la trasmissione orale di una pratica; non per esoterismo voluto, ma per l'impossibilità di dire - e teorizzare - tutto della clinica. Al «che cos'è» lapsicoanalisi Silvia Vegetti Finzi risponde dunque con un'anamnesi minuziosa del passato prossimo e con una fotografia del presente; riserva spazi inconsueti ai marginali e agli eretici (Groddeck, Tausk, Reich) in base al presupposto che, se la psicoanalisi è dogmatica, corporativa e irrigidita nell'ortodossia, snatura la sua funzione, che è trasgressiva, e il suo stile di ricerca, che è in fieri. Il modello di comportamento delle accusatrici era dunque culturale, e mutuato all'esempio celebre diffuso da Cotton Mather. Quale rapporto v'era fra il gruppo delle giovani salemite e gli adulti che esse costrinsero al ruolo di vittime o sostenitori della loro azione palesemente aggressiva? Boyer e Nissenbaum non toccano questo aspetto fondamentale della vicenda, sul quale si innestano scelte che loro stessi lasciano inspiegate o ritengono socialmente inspiegabili: ad esempio, l'accusa a Susanna Martin ·(il cui processo è uno dei più drammatici che si ricordino), e quella, incredibilmente ardita, al ministro George Burroughs, che all'epoca si trovava lontano da Salem, fuori gioco, socialmente. Per altri aspetti invece i due autori offrono ampia quantità di informazioni; ad esempio, analizzano nei dettagli la lunga storia dei difficili rapporti dei salemiti con i vari ministri che si susseguirono al Village. Ma noh pare che queste difficoltà fossero radicate in tensioni collegate a problemi di proprietà terriera; anzi, si direbbe piuttosto ch'esse si innestassero nei conflitti ideologici e teologici così presenti nella cultura dei puritani d'America e così rilevanti nel quadro della loro vita sociale. Non a caso, come s'è accennato, fra i primi ministri di Salem - dal 1631 al 1635 - v'era stato proprio R9ger Williams, che sfidò le autorità dell'epoca creando un focolaio di forte dissenso con la leadership del governatore Winthrop e l'allineamento degli ecèlesiastici favorevoli ad un'ortodossia fissa e centralizzata. Quindi, se Boyer e Nissenbaum lasciano in ombra la situazione generale del Massachusetts e danno scarso peso specifico al ruolo della banda di bambine accusatrici e al loro rapporto con gli adulti, rivelano anche una carenza nell'analisi della cultura puritana e delle sue capacità di trasmettere determinati modelli di comportamento anche trasgressivo. Troppo poco evidenziata sembra inoltre l'importanza che nel feSi tratta di un'anamnesi lontana dallo stile medico: non è una pura raccolta di dati, pur fornendo una ricca documentazione; non è neppure una semplice messa a punto teorica. È anche questo. È di più: una lettura sintomatica delle vicende di una giovane disciplina neanche centenaria. e ome l'analista decide arbitrariamente di privilegiare un sintomo più che un altro, così pure fa lo storico nella sua le,ttura del passato. In questo caso il sintomo privilegiato è il malessere della psicoanalisi nei confronti del malessere nella civiltà. Il malessere nella civiltà - interpreto e traduco in un assunto la tesi della Vegetti - interpella la psicoanalisi e la psicoanalisi non può sottrarsi alla domanda. Non le si può concedere il privilegio di uno splendido isolamento perché su di essa converge «un'aspettativa di verità e di bene che non le permette di racchiudersi nella istituzione e nella trasmissione iniziatica». La psicoanalisi deve al sociale il suo sapere perché il sociale chiede - cosa che non trova altrove - verità (ma il bene non viene, purtroppo, di conseguenza). La nostra autrice reclama il pagamento di un debito della psicoanalisi al sociale che, per parte sua, assolve consegnando, per una pluralità di usi e ad una vasta gamma di utenti, la propria ricostruzione storica. Riguardo alla possibilità di rinomeno di Salem ebbero i gruppi di potere ecclesiastico dell'epoca - i Mathers da una parte, Willard e Brattle dall'altra - nell'intricato gioco che venne a configurarsi intorno alle accuse di Salem. Boyer e Nissenbaum citano ripetutamente Cases of Conscience Concerning Evi/ Spirits Impersonating Men (che fu sì dato alle stampe nel 1693 a Londra, come si dice ne La città indemomoniata, ma era già stato pubblicamente letto in America il 3 ottobre del 1692), un testo che prende le distanze dai procedimenti seguiti dal tribunale speciale: ma nominano appena Wonders of the Invisible World, pubblicato a Bo- ·stonil 15ottobre 1692, con cui Cotton Mather controbilanciava il prudente Cases of Conscience difendendo l'operato dei giudici e sostenendo la validità della prova spettrale sulla base di un grossolano e frettoloso rifacimento dei verbali dei processi. Il problema della prova spettrale, inoltre, che fu alla base delle condanne del 1692 - e consisteva nel conferire validità di prova alla presenza della strega in forma spettrale, denunciata dalle persone tormentate- viene appena sfiorato da Boyer e Nissenbaum, i quali per principio si astengono da una visione d'insieme dell'episodio di Salem. spandere a questa sollecitazione occorre tuttavia fare un'obiezione: da quale etica dovrebbe sentirsi interpellato chi «fa» l'analista quando gli si chiede di rispondere ad un'aspettativa di verità e di bene? Da un'etica sostenuta da una scelta individuale oppure da una comunità che si riconosce come tale? Al presente può rispondere solo l'etica dei singoli. Gli analisti non sono unificati da un'appartenenza comune - fatta eccezione per la soluzione istituzionale - fondata sul riconoscimento interno e l'esistenza di un legame sociale; dunque non possono rispondere di un'etica collettiva né di una teoria o, meglio, di un sapere. Non c'è nessun accordo, ad esempio, su concetti fondamentali come quello di inconscio o di transfert o di Io. Alla disgregazione, etica e teorica, l'istituzione risponde con una stretta corporativa. A questo proposito la Vegetti nota: «Si tenta ora di recuperare, al di là delle differenze, ciò che unisce tra loro i membri di una società professionale e culturale che si sentono peraltro accomunati ·dalfatto di svolgere lo stesso lavoro», vale a dire «psicoanalizzare» (pag. 415). Questo tentativo di pac_ificazione, che avviene all'interno della Spi, tende ad un'efficiente formazione professionale, ma non ad un impegno sociale. È una scelta comprensibile in una logica conservatrice: i tentativi di creare legami sociali fra analisti fuori dell'istituzione Il risultato di tutto ciò è piuttosto deludente per chi si accosti a La città indemoniata conoscendo i documenti dell'epoca, ivi compresa la famosa mappa di Upham, fondamento dell'intera ipotesi degli autori. La delusione nasce anche dal fatto che Boyer e Nissenbaum nominano soltanto una piccola parte delle persone processate, così che il lettore non avvertito ha l'impressione che i processi riguardino i soli abitanti del Village (anche se in parte «forestieri»: ma quanti non erano «forestieri» nella mobile America di quell'epoca?). A chi si sia addentrato nelle particolareggiate cronache americane appare chiaro che il modello di comportamento delle giovani accusatrici di Salem è di estremo interesse ai fini d'una lettura antropologica e, in senso più lato, culturale, della prima America. Esso rivela una terribile tensione fra generazioni, ed una ancor più terribile tensione all'interno dell'universo "femminile;fa pensare a un proposito di rivolta contro l'ideologia dominante «alta», organizzata mutuando a questa stessa ideologia modelli trasgressivi, poi ampliati e fusi con una componente «bassa», popolare. E dimostra come soltanto attraverso la coesione del gruppo e dietro la maschera dell'isteria potessero affiorare determinate realtà antropologiche e psichiche, le quali si alleano certamente alle tensioni sociali ed economiche, ma non possono ragionevolmente venire disgiunte da esse. La caccia alle streghe è anche una prepotente caccia al potere, alla libertà d'espressione e d'invenzione; l'anomia che si stabilisce a Salem nel 1692consente il gioco e il racconto, la favola e il sogno,,e anche il delirio e l'epifania. Molte accuse e testimonianze- delle bambine, ma anche di altri - vanno lette come irruzioni dell'inconscio; altre come brandelli sparsi d'una cultura popolare sottesa ai rigidi modelli inculcati dal puritanesimo; altre ancora, come rigurgiti di desiderio che trovano una via d'uscita grazie falliscono e quando vengono tentati rappresentano una sfida stimolante che rasenta l'impossibile. A quale etica - sostenuta da quale comunità - appellarsi allora per indurre gli psicoanalisti a rispondere della «pertinenza» della psicoanalisi al sociale? La dimensione etica della prima comunità analitica - un'idea forte che rende forti - è andata smarrita. L'appello va quindi girato ai singoli che a titolo individuale possono testimoniare di saperla ancora difendere. Valga per tutti il nome di Elvio Fachinelli. A ragione la Vegetti gli dedica le ultime pagine dei suo testo. Si potrebbero fare anche altri nomi, magari meno noti perché fuori del circuito dei media. Se la psicoanalisi deve e può restituire pensabilità al presente e progettualità al futuro, come auspica l'autrice della Storia, oggi va interpellata attraverso i singoli che si autorizzano a parlare in suo nome. Senza essenza, come lafemminilità o la donna - la psicoanalisi reinventa - deve reinventare - un'etica (cioè un sapere e uno stile) ogni volta che un analista diventa tale. È il primo debito, non immediatamente ma certamente politico, da pagare. Silvia Vegetti Finzi Storiadella psicoanalisi Milano, Mondadori, 1986 pp. 433, lire 22.000 alla momentanea assenza di repressione. Infatti lo status di «creatura tormentata» poneva l'accusatrice in una condizione di eccezionalità che le consentiva di dire qualsiasi cosa e di compiere qualsiasi gesto. In un certo senso, quindi, si trattò anche di una prepotente affermazione del «basso» psichico rispetto ali'«alto» razionale: di una ribellione della psiche contro la cultura. Quel che rende ancor oggi importante l'episodio di Salem è, fra l'altro, la grande quantità di documentazione scritta che ci è pervenuta; ma, ancor più, l'esemplarità del fenomeno nel quadro della storia della cultura americana - ossia il suo meccanismo innestato sul dissenso e sul consenso, sulla trasgressione dei modelli seguita da una ricomposizione dei conflitti. L'America odierna, che si direbbe così lontana da quella di allora, ha interiorizzato le forme antiche, strutturando dentro di sé le dinamiche sociali e antropologiche che vediamo scattare ancor oggi dinanzi all'enemy within, al nemico interno, quel «Demonio avversario che si aggira come un leone ruggente cercando quelli da poter tormentare, ingannare, e divorare» (cfr. 1 Pietro, 5, 8-9), e contro il quale si rimette in scena il dramma della battaglia e poi della ricomposizione sociale. Appunto, la ricomposizione: perché nel 1711 le condanne di Salem furono formalmente revocate dalla Corte Generale del Massachusetts, le vittime riabilitate, i loro familiari risarciti. Tutto era accaduto a cal\sa, come disse la Corte, «dell'influenza di Spiriti Maligni, che ... agendo su coloro che furono i principali accusatori e testimoni, giunsero sino a trascinare in giudiziopersone di fama notoriamente irreprensibile». Così il reato di stregoneria scomparve dagli atti giudiziari, confondendosi indelebilmente con un'altra, ben nota forma di devianza: l'asservimento ad altre culture e la credenza in altri princìpi che non siano quelli su cui si regge la comunità.

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