Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

Einaudi ThomaBsernhard Gelo Il romanzo che ha rivelato Bernhard racconta una drammatica partita a due sullosfondo primitivo di un villaggiodi alta montagna. Traduzione di MagdaOlivetti. «Supercoralli », pp. 272, L. 28 ooo SamueBleckett Mavl istomadl etto Un'altra tappa del viaggio di Beckett verso i confini dell'indicibile. «Nuovi Coralli», pp. 83, L. 8500 I librdi iBorges Nel 1955 Einaudi rivela Borgesai lettori italiani pubblicando Finzioni • nella traduzione di Franco Lucentini. In catalogoanche EvaristoCarriego,Manuale di zoologiafantastica, Cronache ai BustosDomecq e due libri di poesie: Carme presunto e Elogiodell'ombra. BohumHilrabal Inserzionperunacasa incuinonvogliopiu abitare La riscoperta di Hrabal: tanti piccoliCharlot ricorrono a surrealismoe humour nero, chiacchieree fantasia per sopravvivereallostalinismo. «Nuovi Coralli», pp. 143, L. 1o ooo FranTkhiess Tsushima Il romanzodi una leggendaria guerra navale, con una cronacadi Luigi Barzini, inviato speciale sul teatro dello scontro. «Gli struzzi», pp. xn-451, L. 20000 Carmeenaltrriacconti diProspeMrérimée nella_traduziodniSeandro Penna Con un saggiodi Cesare Garboli, Pennasecondo Carmen. «Scrittori tradotti da scrittori», pp. 261, L. 9000 ArthuSrchnitzler Anatol La raffigurazioneironica e commossadella fine di un'epoca nel primo lavoro scritto da Schnitzler per il palcoscenico.A cura di PaoloChiarini. «Collezione di teatro», pp. xvn-91, L. 5500 NorthroFprye Ilgrandceodice Il linguaggio,il mito, la metafora nelleScritture e la loro influenza immaginativain letteratura. «Paperbacks», pp. vm-306, L. 28000 ManliBorusatin r Artedellameraviglia Automi, mostri, cassette magiche,opere colossali, grandi macchine: tecniche e immaginario dellameraviglia,dal '500 al '700. «Saggi», pp. XXI-I75, L. 28000 ,. ca in te: un certo torpore, un bisogno di guardare con gli occhi e l'attenzione in una direzione diversa, un senso di apatia o d'insofferenza. Ma tu puoi esser certo di almeno due cose: innanzitutto di non essere il primo a subire in sua presenza quell'uggia spiacevole; e inoltre che lui, nella sua ansia e nella sua frustrazione di non riuscire a comunicare con te, è altrettanto solo di quanto lo sei tu nella tua noia. E sai anche che lui non può rompere il cerchio ed uscire dal suo isolamento, ma tu sì, anche se adesso quella sensazione insopportabile sembra paralizzare ogni tua facoltà di reagire al torpore che si è insediato in te. La mente ti vaga altrove. La sua voce· risuona sbiadita come un'eco nel sottofondo, priva di contenuto. Sai che dovresti esser lì, eppure sei altrove. Ma dove? Se cerchi dove sei finito con la tua fantasia, forse troverai dove saresti dovuto essere, perché la direzione del tuo divagare può fornirti indicazioni sul significato dell'ansia a cui avevi cercato di sfuggire. L'ansia tua con cui devi restare per poter capire; che devi capire per poter risalire alla sua origine non solo in te stesso, ma in chi te la fa inconsciamente provare. Allora hai il diritto di lasciarti un attimo andare, di seguire il flusso dei tuoi pensieri, dimenticandoti del tuo paziente e della sua ansia é: di quella tua, di permettere alla noia di diventare altro. Così che puoi, analizzando infine questo «altro» in cui la noia si era trasformata, superarla, cioè risolverla e continuare il lavoro terapeutico che, in fondo, non s'era affatto interrotto. Osservo il desiderio intrecciarsi al vissuto ed al sogno. Ogni atto di creazione, allora, consiste in questo avvicendarsi e mesc.olarsidi cose e di parole dette con altre non dette ma solo pensate; nei personaggi veri e improbabili di questo mondo e in quelli altrettanto veri che pur non sono mai stati ma sarebbero potuti o dovuti o voluti essere. Trascegliere, poi, gli uni dagli altri, il sano dal folle, il sogno della farfalla o la farfalla del sognatore, la storia, insomma, dalla letteratura, è compito che non sento mio; magari temo che sia menzogna lasciar p!}rlare la fantasia, che sia presuntuoso dar corpo - sia pure di carta e parole - ad una produzione della mente anziché ad un'osservazione, coi sensi, della natura. (Una mosca, or ora sul davanzale della mia finestra, s'è impigliata senza scampo nella tela perfetta e tremenda d'un ragno. Ma il ragno non c'è, chissà chiuso in un buco o emigrato ad un'altra finestra o mangiato da un passero, e la mosca morrà senza scopo che noi si conosca). Le parole, dette ascoltate o scritte - queste stesse ad esempio - sono il tentativo di comunicare con precisione un qualcosa che per sua natura preciso non può essere. Come il sogno, dunque, come il sintomo, la poesia, il lapsus, la parola è una costellazione di simboli; e la sua lettura è sempre nulla più - ma nulla meno - che interpretazione, cioè espressione creativa, a cavallo fra letteratura e qualcos'altro. (La sua paranoia consiste nella convinzione che altri cerchino di farle credere di essere paranoica.) .Ascoltare La stanza è poco illuminata. Ascolto, al di là del turbamento, senza volere né potere coinvolgermi sul piano del reale. La mia mente si distacca assorta verso associazioni v~rbali forse insensate, simboli, assonanze; i miei occhi posano uno sguardo sottile sul piccolo vetro dipinto che mi sta dinanzi, raffigurante quattro donne persiane modestamente velate e un neonato.che dorme, forse cullato dalle loro braccia raccolte intorno a lui; le mie gambe annoiate si slacciano per riaccavallarsi subito dopo su un altro angolo della fin troppo soffice poltrona. La voce, sommessa e ormai quasi privata di una bocca, una lingua, un'ugola, corde vocali, fiato, saliva, polmoni, vibrazioni sonore, in-. somma senza corpo, continua a salire verso di me dal cuscino deserto del lettino alla mia destra su cui sta distesa la mia paziente. Ecco, ascolto. Ma riesco ad essere presenza disponibile di un recipiente per il dolore? Ma son davvero in frantumi ai nostri piedi le barriere di mille paure, inibizioni, dighe, censure, tabù, resistenze, timidezze? La mia fronte si accorge di compiere impercettibili movimenti verticali d'assenso. L'orologio elettrico bianco e nero a pile, sul tavolo a qualche metro da-me, fa sentire in una pausa di silenzio che pare eter~ na l'indifferenza monotona del tempo. Dal cuscino marrone la voce riprende la sua ascesa, più libera questa volta, dopo la breve sosta, dopo il breve riposo al traguardo occhi le sue orecchie i suoi genitali i suoi piedi i suoi sensi a tradire il silenzio. Nessuna spia o testimone. Solo un'alleanza, una duplice intesa. I canali della disperazione, l'orizzonte di segni, simboli, segnali. Comunicare, fra due entità inedite, senza riflessi né tempo né nulla né il contrario di nulla, dove tutto è ammissibile e ammesso. La logica dei sogni e la loro poesia, gli errori della memoria, le interpretazioni della fantasia. Rapidissimo un passero trascorre oltre i sei piccoli vetri quadrati della finestra, dietro al tavolo. Noto frammenti di tabacco, un fiammifero usato, una piccola mosca appena prima di riprendere il volo dal portacenere. Ascolto, ancora, storie di un licenziamento traumatico, una fuga, un aborto, una separazione, addio. Forse, penso, dovrei dire qualcosa (ma cosa?), offrire lo spunto di una connessione, svelare amicizie di fatti, parentele di emozioni. Tradurre. Invece osservo, resto, ascolto. Non avanzo, ma senza indietreggiare; non commento, ma senza distrarmi. Ma sì che mi distraggo, l'ora sta per finire, sento sulle scale i passi in anticipo del prossimo paziente verso la sala d'aspetto, penso a quanto mi rende, all'assegno da versare in banca, alla pas- «Turba Philosophorum». Disegno dal Rosarium Philosophorum, di Amsterdam parziale. Qualche impennata, forse carica di amarezza o risentimento o di quella tristezza antica di cui son pervasi rimorsi e rimpianti. Una nota più acuta, quasi un falsetto, una speranza nuova di ripresa; ma la depressione che mi sta stesa sulla destra con il suo respiro regolare non si ritira, non si discute, non si accetta né rifiuta. Ricordi di scuola, di genitori e fratelli e la sorella uccisa bambina dalla giostra al lunapark, come nel brutto sogno di un brutto libro. Ma è vero, e rode dentro, senza mollare la presa, senza lasciare impronta tangibile, come un tumore al negativo, il letto d'un fiume disseccato. Ascolto, cose che già so, ripetutemi mille volte, ogni giorno, da mesi, fra le tre e le tre e cinquanta del pomeriggio, in mille modi diversi. Le parole si associano e ridissociano, si slacciano e riaccavallano. Sì, mi dico, non ho dimenticato di staccare la suoneria del telefono, né di tirare la tenda fuori della porta. Ancora, lacerante, il senso di colpa del tentato suicidio, il risveglio dall'incubo. Nessuno, fuori di qua, oltre la tenda oltre la porta, mai saprà, nessuno tenderà i suoi seggiata dei cani, al figlio di cui sarò padre fra due mesi, la festa di compleanno di un amico, il matrimonio di un altro a cui sono invitato sabato prossimo, il tempo di questo fine settembre luminoso che sta per cedere all'autunno. La voce si ferma, indugiante fra i capelli sul cuscino marrone. Guardo le piante della stanza, nei loro vasi tutti uguali di terracotta dipinta di bianco, hanno qualcosa di mediterraneo, del fresco che abbonda nei paesi caldi. Le ultime frasi prima-dell'interruzione, tanto poco desiderata quanto temuta o evitabile, del nostro incontro quotidiano. Raccolgo in un'ultima affermazione pochi semplici bandoli dei fili dipanatisi, anche oggi, nel nostro rapporto. Alza i capelli dal cuscino, raccoglie da terra la borsa e gran parte della sua timidezza, per portarsele dietro nel suo viaggio nel mondo, fuori di qui. Lascia, al suo posto, sogni e fantasmi e un guanto di lana, dimenticato fino a domani. Fa la comparsa il sole, oltre la fila di tetti su cui s'affaccia la stanza. Il tempo, appena, di provare per lei quella strana pietà che si ha di solito solo per chi è quasi rassegnato, o per se stessi. L'accompagno alla porta. Fra dieci minuti il paziente delle quattro. L'aula magna L'aula magna dell'università gremita. Tre o quattro registratori a cassetta portatili sulla cattedra. La grande lavagna sulla sinistra zeppa di formule, numeri, simboli, frecce, segni, frazioni, radici, sigle. Siamo in attesa che arrivi. Arriva. Una giacca bianca, sembra di seta, col colletto rotondo, chiuso, forse allora non è una giacca, ma una camicia. Capelli grigi, impeccabilmente pettinati all'indietro. Una certa emozione, fra noi. Gli occhiali profilati d'oro. Un suo commento scherzoso, per aperitivo (nostra risata eccessiva e liberatoria), su «quelle macchine» sulla cattedra davanti a lui. Comincia a parlare, ogni tanto sollevando il braccio a indicare la lavagna alla sua destra, benché il suo discorso non sembri in alcun modo essere in relazione alle scritte misteriose di gesso. Ho l'impressione di trovarmi in tenebre trafitte qua e là da un improvviso bagliore, un'illuminazione appunto (o l'ho sempre saputo?), prima di ricadere nel buio. Un altro gesto convinto verso la lavagna, gli ultimi dieci minuti di buio e folgorazioni. Ha finito. Scroscia l'applauso. Null'altro ricordo del mio unico incontro con Jacques Lacan. Il camaleonte Il rischio di percepire qualcosa di assente è comunque inferiore a quello di ignorare qualcosa di presente, nascosto, camuffato. Un camaleonte che allucina l'assenza di altri camaleonti, di se stesso, fino a scomparire come presenza mimeti- - ca per rinascere reale come una fenice. Mi sforzo disperatamente di cogliere quel che disperatamente si sforza di essere colto. Incontro possibile e difficile. Poltrona e lettino Entra, il cappotto sul braccio sinistro, la borsa ed un libro nella mano destra. Lascia tutto sulla poltrona di fronte a quella su cui siedo io e si distende sul lettino. Dalla mia posizione il libro è ben visibile («patologicamente ben visibile», mi verrebbe quasi da dire), proprio dinanzi ai miei occhi, facile per me leggerne il titolo a grandi lettere: AUTO-ANALISI. Penso e aspetto e penso ancora. Attendo da lei un'apertura che mi consenta di far passare lemie interpretazioni: sta cercando di farmi capire -penso fra me e me - che nei miei confronti prova ambivalenza, una parte di lei distesa passivamente sul lettino e bisognosa della mia presenza rassicurante, della mi'àvoce priva di corpo alle sue spalle; un'altra parte che lotta per affermare la sua indipendenza da me e da tutto quello che rappresento per lei nel nostro rapporto, seduta con coraggio di fronte a me nelle sembianze d'un libro, mi guarda negli occhi e mi fa sapere senza dubbio alcuno che non ha bisogno che io la analizzi perché lo sa fare benissimo da sola; e Karen Horney, la nota autrice del libro, è lì in sua difesa. «Mi stendo sul tuo lettino», sembrerebbe quasi che mi dicesse, «per l'analisi, ma mi servo della poltrona per l'auto-analisi. Devi prendere in considerazione entrambi, la bambina che vuol crescere e l'adulta che vuol regredire, se vuoi combinare qualcosa!» In realtà, oggi non combino nulla. La seduta si trascina senza che mi si presenti l'occasione di offrirle la mia interpretazione bell'e pronta, pulita, probabilmente anche giusta. Nessuna apertura da parte sua nel materiale che mi presenta, a parte il libro sulla poltrona, nessuna interpretazione in proposito

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