Lescelte ~ciaola"'apoleoni Claudio Napoleoni Discorso sull'economia politica Torino, Boringhieri, 1985 pp. 146, lire 18.000 Giorgio Lunghini ~Teoria economica ed economia politica: note su Sraffa» in Produzione, capitale e distribuzione Milano, !sedi, 1975 pp. XXVIIl.001188, lire 10.000 Paolo Albani Teoria economica e linguaggio scientifico. Elementi per uno studio sul rapporto Sraffa-Wittgenstein Economia Politica anno I, n. 1, aprile 1984 Luca Meldolesi Gli spiriti del capitalismo. Alcune osservazioni a partire da Hirschman e Braudel Stato e Mercato n. 15, 1985 ' E risaputo eh~ le scienze sociali sono maggiormente soggette delle loro cugine esatte a crisi d'identità. Queste crisi originano dalla periodica constatazione della fragilità dell'impianto teorico-sperimentale di una data scienza e spingono a mettere in discussione anche gli scopi, l'utilità e la possibilità (in sostanza la legittimità) di effettuare ricerca scientifica sull'insieme di regole comportamentali che formano l'oggetto di quella scienza. A queste crisi non sfugge l'economia, come prova la molteplicità di tentativi falliti di definirne un ambito di indagine universalmente accettato. Per comprendere le enormi dive·rgenze di vedute che oggi . coesistono bellicosamente nella comunità degli economisti possono aiutare alcuni esempi delle principali definizioni circa l'oggetto dell'economia, definizioni che si sono succedute cronologicamente, senza comportare però un'evoluzione. «Un'indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni» era l'ambizioso e generico programma di lavoro di A. Smith. D. Ricardo richiamò l'attenzione sulla distribuzione del reddito, importante per i suoi effetti sull'accumulazione. K. Marx ribaltò il ragionamento e mise in primo piano i meccanismi dell'accumulazione, rilevanti per la distribuzione. L. Robbins formalizzò l'impostazione neoclassica identificandola nell'economia come ricerca dell'allocazione ottima di risorse scarse per il conseguimento di fini alternativi. In effetti in economia queste crisi esistenziali si sono susseguite senza soluzione di continuità, tanto che si può considerarle come momenti diversi di un'unica lunga diatriba. E non è vero che le fasi ~ più acute siano coincise con i perio- -~ di critici incontrati dall'economia ~ reale nel suo sviluppo, come dimo- ~ stra il fatto che P. Sraffa pubblicò ....., Produzione di merci a mezzo di ~ merci nel 1960, ossia in pieno ____ f boom economico, e con il sottoti- ..., tolo «Premessa per una critica del- l l'economia politica». ;::: Intorno a quest'ultima opera ne- ~ gli ultimi vent'anni si è coagulata ~ una larga parte del dibattito sulla ::: crisi della scienza economica, del ~ quale Discorso sull'economia poÌ litica di C. Napoleoni (1985, Bo- ~ ringhieri) è un tentativo di sintesi chiarificatrice e insieme di ricerca di una soluzione attraverso l'allargamento a tematiche filosofiche. N apoleoni afferma che Produzione di merci è potenzialmente la chiusura formale di qualunque modello economico, una scatola vuota che può essere riempita con le più diverse interpretazioni dell'economia reale. Sbaglia perciò chi la impugna come «arma finale» con cui avere definitivamente ragione delle scuole di pensiero avversarie. A monte del lavoro di Napoleoni vi è l'idea che Sraffa abbia dimostrato, attraverso l'edificazione di uno schema formalmente impeccabile, quali sono le condizioni necessarie e sufficienti a determinare in modo univoco i prezzi di produzione delle merci. Ma insieme alle condizioni vengono evidenziate anche le ipotesi restrittive su cui poggia lo schema e queste sono tali da escludere, all'interno di quello schema, ogni soluzione ai problemi più interessanti posti alla teoria economica; ossia come si determinano il livello e la composizione della produzione e della domanda, la distribuzione del reddito (sovrappiù) e imutamenti tecnologici. Questa impotenza a spiegare le questioni chiave è il prodotto di un'estrema astrazione, un'astrazione ricercata con l'intento di rendere espliciti i limiti della economia politica quando le si vogliono applicare gli strumenti logico-matematici. A questa conclusione sulle conseguenze ultime di Produzione di merci era pervenuto G. Lunghini («Teoria economica ed economia politica: note su Sraffa» in Produzione, capitale e distribuzione, •!sedi, 1975): «Il "rigore" ormai d'obbligo per la teoria economica è incompatibile con la complessità che l'economia politica ha per oggetto», e «Nessun sistema economico reale, nel suo complesso, si • può ridurre mai, esaurientemente, all'oggetto di un calcolo». «Sraffa scrive solo le cose che possono [seguendo la logica matematica] essere scritte». Su quest'ultimo punto P. Albani («Teoria economica e linguaggio scientifico. Elementi per uno studio sul rapporto Sraffa-Wittgenstein», Economia Politica, anno I, n. 1, aprile 1984) afferma: «Sraffa costruisce un modello astratto, forma ideale e più semplice del mondo concreto, e lo riduce in un'algebra, in una logica[ ... ]. Il simbolismo sraffiano designa come stanno le cose, non che cosa esse siano, conseguenza del fatto che l'indagine è condotta più sul piano sintattico che semantico». La reazione all'opera di Sraffa, spiega Albani, è stata paradossalmente quella di perfezionare la logica formale dei modelli, asportandone le parti che dopo Sraffa non erano più difendibili e conseguen- • temente provocandone l'isterilimento del potere esplicativo. Ma mentre Lunghini conclude che non sono possibili «chiusure» formali del modello di Sraffa perché Produzione di merci vale a mostrare, anche a proprie spese, la miseria di un' «economia» che si è data o si trova come oggetto qualcosa che si può trattare o con «vigore» o con «realismo», Albani ritiene che l'uso di volta in volta marxiàno, neoricardiano, neoclassico o keynesiano delle proposizioni sraffiane è legittimo se seguiamo il «secondo» Wittgenstein. Questo Wittgenstein (quello, per intenderci, delle Ricerche filosofiche, contrapposto a quello del Tractatus) abbandona la definizione di un linguaggio logicamente perfetto a favore di «regole del giuoco» cui solo il contesto dà significato. S i può provocatoriamente affermare che l'opera di Napoleoni è la naturale mediazione fra queste due posizioni. Naturale perché già adombrata sia da Lunghini che da Albani quando affermano: il primo che l'economia si trova dinanzi ad una (apparente) scelta fra essere <<Scienznaaturale» •astratta, rigorosa ma infruttuosa, ed essere «filosofia» o una sorta di storia naturale; il secondo che gli economisti debbono abbandonare il concetto vinciano di scienza («nisuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'ea non passa per le matematiche dimostrazioni», trasferendo l'economia «dal regno della dimostrazione al campo della argomentazione». E la mediazione consiste nel ricorrere alla filosofia quale indispensabile ausilio per chiarire da cosa origina in un sistema economico il sovrappiù, e quindi la crescita, e come si distribuisca. Napoleoni parte dalla convinzione che «il sovrappiù, o il prodotto netto, come si trov1ano definiti in Sraffa, non implicano nulla e sono, in quanto fatti attinenti al processo n9ur~ "\XXH, CO. J \':\ CTlO . . G. Aurach, Pretiosissimum Donum Dei, Ms. Parigi produttivo, compatibili con qualsiasi teoria». Così come neutrale è il modello sraffiano. Resta, dopo Sraffa, da determinare l'origine del sovrappiù e, quindi delle quote distributive. Entrambe le spiegazioni teoriche storicamente alternative (quella neoclassica e quella marxian~) sono fallaci sotto il profilo formàle. Entrambe però sono, filosoficamente, chiusure possibili dello schema di Sraffa. Secondo la filosofia neoclassica (da non confondere con la teoria marginalistica) il prodotto netto, che quantifica il progresso economico, è frutto di due distinte facoltà umane: il lavoro e il risparmio (attenzione: il capitalista non è colui che risparmia, ma colui che si appropria del sovrappiù sociale per destinarlo all'accumulazione). Secondo Marx il sovrappiù ha origine dallo sfruttamento, a sua volta possibile solo attraverso la separazione dei produttori dalle condizioni oggettive della produzione. Lo sfruttamento capitalistico è in Marx, secondo l'interpretazione di Napoleoni, inversione di soggetto e predicato: la ricchezza astratta diviene dominatrice, attraverso il meccanismo impersonale del mercato, del produttore. In questo sistema il capitalista è alienato quanto il lavoratore. Lo sfruttamento è sottomissione di tutti all'astrazione del valore e quindi al meccanismo oggettivo del mercato. In realtà le due filosofie vengono ricondotte da Napoleoni ad una sola, quella neoclassica, della quale •«la spiegazione marxiana del sovrappiù può anche essere intesa come riferentesi alla forma storicamente determinata che assume nella società capitalistica la generica capacità di differimento del consumo». «Ognuna delle due spiegazioni dell'origine del sovrappiu trova nell'altra il complemento di cui ha bisogno». Affermato questo, Napoleoni effettua una scelta (storicamente determinata) di campo a favore della teoria marxiana e passa senza indugio a difenderla dirimendo alcune «questioni relative alla critica marxiana dell'economia politica» e rintuzzando gli attacchi mossi da Colletti (negazione del principio di non contraddizione) e da Severino (presupposto non spiegato). Riguardo a quest'ultima critica Napoleoni conclude che il presupposto non spiegato appartiene alla zona filosofica (Lunghini direbbe metafisica) del ragionare economico, sia in Marx che nei neoclassici, e che se si deve ritenere con Severino che quella zona «è gia morta di fronte all'avanzata della scienza, occorrerebbe concludere ... che il problema dell'origine del sovrappiù non ha senso e che, dopo Sraffa, non c'è in verità nessun altro problema, se non quello del calcolo». «Ma l'economia politica», continua Napoleoni «sembra una disciplina singolare»: quando essa è «ricondotta ad una forma "scientifica" (secondo il paradigma delle scienze naturali) "si sa" [... ] che qualcosa di essenziale va perduto, ... di essenziale per la conoscenza delle cose di questo mondo». E qui siamo tornati alle conclusioni di Lunghini e di Albani ed è da qui che Napoleoni inizia ad usare il grimaldello filosofico non più per discutere problemi di teoria economica ma per interpretare la realtà economica ed in particolare l'attuale crisi della politica di riforme keynesiana, l'inconciliabilità che si verifica ogni giorno fra «stato sociale» e mercato. Napoleoni ritiene che questa crisi si manifesti come aperta violazione delle compatibilità del sistema economico e che tale violazione sia l'ineluttabile conseguenza del seguente connotato del sistema capitalistico: «Né la piena occupazione né le provvidenze del welfare state sono in condizione di compensare i soggetti del fatto che essi, come soggetti produttori, sono totalmente assimilati a ciò che producono». «L'uomo e la società non sono riducibili senza residui [... ] alla pura produzione». Per superare la crisi, per raggiungere la liberazione non è forse il caso, domanda Napoleoni, di «guardare in modo diverso al rapporto tra l'uomo e il mondo, diverso cioè da quello stabilito dalla prospettiva della produzione - appropriazione - dominazione». P otremmo concludere lasciando aperto, come fa Na- . poleoni, questo interrogati-. vo. Ma un articolo di L. Meldolesi ( «Gli spiriti del capitalismo. Alcune osservazioni a partire da Hirschman e Braudel», Stato e Mercato, n. 15, 1985) rafforza la convinzione che esista, e sia più agevolmente percorribile, una via d'uscita diversa, anche se non nuova, da quella avanzata da Napoleoni. Il lavoro di Meldolesi persegue fini che esulano dai limiti del presente articolo e per i quali si rinvia direttamente al testo. Perciò ne estrarremo solo lè parti che sono qui pertinenti. Egli prende le mosse dai lavori di Hirschman, il quale riconosce a Weber di aver posto una questione fondamentale (benché ne critichi la risposta): come è possibile che il «far denaro» abbia acquisito tanta rispettabilità dopo essere stato per secoli condannato? All'origine dell'affermazione dello «slancio acquisitivo del secolo XVIII» ( e dei seguenti) vi è la teoria dello stato ed «il tentativo di migliorare l'arte del governo all'interno dell'ordine politico e sociale esistenti. Ab initio, dunque, Niccolò Machiavelli». Da Machiavelli si dipartirono due filoni di pensiero. Il primo filone constata l'impossibilità di continuare ad affidarsi alla morale filosofica ed ai precetti religiosi e distingue tre modi di comportamento volti a frenare le passioni distruttrici degli uomini: «La repressione, il contenimento e il contrapporre una passione con un'altra». Fu quest'ultimo, che prevalse, dato che gli altri due presupponevano una autorità che avrebbe potuto essere soggetta alle medesime passioni della gente comune. Va menzionato che questo filone di pensiero fu alla base della elaborazione della costituzione americana. Il secondo filone scaturisce dal concetto, ispirato da Machiavelli, di interesse. Mentre nella sfera pubblica questo concetto non ebbe successo perché «non condusse a regole di decisione precise», applicato agli individui «prosperò in modo sorprendente: la peculiare mescolanza di egoismo e razionalità che il concetto aveva ormai acquisito si rivelò particolarmente versatile». Successivamente i due filoni confluirono e, nelle parole di Hirschman, «una nuova categoria di passioni sino ad allora note come avidità, cupidigia, amore del lucro, poteva essere utilmente impiegata per contrastare ed imbrigliare altre passioni come l'ambizione, la brama di potenza, la lussuria». Ma l'economia politica ha, fin dai suoi fondatori, «dimenticato» l'origine passionale del suo oggetto di studio e si è sempre più dedicata, con mente fredda, ad analizzare i meccanismi attraverso i quali gli individui cercano di migliorare le proprie condizioni materiali. Uno dei meriti di Sraffa, potremmo affermare, è di aver riportato l'ac- .cento sulla qualificazione «politica». Se si condivide questa tesi sull'origine dello spirito capitalistico, e quindi sull'alienazione, allora diviene difficile auspicare l'abolizione del mercato senza pensare che questa implica il ritorno a forme più coercitive di potere politico. D'altro canto è naturale ricorrere ad una mediazione «politica» di istanze sociali che, benchè filtrate dall'economia, sono politiche. Se tutto questo non è privo di significato, allora riacquista validità quella ricerca che si ispira a Keynes, di mediazione fra democrazia e mercato all'interno dello stato.
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