Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

da parte mia. Nessun'altra chiara indicazione, oggi, della sua ambivalenza che mi permetterebbe di collegarla alla dicotomia lettino-analisi/poi trona-auto-analisi. Devo respingermi dentro la tentazione di dirle quel che so essere per altro verso, perché so che non è emotivamente pronta per capirlo, sebbene intellettualmente non solo lo comprenderebbe benissimo, ma sarebbe addirittura deliziata di sentirselo dire. Penso ancora e aspetto. Lo metto da parte nei magazzini della memoria fino alla seduta - domani, la prossima settimana, fra un mese - quando quello che ha un senso adesso per me avrà senso anche per lei. Il sigaro Come disse una volta Freud: «Un sigaro a volte è soltanto un sigaro!». Davvero? Essendo un accanito fumatore egli stesso, forse in questo campo non era del tutto attendibile ... Se tutto significa sempre qualcos'altro- il sigaro un pene, l'analista il padre, il padre la madre, la bambola il bambino, il bambino il seno, il seno il fallo, ad libitum - se tutto è qualcos'altro, allora nulla è e dobbiamo ricominciare daccapo. L'oggetto estraneo Oggi, per la prima (ultima?) volta, mia figlia è entrata nel mio studio mentre ero con un paziente. Un misto in me di tenerezza e rabbia, un senso d'impotenza a controllare la situazione - inevitabile che si verificasse, prima o poi, essendo il mio studio solo parzialmente isolato dalla mia casa, la mia vita professionale solo parzialmente distinta dalla mia vita privata - e pure anche un senso di profonda dolcezza. Mi scuso, una rapida frase, con il paziente, la prendo in braccio - e solo adesso mi accorgo, sentendola contro.di me senza guardarla, nella fretta, che è seminuda. Mi chiama daddy, e mi parla del suo dito: forse si era fatta un po' male e voleva da me un bacino, come è fra noi consuetudine, sulla piccola ferita. La accompagno dalla mamma, alla cui sorveglianza era per un attimo sfuggita, entrambe incredule. Torno, indispettito, sereno, confuso un poco, al lavoro. Cosa significa, a questo punto, che «torno al lavoro»? Significache tomo dentro al rapporto terapeutico con il mio paziente, dopo esserne per qualche istante uscito fisicamente ed emotivamente. Rientro nella stanza portando un nuovo bagaglio, quel mio turbamento, quel poco di confusione, quel senso di tenerezza, insolito e imprevisto, eterodosso rispetto alla norma del rapporto, della situazione, dei ruoli, del «contratto analitico». Qui il mio problema consiste nel gestire questo elemento sconosciuto, e in quanto tale terrificante, sfruttandolo terapeuticamente. Cosicché l'oggetto estraneo - il corpo di mia figliabambina e la sua voce ed il mio momentaneo assentarmi dalla seduta - sia assorbito e integrato creativamente, e non negato o manipolato, nel processo terapeutico; e anziché costituire distruttivamente un ostacolo al suo proseguimento, ne diventi anzi una forza propellente. Ecco che allora il mio paziente, così spesso taciturno e chiuso a quasi tutto, sboccia a raccontarmi di suo padre medico, dedito al lavoro più che non alla famiglia, dello spazio proibito e dunque magico nella casa sua d'infanzia fra le stanze d'abitazione e lo studio professionale del padre. Lo stesso senso d'eccitazione, il mio, di quello che prova lo scienziato che si trovi per caso a contatto con un nuovo imprevisto fenomeno, che sembrerebbe allora confutare la teoria, mentre se è invece adeguatamente inserito nella teoria stessa, può diventarne paradossalmente la prova conclusiva. Lo stesso creativo piacere, il mio, di quello provato dal musicista che, suonando per errore una nota falsa, se ne serve in positivo come punto di partenza ed appoggio per un'improvvisazione. Anzi, forse ogni improvvisazione, ogni creazione nasce proprio dall'errore, dalla presenza inaspettata e sorprendente di un elemento diverso - la nota falsa nell'esecuzione del musicista, il fenomeno imprevisto nella ricerca dello scienziato, la bambina che compare innocente alla porta durante la mia seduta psicoterapeutica - e da essa prende sostanza. Ascoltare ancora Ascolta: le mie orecchie sono aperte per accogliere qualsiasi cosa tu voglia dire. (L'interruttore è in posizione «on»). Ti sento. Sto ascoltando. (La spia luminosa è accesa). Non preoccuparti' della mia attenzione; sta liberamente vagando vicino ai tuoi pensieri e sentimenti, vicino ai tuoi rumori e ai tuoi suoni. Imparare ad ascoltare. Ho anche imparato che nulla può davvero sorprendermi; ed ho imparato che quando avrò perso la capacità di lasciarmi sorprendere avrò anche perso la capacità d'imparare. Eppure non puoi nemmeno darlo per scontato e arrivare troppo presto alle tue conclusioni. No: goditi la possibilità di starlo a sentire anziché dirlo tu stesso. Rifletti, considera, riconsidera. Le sue prossime parole potrebbero fornirti la soluzione. O forse no. Hai davanti tanto tempo. . Due chitarre spagnole cantano e si ascoltano a vicenda. La nota psicanalista seduta fra il pubblico chiacchiera all'orecchio di una giovane collega. Concerto stupendo. Non lo sentono. Forse stai ascoltando quel che dico senza comprenderlo, ma non lo potresti comprendere se non l'ascoltassi. Una donna mi dà un disco perché io ascolti la musica invece delle sue parole, che riteneva fossero per me insignificanti. Desiderava esser lei stessa il disco. Nel silenzio -fra le parole - puoi ascoltare l'orologio, lo scricchiolio dei mobili, il battito del tuo cuore. Puoi ricordarti qualcosa di dimenticato, scordare il resto. Puoi restare a pensare, goderti la pazienza e scoprire la tolleranza. Un uomo mi disse che suo padre non chiedeva mai nulla, ma ascoltava quando gli si parlava; a suo figlio non disse mai nulla di sé. Era solo, la sua vita intrappolata nella cassa toracica. Un'altra donna mi diede un disco perché amava quella musica e amava me. Tutto qui. C'è un certo gusto perverso - un voyeurismo spostato lateralmente di una decina di centimetri - nella gioia di ascoltare gli altri: una curiosità di sapere, di paragonare le loro esperienze alle tue e scoprire l'identità fra le differenze, la diversità fra le somiglianze. Vuoi trovare te stesso nelle loro parole; ma questo non devi saperlo, altrimenti non le puoi ascoltare. Un altro uomo mi disse che sua madre voleva sempre sapere qualcosa di lui, ma non appena cominciava a dirglielo, ella smetteva di ascoltare. Voleva che lui le parlasse, ma aveva paura di starlo a sentire. E poi ci sono tutte le menzogne, e devi stare ad ascoltare anche quelle perché è solo in esse che potrai scoprire la verità del bugiardo. Inspirare ed espirare. Brontolar di stomaco. Ascolare il formarsi dei sogni ed il crescere della paura e lo sciogliersi dei ghiacciai; ascoltare l'alzarsi delle maree e le voci nella terra di nessuno. (Bruciano il libro all'indice sulla pubblica piazza. C'è chi protesta, chi osserva a distanza, chi ci si scalda, chi ne raccoglie frammenti anneriti.) GianfrancCoiabatti Catalogo della danza (e di altro. Per intervalla di un lessico topico) a Gianfranco Pala critico dell'economia politica Cos'è il privato? Essendo, si sottrae al nostro nominarlo, lui, plaga di cesure disertate dal vento, non sappiamo chi sia (se non è senso di chiusa sfera che se stessa includa). Se lo dici, lo estrinsechi pubblico oggetto dell'indagine o vessillo. Nell'un caso e nel/'àltro, il privato non è. Frantumato l'involucro pubere in crepitii di bave disseccate, sgusciai fuori al volere, operaio senza agone, amante irrituale (così almeno, negli acerbi mattini, verba incompiute e scarse mi obbligavano a dire): contro me si erse tutto il villaggio. I miei leni coetanei puntarono a nozze, a funzioni. Chi era nel privato? io che oscuro me solo conobbi ove sangue alienato fluisse nel brulichio del tempo? o pur essi, gli intenti ai fatti loro, al posto? E chi era nel pubblico? io, privata larva d'elezione, se mai ve ne furono, pubblica dalle risse immanenti coatta, o i già pubblici per nascita e persuasione? Miseri i segni, misero lo studio della sapienza. Unica res, infine, liberata dei glossici veli, si aperse la lotta. Privato e pubblico, personale e sociale e tutte le altre fictae binarie opposizioni caddero al mio respiro adolescente stretto a vincere o a perdere. Millenni prima era stato detto. Il carnevale arde i pupazzi impagliati. Officiante da meno, l'ideologia rovescia l'ente in mera effigie, riflette il carnaio ch'ella nutrita nµtre, il ventre della vita, e inscena intero - il falso ministrante della parte feroce del vero. Chiami crisi dell'ideologia la substantia d'imperial verminaio. Chi nella forma figurò la danza del capodoglio (che tonfa la sua mole umida e lustra in clamorose stasi di canto e di silenzio) ne tacque il morbo già riconoscibile al primo sguardo nella nera facies, omissione sospetta, eccitante suspicione legittima contro la danza (presunta tautologia, taciuto linimento del dolore o accento stridulo del ludus di Narciso). Se della danza vedi l'inessenza, l'eteronomia, e nondimeno danzi, sarai lo gnomo dentro i minerali che dietro lo splendore delle vene cunicola effrazioni. Siamo giunti alla lotta attraverso la danza là dove già eravamo (riconosciamo i luoghi!), da una parte che sia, nostro malgrado o assenso. E se danzante sull'universo sintono ti tieni, caparbio non edotto, o, virtù rattrappita, alimenti la tua paralisi appartata, insisti te nolente sull'una o l'altra banda della lizza, come un giorno vedremo, o tra poco (poi che pare smarrita la memoria di che ieri si vide). Ti timane, intelletto, la tua restrizione in un corpo qualsiasi, grano di duna, pulviscolo di nembo, in due scempiato, e alla luce di questa divisione dimettere la spoglia che chiami privilegio, maschera che agli accoliti ti svela nell'antro rituale, ma ali'esterno (ai tuoi occhi occultato) ti occulta. Potresti giungere per altra via, sui campi già culti ove morte vedesti, tu dici, d'ideologia mostrare tundre alla tua libertà e alla tua scienza, franche cacciatrici che limite non frena che non sia fiera di guerra, di contraddizione da guardare negli occhi, poiché vuoi che si renda fede alla tua visione - se non fosse, la tua, nuova menzogna che mentisce morte le menzogne. E non puoi. Estinto del signore il soma e il nome nella urlata percussione del messo in livrea, si vuole estinto lo stato servile, ma è l'araldo dell'arbitrio petulato che ora mima a discrezione sua la manumissio. Dadi truccati. Il gioco si fa greve. Nel ridotto crollante di detriti ariose mani artigliano l'impugnatura della negazione: temerarie, se i bari estenuati possono contare sull'inerte preesistenza del mondo, e le aguzze vedette dietro la feritoia dalla loro hanno tutta la forza del mondo che ancora non è. febbraio-marzo 1986

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