L'artificiodi.,coparmiggiani 11destino di Parmiggiani, emozionale-caratteriale altrettanto quanto creativo, a partire dai primi anni '60, è quello di un solitario, introverso çontraddittore che è nello stesso tempo aperto a captare con tesissime antenne la positività e la potenzialità di fondo, il momento e il modo vivo e pulsante, anteriore all'affatturazione e alla mercificazione, della sperimentazione concettuale (non solo di ordine linguistico visuale, ma anche ideistica e poetica, da Delfini ad Anceschi, da Balestrini a Villa) come precipitato e coagulo fra tradizione e rottura, artificio e naturalità, rigore logico ed enigma della casualità e dell'inconscio. Il filo d'Arianna è nella contraddizione: ad esempio nello Zoo geometrico del 1968, non solo fra la naturalità organica - ma oggettivamente «artificiale»- delle finte pellicce animali e le forme di geometria tridimensionale come espressioni di forma-logica pura, transumana e zodiacale, ma anche nella «performance» del viaggioin barca di quell'immagine, tangibile ma astrattiva, di una natura comunque altra e alternativa nella piena naturalità atemporale del fiume. E ciò fin dagli inizi, quando l'emersione dall'emozionalità pittorica del segno, del gesto, dell'evocazione fantasmatica fra luce e tenebre (che comunque ha lasciato e lascia lunga traccia nel pensiero-sensazione grafica) si è subito ribaltata nell'oggettivazione, fra allusiva e «trovata», degli assemblaggi altrettanto surreali quanto neodadaisti-neorealisti. Ed è subito attiva la compresenza senza tempo del mito antico e metafisico del frammento statuario per calco, dell'evocazione metaforica - attraverso il poverismo concettuale dei materiali didattici di consumo, il foglio di spartito, la cartina dell'atlante scolastico - dei misteri inespressi della musica e del viaggio, dei misteri espressivi del quotidiano degradato. In pochi anni, fino alle soglie del '70, è assorbito e contraddetto, concentrato in sperimentazione culturale, il «pavé» contemporaneo da Schwitters e Duchamp fino a Cornell e ai lati più genuinamente «rabbiosi» della pop inglese; contraddetti, e sarà difficile egravoso privilegio di Parmiggiani da allora ad oggi, da una «misura», fra logica e sogno e anelito classico-romantico, che approda ai libri-oggetto. M isura e contraddizione, alchimia e cabbala come tradizione fuori del tempo dell'antinomia classica e archetipica fra apollineo e dionisiaco, non banalizzata e dissolta nemmeno dopo l'approdo suHaluna o i viaggi meccanici e televisizzati fra i pianeti, sono la risposta-consonanza, con strumenti e forme e materiali paralleli ma alternativi, all'orgogliosa stagione italiana della concettualità poveristica, antropologica, della corporeità e del denudamento primario, da Kounellis a Paolini, da Merz a Calzolari. Al~ ternativa soprattutto nel rivestire la corazza della logica simbolica e dell'enigma poetico, dell'inconscio e del mito, della natura filtrata attraverso l'artificio classico e l'illimitato repertorio dell'immagine artistica. Non recuparata e tanto meno «rivisitata», ma reinventata, materiale fra altri materiali metamorfici, nel laboratorio dei concetti e dei sogni. Le chiavi del laboratorio sono accuratamente, quasi duramente nascoste e segrete, preservate dal «silenzio» stregonesco che incanta Anceschi. Per questo il confronto umano, il desiderio di comprensione simpatetica e non elusiva dell'uomo e dell'opera, è inizialmente difficile. Rileggere il dialogo (socratico? leopardiano? galileano?) fra Arturo Schwarz e Parmiggiani nel catalogo di Reggio Emilia di due anni fa: termini come «silenzio», «assenza», «sogno» (negazione della parola come guida e risposta, e concezione dell'operazione e dell'opera come domanda tesa verso l'infinito; cultura e storia scritta e visuale, tempo finito e materia circoscritta come stimolo-eccitazione «trovata» e non come esplicazionevalore aggiunto), «desiderio», «rebus», «interiorità», «segreto», meta-fisicità (ben altra cosa dalla metafisica rivisitata) sono ricorrenti. Ma non sono sintomi o simboli di rifiuto-rinuncia al comunicare, al significare, al dare-creare forma; sono vibratili, labirintiche proiezioni mentali sacrosantamente erette contro ogni eteronomia finalizzata, organizzata, preconfezionata - appunto - della creazione e della comunicazione, contro i giochi di squadra della critica-sartoria, contro il prodotto di immediata consumabilità mercantile, pubblicistica e ormai ampiamente museale. Di qui nasce la faticosa, ma assai stimolante difficoltà di un colloquio vero, non superficiale, con Parmiggiani, la strana e affascinante sensazione di partecipare ogni volta alla costruzione di una sottile ma tenace ragnatela mentale le cui fila si estendono da via Po (una scelta emblematica di approdo, separato dalle città dell'«haute couture» anche culturale?) alla bassa padana, dall'Egitto agli enigmi stellari. È una rete, un campo di forza mentale la cui pulsione interna Parmiggiani rivela e concede ad altri solo per minime tracce, quando estrae dalle cartelle del materiale grafico un foglio di illustrazioni di farfalle su cui la matita ha intessuto un'ombra di negazione (notte, «buco nero» spaziale) o ha metamorfizzato la microcostellazione cromatica di un'ala in una figurazione mitica, astrologica; o quando, nel piccolo studio-laboratorio che è il campo più immediato di espansione, diramazione, coinvolgimento di quella ragnatela mentale, annuisce all'altrui constatazione - da un momento di incontro all'altro - che un precedente connubio fra la «pittura scolpita» di un calco classico di gesso, maculato dai colori dell'iride, dell'arcobaleno, e una certa presenza «trovata» ed elaborata (carpugno ammatassato di cartina geografica; radice mandragorica di nobile provenienza greca), si è scisso, annullato. L a risposta disarmata e disarmante, comprensibile solo all'interno della ragnatela, è che, nel tempo fra i due incontri (un tempo «sospeso», nel rapporto fra Parmiggiani e l'interlocutore, in cui ciascuno dei due è vissuto e ha lavorato nel proprio flusso quotidiano; ma un tempo attivo nella pulsazione della rete), l'un componente del connubio ha rifiutato l'altro. Nella metafora della ragnatela (metafora nella trascrizione mentale e verbale) un filo si è rotto, e Parmiggiani, demiurgo ma anche specchio, non ha potuto che prenderne atto. Questa ragnatela, questo campo di forze unificato (dall'hic et nunc all'illimitato, non tanto metaquanto a-temporale, a-spaziale, astorico) defisicizza e decodifica (il codice della norma, della convenzione, della casella di gruppo e di tendenza) ogni specie di materiale operativo ed operato, «trovato» o creato o modificato, di ordine naturale o mentale o culturale. Foglio da disegno e carta preziosa da legatoria, con i suoi tracciati d'impasto e di colorazione misteriosamente evocativi, calco in gesso farfalla frutto radice, polveri colorate e carboncino e gessetto, riproduzione d'arte e tavola fotografica, foglio di carta da musica e cartina geografica, paesaggio giocattolo di latta e paesaggio di carta, disegnato e modellato fra seconda e terza dimensione. Ogni materiale è nello stesso tempo matrice evocativa e soggetto-oggetto malleabile dell'operazione, fantastica al di là dell'ordine e dell'istanza concettuale (che è però uno di quei termini-casella che, giustamente, Parmiggiani non ama). Una frase chiave di ParmigFrontespizio di Ulstadt, Coelum philosophorum, s.n.t. giani, nata dall'antica nobile arte retorica dell'allitterazione: «Il segno è il disegno del sogno». Nella rete pulsante, labili segni delJa quotidianità, materiali d'accatto naturali e artificiali, oppure all'estremo opposto segni e forme densi di cultura e di storia, proiettano stimoli, evocano potenziali fantastici sullo schermo sensibilissimo, rifrangente, del «sogno» di Parmiggiani, che a sua volta li foc_alizza nel reticolo alchemico del mondo delle forme: e intendo alchemico per la sua peculiare intrinseca equivocità di trasfigurazione e trasmutazione di natura, di pittura_ in scultura, di immagine artificiale in immagine creata, di memoria storica e collettiva in fantasma solipsistico, di astrazione logica in for-! mazione dell'ombra subconscia. Gli estremi del processo corrono (ma senza tensione o progressione; l'essenza di Parmiggiani mi sembra intrinsecamente antidialettica) fra l'abbinamento dell'alfabeto magico ed esoterico dell'antico scriba o del materiale di natura alla corporeità vivente, o l'impronta per assenza dell'idea-quadro sul muro del luogo deputato al rituale culturale, e l'attuale mimési scenica di natura e di artificio, di classico e di romantico, di forme e immagini che tracciano nello spazio segni e ritmi dell'ineffabile, che concretano e impongono al creatore quanto all'osservatore l'alterità del sogno. È forse per il pudore verso questa alterità che Parmiggiani ha tenuto nascoste per vent'anni le fonti primarie del suo sogno-laboratorio, i fogli grafici. Grazie ad essi, nel sogno che ricorda ma rifiuta come irrilevanti il tempo e la storia, le farfalle-anime palpitanti dalla tavolozza arcobaleno del Giove di Dosso possono tornare a posarsi sull'altra tavolozza, accanto al gesso solare della testa di Febo Apollo, nella circolarità senza fine dell'enigma dell'arte.
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