Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

è tutto effimero ... paese grande, paese libero! Vieni, deh vien tra noi, old boy! In America, ti garantisco, farai quel che vuoi. Qui, in Iu-ess-ei - saprai finalmente, quel che vali e sei. Okay? Ma intanto, giovanotto, richiamo la tua attenzione sul numero 28. La cui immagine ... ». Vedo, vedo: possente ed agile. Mostruosa, scimmiesca - quando sul volto cala la saracinesca. Roba per orangutàn, 'sto football 'mericàn. Roba degna dei suoi spettatori: l'uman cervello, indove - è agli albori. Sgranocchian noccioline... , in alto, allegri, agitando bandierine. Senza fine, senza fine. Su comando~ metà verde e metà giallo, si fa lo spalto. E blu e rosso, poi, a scacchiera ... eseguon figure artistiche, eseguono- fitti in pattumiera. O vaccaeva, o vaccaeva. Niente tifo: ma che schifo, ma che schifo. Brigate rossonere, dove siete! Geni, geni veri al confronto, ma sapete. O fossa dei leoni: voi sì che ce li avete, i coglioni! Fatevi avanti, ultrà ... fari e simboli e campioni di civiltà... Quasi quasi preferisco il coltello, a un encefalo piatto 'me quello. La violenza negli stadi ... Ce ne fosse un po' di più, e meno scheletri negli armadi! Conta l'immagine, vero? Che paia bianco - quel che è nero. Bene, non ci sto. Vorrei di tutto quanto (di voi, dell'effigie vostra) fare un falò. Falò, falò. Lapida in SantaBabila Non c'è, ma dovrebb'esserci. In Santa Babila vergine e martire ... sorella a Santa Barnaba, sì. Secolo terzo, dì-O. Lapida in onore di chi: di Amatore S"ciesail tàppezziere, un dei pochi mazziniani a.s.aper morir bene. Addì:2-agosto 1851... disse tirémm inhgriz-..ç'e~a,·un-gran sole - e fu subitò'bùìo ... :.·:, In detta chiesa:_.eni-'st~t:ù.q'attezzato, e sempre in dètrà venne anche esequiato. In Santa,Babila, in Santa Babila, lo testimonia un documento di fede non caduca. Stilato dal regio imperial governo: che il Sciesa, appunto, spedì dritto all'inferno. O Austria Felix! Nel nome tuo si muore, e si parla, anche, 'me vulgo suole. Pe:;rché,cristo: chi tiene a finalevada tra femmine vada, non usurpi la natura maschia di Dio ed Uomo, e di Mefisto - cristo d'un cristo. Quanto alla lapida, beh: solo se ne indica tante, tien la parola una e. Lapide come tavole, non fa differenza, non contar favole. Ne ho avuto due testimonianze, del resto, prodigiose, storiche, per me fanno testo. Una - in centr'Italia, nel cuor dell'Umbria. Nell'umbilìco, se vuoi ti dico. Sul Trasimeno. Dove sai perché c'ero: a studiar le mosse d'Ànnibal fero. E mi disse un Magàra, un dei fratelli che (gratis) mi guidavan pei colli e la piana: «Qui il sangue scorse a fiumi. ..» mi disse. «Il giorno dopo, qui, le viti tutte eran vizze». «Qui?» «Qui, qui. Indove ce sta la lapida, sì». E l'altra è un po' più recente, ma non per questo, anzi più, avvincente. Commovente, éommovente. Pacheco il barboncino, nero, puzzolente, un amorino - Pacheco - 2t i :ili Se Ti ... Zr n ~ V Cr Nb «La mia padrona ... Quella gran scmrona ... ». «La disa piir purcona! Un aborto - un altro ancora?!» «Mavvà... ma ch'el va mai a pensà! Adesso ci spiego, ci spiego ... Si tratta - ma la disa no in gir, la prego! Si tratta di ... Del povero Pacheco». «Che m1 dice mai! Il grande amore, ahi ahi - ci ha dunque lasciati ... è volato, sicché, in cielo tra i beati. Bene, bene, bene, farù del mè mèj. Niente sarizzo, e! var dii ghèj. È sasso volgare, non degno di tanto cane. Lo uso pei cristiani, sa Petronilla: per chi sì e no va in balilla. Macché sarizzo ... ci vuole un porfido, qui - porfido rosa d'Egit- ... Mio zio. E mio cugino, che parla forbito, ammodino: «Son malandato, malandato ... Sai che mi han trovat: che è più piccolo·dell'altro, il reno di questo lat». Con ciò dimostrando che: si può esser malato fin che si vuole, neh? magari in punto di morte - ma tenere ancora tempra morale forte. Morale e grammaticale insieme, toccar vette di purismo supreme. Non è femminile, e neanche plurale - può esser tutt'al più artificiale: e allora perché rene, ti par proprio detto bene? Sodoma, Gomorra: la città corrompe, è la solita storia. E agli animali (perversione abominevole, senza pari) cambia, agli animali - persino, cambia, i genitali! Cane... 18 118 nl;\ l IVA i I v-. f vu. l VttA. I VIUA. I i$ Fe Co 4$ Ru Rh a Ni "' Pd 29 Cu ,\7 Ag s • '1 B - C N ....... - - - ~ ~ Zn Ga - - - 48 • :SO $1 Cd, In Sn Sb t He - t t 10 O F ..... - R Te ,1 Cl - - » t(t - -- - - - - -. - - - - - - $1 u Là Hf Ta w - - • Fr Ra Ac - - venne a morte, oh ria sorte. E la padrona, la gran signora, in paese, immantinente, spedì la servente. Che provvedesse alle esequie, che facesse mancar niente. Non i fiori, naturalmente. Né qualcosa di più consistente, che durasse eternamente. «Avrei bisogno d'un marmo, sciur Togn, d'una lastra. D'una lapida, ecco... Bela lustra, no un sass che raspa». «Grande come! Monumentale, le è forse morto il padrone?». «No... no ... ». «Peccato, peccato, la davo di regalo, per quel pirla pelat». «Piscinina... come, ecco - 'me per una bambina». «Non sapevo, Petronilla, teneste bimbi in villa». ~ 7' '17 71 Re ·os lr pt Moderna tavola degli elementi to! Con lettere dorate ... vedrà che lapida, vedrà - basta che pagate». Niente commissioni. Niente omosex, né fricchettoni. Pulita se ne stia la grammatica - sì ~ome la vita nostra ... integerrima, provinciale, tutta quacchera. A sessi e generi separati, puri come quando Dio li ha creati. A compartimenti stagni, senza scambi né giochi di mani. A ogni parola - un suo letto: proibitissima l'ammucchiata, ecco. Se uno è, che uno sia: che vai cianciando di uischi singoli, madonna mia. Senti che dice mio zio, gran bevitore al cospetto di Dio: «Ho preso un grappino, e prendo adesso un grappotto. Mi ci vuole, mi ci vuole, ho sul stomaco il risotto. Io non capisco, non capisco: 'me si fa, alla grappa - preferire un uisco!». • «l Pb BI ... Po es At • Rn cane ... qual sentina senza fondo di male. Qual viziosa lordura - o che sozza, o che turpe bruttura. Per fortuna - c'è la campagna ... la giustizia, là, regna sovrana. Rimette le cose a posto, neanche ai cani lascia si faccia torto. A posto, a posto. Per bocca, l'altro giorno, d'un bambino, tirato su benissimo dal mio vicino: «Io a me non mi piace il gatoo ... il gato graafiaa ... ». «Meno sempre della mafia». «Graafiaa». «Gràfia, gràfia. Che ti piace a te, giovane italiano». «Io a me - il cano !» Puro itèlian, stàil, non siam tedeschi noi, nàin, nàin. Niente K, vabbene? niente di niente, perciò, Kerosene. Ma che strane parole, la éittà tiene!». «Ma zia, che odore ... Con cosa carichi la stufa: non certo con carbone!». «Con caroseno, con caroseno ... Ma costa troppo, ne devo metter meno». Proibiti i salti di corsia, nella grammatica di casa mia. Maschile e femminile, singolare e plurale - si tengon paralleli, scorrono fianco a fianco nel traffico della frase. Senza mai urtarsi, è legge universale. Contro natura, ogni devianza o alternanza - ogni storpiatura. Figurarsi, poi, una troncatura ... Come tagliar via una mano ... un piede, come - a viva creatura. Cellofan ne è una: oh il sangue che perde, il sangue, la trista sua figura. E papà - lui era buono ... ne aveva, papà, pietà. Diceva difatti celofante: parola intera, completa ... teniamo, pure - teniamo pure elefante! Un tempo ci fu, che anch'io scrivevo bene, gesù. In prima, seconda ... in terza, anche, .elementare; poi mi chiusero in collegio, mi fecero, poi, rovinare. Un tema, ricordo in particolare. Dettato a botta calda, dalla maestra mia ribalda. In uniforme, stava - uniforme da gerarca. Tema: «L'Italia Fascista entra in Guerra». Per il benessere, si sa - della nostra Terra. Svolgimento: «Oggi 11 giugnio 1940, anno XIX dell'Era Fascista, ò ieri sentito il duce all'aradio. Il Duce stava a Venezzia, e gridava alla giente da un balcone. Il mio papà mi à poi spiegatto che rompeva il colione. Guera, guera, stramaledeta Inghiltera! E tFranciesi, somiliano da presso i Milanesi. Che quando vengono fuori, ci derubano verze, carotole, e pommodori. Quelli altri invece: Niza, Scorzica, e tanti bei resori». _«BravoGiulietto! Balilla perfetto ... Sarai tu, dorinavanti, a portare il gaglia~detto. Però senti ... quell' aradìo, come lo spieghi!». «Ciò messo la pòstrofa, signora maestra! Se andavo invece a capo- /o in fondo, scrivevo; e aradio sotto tutt'attaccato». Perché era maschile: tuonava tanto la voce, pareva così virile! Tempi beati, tempi per sempre ormai passati. Ora c'è confusione ... so più distinguere, procedo a tentone. Non c'è logica che tenga... non c'è etica. Non grammatica, né neppure, forse - matematica. Ah se paghiam cara (cara, cara!)-la scelta nostra democratica. Lucidafollia, 011.~he ragioni N on so se si tratti di sogno o d'altro. Ma già da parecchi giorni mi si para davanti una faccia fosca, dall'alta fronte stempiata: quasi minacciosa nella sua pensosità. Due occhi di brace, che frugano più di una lama di Toledo, una barba nera e dura, pure se accuratamente rasata, la circondano d'ombra. E proprio dove questa si fa più spessa, da lì, esce ogni volta un terribile verdetto, che io vorrei mi fosse risparmiato, tanto ha il potere di mettermi in agitazione. Ed invece, ogni volta, me lo prendo in pièno cuore. Nessun provvidenziale tappo viene in soccorso per impedirmi di udire. Nessun compagno si prende cura di legarmi per impedirmi di andare dietro a quel richiamo. «Se si potesse», dice ogni volta quella bocca oracolante, «essere a turno vittima e carnefice, ci sarebbe forse dato di godere di qualche piacere. Ma essere contemporaneamente l'una e l'altro! Lo vedrai tu stessa: è un vero inferno!». Non saprei enumerare tutte le occasioni in cui mi è parso di sentire pronunciare questo verdetto. Ma la costante, in tutte, è che non c'è mai preavviso, niente che mi possa fare correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Talvolta sul tram, altre volte in mezzo alla massa di gente che esce da uno ·spettacolo. Altre volte ancora, quando sono sola ed ho l'impressione di stare per piombare nel sonno. «Sono immagini ipnagogiche», ricordo infatti che mi disse una volta la voce pacata di un esperto, che somigliava stranamente a J .P. Sartre, al quale mi ero rivolta fiduciosa per avere dei lumi. «Da esse si fa precedere il sonno come da buoni angeli», cercò di rassicurarmi coi toni rochi del fumatore accanito. Solo che, a mano a mano che il tempo passa, questa annunciazione a me sembra diventare sempre più nera. Tento qualche volta di trattenere presso di me quella bocca oracolante. Proprio in questo momento (forse perché ne parlo) mi sembra di muovere a mia volta le labbra per chiederle aiuto. Ma come al solito, nell'istante in cui più ne avrei bisogno e mi vedo aggrappata a barlumi di comprensione come a fragili rami, non sento più niente. Mi pare allora che si faccia strada nel mio corpo una vaga sensazione di risveglio. E forse realmente mi sveglio. Come per una presagita maledizione mi ritrovo nello stato che prima quella faccia dalla pensosità minacciosa mi aveva descritto. Sono effettivamente gettata o issata, per non so quale motivo, nella piazza di una città. Ma così poco caratteristica! Potrebbe trattarsi di una qualsiasi città. Non troppo grande, forse. E qui, proprio qui mi tocca esporre non so che piaga a non so che colpi. Tocca proprio a me esporla, la mia piaga: su questo non ci sono dubbi. Ma devo farlo in modo tale che i colpi giungano a segno, precisi e leggeri come altrettante frecce. Ammirando la perfezione con la quale sono in grado di far giungere a ciascun bersaglio il suo colpo, chiunque si fermi a contemplare il mio povero corpo, che sembra quello di un S. Sebastiano offeso, ha pensieri di soave compassione davanti al mio martoriato costato, ma poi si rassegna a dire, come quelli che già sono venuti, come quelli che verranno: «Eppure è così, non poteva che andar così!». E tira un gran sospiro di sollievo passando avanti. Ma sia chiaro: il mondo sopporta la mia pena, che è la mia vergogna, solo per quei buoni colpi maestri che ho saputo assestarle. Da vero carnefice: mestiere da uomo, che non potrebbe sopportare più di tanto la pietà, per una buona esecuzione. E che cos'altro faccio io, in questa piazza che potrebbe essere la piazza di qualsiasi città, che cosa faccio se non offrire con discreto talento lo spettacolo di un civile supplizio? La freddezza, il distacco che mi sento dentro in quei momenti non fa che meravigliare ogni volta di più me stessa, prima di ogni altro. Mi dico anche, con un certo astio, misto ad orgoglio per il mio corag,- gio, quando sento tutte quelle facce che mi osservano: «Ma insomma, che cosa potrebbero desiderare di più di questi tempi? Non permetto forse a tanta brava gente di soddisfare in modo civile ed elegante la sete di barbarie? Non sono sempre io, di mia spontanea volon-

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