Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

Lospazio,IV!f~ardoRosso Jole de Sanna Medardo Rosso o la creazione dello spazio moderno Milano, Mursia, 1985 pp. 209, lire 25.000 I I Medardo Rosso o la crea- '' zione dello spazio moderno»: già il titolo del testo di Jole de Sanna ne annuncia il taglio inedito. Nello scultore torinese, finora spesso sacrificato dalla critica come seguace, seppur geniale, delle acquisizioni ottocentesche, l'autrice indica «il fautore e teorico di un inedito assetto spaziale che intefessa tutta l'arte successiva, anche al limite e al di là delle definizioni tradizionali di scultura e pittura. In cosa consiste il cambiamento e che cosa si intende per spazio? Già sede ed ospite delle cose, lo spazio diventa la cosa; l'ex servo di scena è protagonista, oggetto della rappresentazione. La materia e l'opera subiscono una rigenerazione determinata dalla reinvenzione dello spazio: insieme questi termini si preparano a dare all'arte un volto sempre meno figurativo e nello stesso tempo più naturale, cioè affine alle modalità di costruzione del fenomeno in seno alla natura». Questa l'ipotesi e la premessa; proviamo ora, modificando la sintassi dell'articolato piano del volume, a concentrare l'analisi spaziale, teorica e storico-artistica su una singola opera ormai distrutta, Impression d'Omnibus del 1883-84, dallo stesso Medardo risparmiata nell'intransigente autoselezione sul corpo del proprio lavoro. «Questo allineamento ammirevole di cinque personaggi raggruppati a caso da un incontro, in una vettura pubblica, questa scena unica tradotta in uno stile severo e sicuro, eseguita in grandezza naturale con un'audacia erculea, una delicata e profonda intelligenza, un sentimento potentemente pittoresco dei valori e della prospettiva, appariva come l'esito geniale di un enorme sforzo, Difficile da trasportare, l'Interno d'Omnibus si ruppe durante il tragitto da Milano a Venezia, Noi non ne abbiamo che qualche frammento, e una fotografia per fortuna fedele». L'acuta e sentita descrizione di Camille de Sainte-Croix del 1896 riconosce la forza dell'opera ma non ne individua, come la de Sanna, la valenza eversiva nell'applicazione del principio di continuità spaziale: «La prima opera "adulta" di Medardo documenta una scoperta che è alla base del nuovo spazio: il corpo e l'aria, il pieno e il vuoto hanno in quest'opera identico valore costruttivo e identica resa formale. Tra un corpo e l'altro l'argilla copre gli intervalli che dovrebbero essere fuori, mentre i corpi presentano fosse e buchi nelle parti che dovrebbero essere a tutto tondo. L'opera intera è esente da un contorno esterno, galleggia nell'ambiente come un frammento». Il principio, suffragato dall'assioma dell'artista «niente è materiale nello spazio», costituisce, nel volgere del secolo, la prima, vera contravvenzione alla concezione spaziale che il primo Impressionismo aveva ancora ereditato dal Rinascimento, dove la gabbia prospettica, seppure appannata, continuava ad organizzare gerarchicamente gli elementi dell'opera, separando i pieni dai vuoti, le figure dagli sfondi. A quello spazio euclideo, statico e simmetrico, Medardo sostituisce lo spazio aperto e dinamico, abolendo i limiti delle figure, spazializzando la materia e materializzando lo spazio. Il movimento si manifesta con uno spostamento delle masse nello spazio, così è necessaria l'assunzione di una porzione di tempo nel fenomeno: il tempo entra nella nozione di spazio elaborata dall'artista sia nella forma sia nella teoria. Lo spazio abbandona la fissità prospettico-fotografica, si dinamizza e si apre. Più avanti, la de Sanna chiarisce la qualità del tempo di Medardo: «La teoria di Medardo non associa lo spazio al tempo come intervallo che trascorre, come tratto lineare di spostamento, ma ne dà una versione sintetica, succinta, come impulso associato all'impressione ottica, che è immediata e fulminea. Medardo dice che l'immagine è "un'emozione ottica e interna istantanea"; la forma è un'unità di spazio, percezione (emozione), materia e tempo. Il tempo non è generico ma esattamente definito: l'istante (instant d' emotion )». Quell'emozione che l'artista prova al cospetto dell'oggetto da rappresentare e che vuole riprodurre in chi osserva dal suo stesso punto di osservazione. S olo nel suo campo, Medardo partecipa però di una rivoluzione interdisciplinare: il primo viaggio a Parigi dell'artista è del 1884ed in quegli anni nella città cosmopolita gli studi sulla dinamica del punto materiale stavano soppiantando la meccanica classicacome i primi saggi sugli spazi di curvatura costante di Beltrami o le analisi sullo spazio topologico di Poincaré mettevano in discussione le certezze della geometria euclidea. In un certo senso anticipa, in sede artistica come il critico Charles Morice testimonia nel 1895, la teoria della relatività di Einstein: «Egli pensa: che un essere non esiste in sé, isolato, limitato da ogni lato dalla linea d'aria che lo circonda; · egli pensa: che un essere esiste solo per le sue relazioni con tutti gli altri esseri, in modo più apparente con quelli che condividono la sua vita ordinaria e accidentale. Egli - ed è lì che vediamo che non è un naturalista - vuol mostrare su un viso l'impressione reciproca dell'essere stesso e di quelli che lo circondano: l'istante di relazione che trasforma non soltanto la fisionomia, ma i tratti stessi; l'istante di verità che la posa non può dare e che bisogna in qualche modo rubare alle manifestazioni involontarie, inconsce, della vita». Ad una data imprecisata, sempre a Parigi, avviene lo storico incontro tra Medardo e Degas. Al • pittore, che per primo aveva contestato la fissità dello spazio prospettico attraverso la moltiplicazione dei piani di fuga, Medardo mostra una foto di Impression d'Omnibus: «Ma questa è la foto di un quadro?» esclama Degas, ricompensando lo scultore «della sua infallibile fede nella indivisibilità dell'arte». «Pittura? Scultura? Non c'è che un'arte, sempre identica ed indivisibile. Lo scultore che non è un pittore, cioè che sacrifica al fanatismo della linea ogni preoccupazione di atmosfera e di prospettiva, resta ir- ' reaie e-medfocre e, d'altra parte, ogni gran pittore comporta un grande scultore. L'unità dell'arte non sta in questa definizione: cogliere e tradurre i valori; Velasquez, Rembrandt, non hanno trattato le loro tele come se fossero d'argilla?» Il principio dell'unità delle arti, affermatosi in Francia tra il 1839ed il 1842 con il Grand-Opera .9i Meyerbeer, costituirà da questo momento un'ossessione per Medardo; come per la continuità spaziale egli individua in esso il ribaltamento della concezione classica, dell'illusionismo fotografico in pittura come del tutto tondo in scultura. Ne- . gli stessi anni, gli ultimi venti del secolo, oltre all'amico Degas, anche Cézanne e Van Gogh lavoravano per liberare lo spazio, la materia ed il colore. O ssessione nasce da ossessione; quella per un saggio di Baudelaire del 1846dal titolo sintomatico «Perché la scultura è noiosa»: «La scultura presenta varie difficoltà, che derivano per una logica necessaria dai suoi mezzi di esecuzione. Brutale e positiva al pari della natura; essa è insieme vaga e intangibile, in-quanto mostra troppe facce in una volta. Invano lo scultore si sforza di porsi da un punto di vista unico; girando attorno alla figura, lo spettatore può scegliere cento punti differenti, meno quello buono, e accade spesso, cosa umiliante p'er l'artista, che un movimento di luce, un effetto di luce, rivelino una bellezza diversa da quella a cui egli aveva pensato. Un quadro è solo e unicamente ciò che vuole essere, non è possibile guardarlo se non nella sua luce. La Pittura ha solo un punto di vista, esclusivo e dispotico: e per questo l'espressione pittorica è tanto più forte». Medardo raccoglie la sfida e, nei suoi scritti, batte insistentemente sullo stesso tasto: «Le opere d'arte alle quali si gira intorno non sono arte. L'arte è emozione, tutta emozione una e indivisibile. Tutti i quadri nei quali ci sono tre o quattro quadri, cioè tre o quattro punti di vista, l'è minga art, l'è bottega». Sainte-Croix rincara la dose: «La domanda che voi mi ponete (la scultura può rivaleggiare con la pittura?) è la sola questione che offra un reale interesse per la storia dell'arte. Non solo la scultura è uguale alla pittura, ma ha i mezzi per superarla. Priva di colori? Ma non è priva di valori. Nella materia deformabile si può a volontà produrre fosse e bozze e di conseguenza ottenere, non più con l'illusione prospettica, giochi di ombre sulla superficie piana, ma la prospettiva stessa, con rientranze, piani, effetti naturali di rilievo, di buchi. Il segreto dell'ambiente atmosferico, della palpitazione vitale è là». Come dire che lo spazio appartiene definitivamente all'opera e la materia ne costituisce la matrice. Gli intenti sono verificabili sulla scultura presa in esame: Impression d'Omnibus presenta molti punti di contatto, iconografici e formali, con la pittura· lombarda della seconda metà del XIX secolo, che il Grubicy denomina «Impressionismo italiano»: «Il Ritratto di Donna Maria Greppi (1869) appare assai prossimo alla prima modalità di Medardo: è dipinto a colpi di pollice che trasportano l'olio in continuità tra il fondo grigio e la veste scura costruendo un pasticcio indiviso di materia; il volto e il corpo emergono dall'impasto plumbeo. Questo dipinto, già causa di cho_csull'amico Cremona per la sua novità può aver galvanizzato Medardo, soprattutto se si osserva l'affinità tra l'olio privo di colore di Ranzoni e la sua creta che prende la luce solo dai movimenti della ,mano». Il modo di dipingere di Ranzoni, con ·un lungo pennello che appoggia tocchi brevi e precisi sulla tela, conferma l'accostamento con Impression d'Omnibus che la de Sanna colloca nella tipologia spaziale «a colpi». Proprio del 1884-84, vogliamo ancora riferire due episodi che testimoniano l'atteggiamento intransigente dell'artista in difesa delle conquiste dell'arte moderna; attraverso di essi «Medardo comunica implicitamente a che cosa si contrappone la sua opera». Il primo concerne la sfida al monumentalismo in occasione del concorso per il monumento a Garibaldi: «Il bozzetto n. 14presentato da Medardo rappresenta indubbiamente la nota più caratteristica della mostra attuale. Noi non mettiamo minimamente in dubbio che in questo gruppo originale vi sia dell'arditezza artistica: soltanto dubitiamo forte che esso possa servire ad un monumento a Garibaldi. È un grido di guerra accettabile senza dubbio a patto però che non si vada a finire in braccio alle più strane esagerazioni che mente d'artista sappia immaginare», questo il commento di un critico riportato da Mino Borghi nella monografia del 1950. 113maggio 1882Medardo viene immatricolato all'Accademia di Brera di Milano. Il sistema di insegnamento che vi trova è ri~ gorosamente accademico, basato in prevalenza sul disegno delle statue classiche riprodotte in gessi. Come ancora riporta il Borghi, «c'era più maniera che estro in quella scuola ed un giovane del temperamento di Medardo non poteva restare a lungo. Infatti il giovane, che desiderava trovare qualcosa di nuovo oltre i rigidi canoni dell'arte, si dimostrò subito insofferente tanto che alla prima occasione si mise nelle file dei ribelli e fu anzi il capo dei rivoluzionari». Insofferente a quel clima, organizza una raccolta di firme per chiedere tra l'altro l'ammissione di modelli femminili e di bambini e la fine dello studio dell'anatomia sui manichini. La battaglia e accanita e un giorno Medardo, intollerante ai rifiuti, percuote un compagno che nega la sottoscrizione. La sfida all'accademismo e all'eclettismo si conclude così con l'espulsione dalla scuola. Questo comportamento irruente ed eccentrico, se pure trova dei punti di contatto con il clima anticonformista della Scapigliatura, «convince che la sua intenzione era di esaltare i propri atti di artefice e porgere se stesso come protagonista della prima versione moderna del teatro d'artista. Con la cognizione di ciò che stava per verificarsi nelle avanguardie storiche, è lecito circoscrivere le svariate prestazioni personali di Rosso come "comportamento", ossia estensione del concetto di "opera" anche all'azione dell'artista». Ma l'intransigenza di Medardo, così connessa alla sua.attività teorica ed artistica, si esprime anche sul versante della difesa accanita del proprio lavoro, contro incomprensioni ed ingiustizie, come quella di Ojetti che, nel 1910,sembra stupirsi, sulle colonne del Corriere della Sera, che Medardo, semplice esportatore di conquiste altrui, fosse accolto a Parigi come un innovatore. «Con Carne Altrui, la Portinaia e Impressione d'Omnibus, mi staccavo completamente dal gusto pittoresco, dal fare di chi, senza lasciare l'antica interpretazione astratta, la composizione statuaria effigiarla visibile da tutti i lati, fa assegnamento solo sulla stoccata abile e sul cincischiodella materia, cercando di ottenere un effetto più simpatico ma superficiale». Il viaggio verso l'Esposizione Nazionale Artistica di Venezia del 1887, teatro di un'altra clamorosa protesta di Medardo contro il boicottaggio dei suoi lavori, Impression d'Omnibus andò distrutta. La conosciamo come disse Sainte-Croix, attraverso riproduzioni fotografiche «per fortuna fedeli». Riprese cioè dallo stesso artista. «La fotografia come invenzione è cosa enorme ma per il vedere è il più terribile dei mali», così la pensava Medardo cercando cii documentare personalmente i suoi lavori o correggendo le fotografie altrui. «Guidare lo sguardo dello spettatore anche nella riproduzione: ecco l'intento. La scelta delle luci e dei punti di vista non solo nelle riprese, ma anche nel taglio delle stampe asseconda infatti l'orientamento spaziale delle opere originali». Come Impression d'Omnibus avremmo potuto prendere a pretesto, nell'esporre l'affascinante analisi che percorre le pagine della de Sanna, qualsiasi altra opera, da Madame X del 1896, la prima scultura astratta, a Impression de Boulevard-Paris del 1895 fino ad Ecce Puer, l'ultimo lavoro del 1906: per ognuna di esse avremmo riferito tipologia spaziale, dibattito critico, insoliti accostamenti e trascinanti avventure di un genio isolato e attaccabrighe.

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