Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

RousseLl:eirise Roscioni Michel Leiris RaymondRoussel Bologna, Il cavaliere azzurro, 1985 pp. 131, lire 12.000 Giancarlo Roscioni L'arbitrioletterario. Uno studiosu RaymondRoussel Torino, Einaudi, 1985 pp. 121, lire 16.000 I nvitato dalla redazione di Documents, la rivista di Georges Bataille, a illustrare i motivi della sua partenza in Africa, come segretario-archivista della missione etno-linguistica Dakar-Gibuti (1931-1933),Michel Leiris fece risalire la sua prima attrazione quanto la sua prima immagine del continente nero all'adattamento teatrale del romanzo di Raymond Roussel, Impressioni d'Africa (Rizzoli, 1964) al quale aveva assistito da bambino: «Oltre a ciò che vi è di assolutamente geniale in tali costruzioni poetiche, l'opera di Raymond Roussel - senza che l'autore l'abbia volontariamente cercato - offre il doppio interesse di presentare: da una parte, un'Africa quale, o quasi, potevamo concepirla nella nostra fantasia di ragazzi bianchi, dall'altra un'Europa di fenomeni e di invenzioni strampalate qual era forse impressa nella mente di quelli che chiamiamo con disprezzo "primitivi"». («L'occhio dell'etnografo», 1931, in Forma di parole, VI, n° 1 e 2, 1985p. 179). In una nota, il futuro etnologo precisava inoltre che, contrariamente a quanto potesse fare credere il titolo del libro, Roussel non era mai andato in Africa quando lo scrisse. E nulla del resto sarebbe cambiato se mai ci fosse andato: da nessuno dei suoi viaggi, Roussel, pur essendo un grande intenditore di tale genere letterario, riportò mai un racconto di viaggio. In un così clamoroso rifiuto della trascrizione mimetica, frutto di un continuo sospetto per ogni tipo di scrittura referenziale (e prima di tutte quella autobiografuca) sta, forse una delle più singolari caratteristiche di uno scrittore che più di ogni altro seppe vedere ma vide sempre attraverso lo specchio dell'immaginazione. «[... ] per me l'immaginazione è tutto» ( «Come ho scritto alcuni dei miei libri», in Locus Solus, Einaudi, 1982):da questa affermazione, al limite del paradosso e della provocazione per chiunque conosca sia l'opera che la vita dello scrittore, partono i due libri che di recente l'editoria italiana ha generosamente regalato non solo ai fanatici «roussellatres»ma a tutti quelli che dell'autore vogliono sapere qualcosa di più preciso della sua enigmatica e spesso misteriosa fama. Non che la critica rousselliana fosse in qualche modo lacunosa. Esiste, anzi, una prestigiosa bibliografia che però non è mai riuscita a dissipare le incertezze che avvolgono il nucleo germinale dell'opera e tanto meno a ridurre un'attrazione alimentata dalla reiterata sottrazione dei testi ad ogni tentativo di riduzione, di svelamento di ciò che forse non è nemmeno da svelare nel suo semplicema anche irriducibile esserci. Basta ricordare oltre alla Vie de Raymond Roussel di F. Caradec (Pauvert, 1972), gli studi di Jean Ferry, il saggiodi M. Butor, Sur /es procédés de Raymond Roussel (1950 in Essais sur [es modernes, Gallimard, 1961) e il libro di M. Foucault, Raymond Roussel (Gallimard, 1963)e, per quanto riguarda l'Italia, gli Atti relativi allamorte di Raymond Roussel di L. Sciascia corredati da un saggio di G. Macchia, L'ultima macchina di Roussel, ovvero la luce, l'estasi e il sangue (edizioni Esse, 1971). L'interesse dei due volumi appena pubblicati, del resto totalmente diversi l'uno dall'altro, non è dunque di allungare una lista già di per sé molto cpnsistente quanto di orientarla '1~rso nuove prospettive, F I l_ T Cather ne Maubon due autori così affini nella loro radicale divergenza. Viene così esemplificato ciò che Foucault aveva intuito e che richiederebbe un ulteriore approfondimento: «Il est curieux de voir comment dans son admirable Règle du Jeu Michel Leiris fait du meme espace tropologique une expérience à la fois opposée et voisine (le meme jeu selon une autre règle): dans le glissement des mots qui contamine les choses [... ] il tente de recuillir la fuyante mais inévitable vérité de ce qui est passé. De tant de choses sans statut, de tant d'états civils fantastiques, il recueille lentement sa propre identir ~ J tiM\\~~mnnnuor.;:mnn,~m,1i1iiii,,111~ aprendo al lettore nuove vie d'accesso all'opera di Roussel. R iconosciamo innanzitutto il coraggio e ilmerito della piccola casa editrice Il cavaliere azzurro che ha permesso l'edizione degli scritti di Leiris su Roussel, per la prima volta raccolti in volume, augurandoci che ben presto ciò avvenga anche in Francia. Un volume (accuratamente tradotto da Sandra Nocciolini) all'origine del quale troviamo Guido Neri, appassionatq divulgatore dell'opera di Leiris in Italia e autore di una preziosa postjace nella quale mette a confronto i procedimenti dei Strumenii. Manget, Pharmacopoeia, 1688 té, comme si dans les plis des mots dormait, avec des chimères jamais tout à fait mortes l'absolue mémoire. Ces menies plis, Roussel les écarte d'ungeste concerté, pour y trouver un vide irrespirable, une rigoureuse absence d'etre dont il pourra disposer en toute souveraineté, pour façonner des figures sans parenté ni espèce» (Foucault, p. 28-29). Letti nell'ordine cronologico, quello giustamente adottato dalla raccolta, i vari interventi di Leiris permettono, e anzi sollecitano, un accostamento della sua opera con quella di Roussel, insieme a Max Jacob l'unico maestro riconosciuto. Infatti in queste pagine, sottese da un'incondizionata e affettuosa ammirazione, si rintraccia, senza alcuna difficoltà, il percorso che dal rientro dall'Africa e dall'abbandono dell'Io lirico per l'Io autobiografico condusse Leiris all'elaborazione di uno spazio autobiografico edificato sulla fragile rete che le parole riescono a tessere quando si accetta di farle «giocare» secondo determinate «regole». Se Neri riconosce a giusta ragione che «ciò con cui Leiris è entrato i I I I I I I I : . I I ~ .. • I ' I in familiarità è la distanza stessa, la segretezza, la solitudine di Roussel» (p. 107), espressioni tutte di una malinconia a lui così vicina, va inoltre precisato che questo incontro si rafforzò quando Leiris uscì definitivamente dalla fase oracolare che caratterizzò la sua adesione al surrealismo, quando, rinnegata la fede in un linguaggio totale, egli si ripiegò su un'altra forma di cratilismo («cratilismo secondario» secondo la terminologia genettiana), quello della motivazione indiretta che affida al potere creativo delle parole, alle loro associazioni e deformazioni, una funzione euristica - laicizzata nel suo forzato ridimenzionamento. E chi più di Roussel che aveva dimostrato ciò che una tecnica dovrebbe sempre essere: «Un metodo di ispirazione, un modo per tenere l'immaginazione sempre all'erta, qualcosa di essenzialmente dinamico» (p. 44) avrebbe potuto incoraggiare Leiris nella sua quéte di una regola che si rivelò essere non tanto il risultato quanto l'atto stesso di una ricerca durata più di quaranta anni e concretatasi nei quattro volumi della Règle du jeu? Nell'avvicinamento allo scrittore tragicamente scomparso a Palermo (Sciascia) si distinguono due fasi che si succedono senza soluzione di continuità- il compimento (quasi come un dovere) della prima, essenzialmente testimoniale («Poiché ho avuto modo di conoscere bene Roussel dal momento che mio padre fu uno dei suoi amici più cari, aggiungo a queste notizie alcun'e informazioni che possono interessare i fedelissimi di Roussel [... ]», (p. 17), lasciando anzi il posto alla seconda più precisamente critica. A distanza di anni rimangono l'una quanto l'altra di decisiva importanza nell'esegesi rousselliana. A Leiris (dedicatario della biografia di Caradec) si devono infatti i primi dati, raccolti con passione dalla propria madre, dall'amica dello scrittore, Charlotte Dufrène, nonché dal suo editore Alphonse Lemerre, non solo sui gusti letterari di Roussel (Verne, Loti, la letteratura popolare, le opere scientifiche divulgative come quelle di Flammarion, i dizionari enciclopedici) e suoi interessi artistici (la passione per il melodramma, gli spettacoli per bambini, il relativo desinteresse per la pittura) ma anche sul suo modo di viaggiare («[... ] non vestì mai i panni del turista, l'esterno non intaccò mai l'universo che portava in sé [... ]», p. 38) e di lavorare (i rigidi orari impiegatizi, la mania della perfezione stilistica e tipografica, l'irregolare rendimento). Una serie di dati che non intendevano certo fornire un quadro biografico esaustivo e fine a se stesso ma alcuni lineamenti - «[... ] il suo corteo di angeli e di demoni[ ... ]», (p. 38)- suscettibili di favorire un primo approccio dello scrittore allora ancora quasi del tutto sconosciuto. A questi primi tre interventi (È morto R. Roussel, p. 14, Testimonianze su Raymond Roussel, pp. 15-29, Il viaggiatoree la sua ombra, pp. 31-40)pubblicati a scadenze ravvicinate negli anni immediatamente successivi alla morte dello scrittore (14 luglio 1933) ha dunque fatto seguito, dal 1936in poi, un approccio più sistematicamente critico. Pubblicato sulla N.R. F., Comment j' ai écrit certains de mes livres è il primo tentativo di illustrare il «procédé» (rivelato in una raccolta postuma) seguito da Roussel per comporre le sue opere in prosa (oltre ai Textes de Jeunesse, Impressions d'Afrique, Locus Solus, L'étoile aufront et La poussière de soleils), lavori teatrali compresi. Affascinato da un meccanismo creativo così vicino a quello che avrebbe da lì a qualche anno sperimentato nell'elaborazione della Règle du Jeu (e come non intravedere la redazione, la messa in relazione e lo sfruttamento verbale delle schede leirisiane dietro la ri-

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