Alfabeta - anno VIII - n. 86/87 - lug./ago. 1986

ho preso quale opera d'arte di partenza il quadro di Géricault La zatteradellaMedusa. Il quadro di Géricault non è la realtà, è l'opera d'arte, mentre io vorrei fare sempre l'opera d'arte che è realtà: non ci riesco, ma è la mia aspirazione. Ho dunque fatto l'happening di cui parlo in riva al mare Baltico - operazione nota - con la zattera e molti elementi reali, che facevano allusione- sia pure molto esattamente, alludevano soltanto - a questa opera d'arte. E, credo, l'opera d'arte di Géricault è apparsa di nuovo: inverata; realmente. La stessa cosa con Veit-Stoss. Non potevo certo - sarebbe stato troppo facileed infine noioso - mostrare come Veit-Stoss scolpisce la Vergine, gli Apostoli etc. Ma mostrare questo altare dell'Assunzione in Santa Maria di Cracovia, ha significato per me rappresentare una sorta di asilo notturno, stamberga e dormitorio pubblico, luogo dei bassifondi della società. Protettori, puttane, malfattori, artisti maudits, tutta una banda che si trova all'interno di questo riparo. Ospizio notturno dove entra per caso o forse no - ma certamente è uno straniero, uno strano straniero - una persona di altro tempo e luogo, che può darsi cerchi riparo e giaciglio ma si comporta in modo diverso, non è accolta in questa «società» in cui pure si insedia. È la storia dello spettacolo. Costui comincia a costruire l'altare di Santa Maria con l'aiuto di questa clientela, di questa banda, di questi criminali. Fa la scultura dell'essere vivente: ed è allora che io intervengo con la mia idea che l'opera d'arte è la prigione! Di seguito egli introduce i pali dei supplizi, sempre lui mette al martirio i frequentatori della stamberga-asilo notturno ma - esattamente- con i movimenti, le posizioni convulse, gotiche, dei personaggi dell'altare di Stoss. Proprio eguale, tutto esatto, per esempio la posizione della Vergine che tiene le mani in questo modo, mani che - si dice - siano le più gentili della scultura mondiale ... Del Giudice. È possibile una definizione del vostro teatro come il L e considerazioni di Umberto Curi («La messa finita», in Alfabeta n. 82, marzo 1986) mi suggeriscono un confronto fra due prospettive proposte quasi contemporaneamente al pubblico italiano, eppure assai diverse: l'aspirazione al trascendente, come superamento dei limiti terreni, che caratterizza l'ultimo film di Nanni Moretti e la progressiva conquista di una quotidianità limitata, precaria ma proprio per questo vivibile, che ne Il bacio della donna ragno Hector Babenco strappa ai mondi assoluti dellafantasia e dell'impegno politico. Se il concetto di amore universale, nel suo significato evangelico e come ricercadi un'immanenza del senso ormai scomparsa, costituisce il tema di fondo di La messa è finita, è anche vero che essoprende forma in rapporto e in contrasto ad una quotidianità domestica, a dei contesti familiari al pubblico italiano. Moretti muove dal concreto per evocare il sentimento della lontananza; o meglio la sua nostalgia, poiché i valori perseguiti dal protagonista si rivelano irraggiungibili. Il problema della relazionalità, come rapporto fra umano e divino, esperienza individuale e valore resta irrisolto. E resta tale perché, lungi dal concepire una sintesi, il protagonista oppone questi due piani come antitetici a priori. Di teatro_che è per l'originalità dell'uomo, l'impossibile ripetizione, l'inesorabilità dell'atto, della vicenda umana? Kantor. La riproducibilità dell'opera d'arte è attività cui sono preposte tecniche che si occupano di ciò, non è l'artista che moltiplica. Ma in alcuni momenti si è cominciata a postulare la produzione in alcune serie dell'opera d'arte; io stesso ho fatto dei multipli. Ho detquaranta. Ho esposto quaranta ombrelli stampati in materia· refrattaria e fissati sulla tela. Adesso non sono della stessa convinzione, ma nel 1970pensavo che l'opera d'arte non fosse unica, che fosse riproducibile - non tanto con lo stampaggio, va da sé- ma in concreto, in termini reali. Tuttavia aggiungevo una parola: «partecipazione». Dunque ho venduto tutti questi quaranta ombrelli per molto poco davvero - volendo interdire il secondo le condizioni da me poste era stato rubato un quadro alla galleria Foksal. E quell'uomo di spirito ha fatto davvero qualcosa di originale quando ha riesposto il quadro, tuttavia non ha voluto firmare il suo intervento affermando che si trattava in ogni caso dell'Autore di un furto ... Un multiplo, dunque. Ma poi ho smesso di credere possibile questa eventualità, in definitiva l'opera d'arte si spostava nella sua unicità a Alchimisti al lavoro. Agricola, De re metallica, 1556 to che l'opera d'arte non è unica ed ho fatto un multiplo lavorando con la galleria Foksal di Varsavia, diretta da Borowski - che era presente a questo convegno di Bari. Parlo del 1970, nell'occasione scrivendo anche un manifesto sui multipli. Ho esposto l'opera d'arte moltiplicata gli ombrelli, dando il compito ad una fonderia in plastica di stamparli. Naturalmente io avevo dato il modello, l'originale; da quel modello se ne sono stampati parecchi, processo vendita-guadagno - e li ho venduti alla condizione che i quadri sarebbero stati riesposti, da lì ad un anno, con la «partecipazione» dei proprietari, l'attivazione in quanto espositori dei proprietari. Su questi quadri avrebbero potuto fare qualsiasi intervento tranne che dipingervi. Tra l'altro ho detto che si potevano anche rubare questi quadri, ed uno in effetti fu rubato; durante la notte ricevetti una telefonata che - appunto - diceva che • tutto questo multiplo, l'opera rimaneva una sola comprendente quaranta quadri, si trattava di un'unica manifestazione. Non si può moltiplicare, non si può riprodurre l'opera d'arte. Anche i miei lavori teatrali non possono essere messi in scena da altri, è impossibile. Non posso vendere i testi degli spettacoli ad un altro teatro, anzi, agli altri teatri. Soltanto il teatro «Cricot 2» e soltanto io, possiamo metterli in scena. L'opera d'arte BabenceoMoretti conseguenza, non solo non può esservi comunione universale o eucarestia, perché la via della trascendenza si è fatta oscura; ma nemmeno è possibile ricorrere ad un rinnovato interesse per il mondano, a cui si è già, consapevolmente, rinunciato. Come osserva Curi, nel film di Moretti i rapporti umani appaiono insufficienti: non motivano le scelte esistenziali più profonde, non danno risposta ali'ansia di completezza dei personaggi. Tuttavia, parlare di fallimenti è errato: in particolare, l'amore del prete «spretato» non è affatto «sesso di cui compiacersi vanagloriosamente»; questo personaggio ricostruisce anzi un nucleo familiare nella sua purezza originaria, scopre l'amore terreno e si dedica ad esso come ad una nuova fede. Il protagonista non si sottrae al fascino di questa scelta, ma incombe sul piccolo gruppo subendo un'attrazione quasi ipnotica; d'altra parte, la sua prospettiva è profondamente diversa: potremmo definirla «verticale», nel senso che non guarda orizzontalmente ai rapporti terreni e appare sterile, nella sfera dell'umano. Su questa strada, caratterizzata dalla solitudine e dal silenzio, s'incamminano anche gli altri personaggi: dal caso estremo della sorella, che è quasi un doppio del protagonista, alle altre sue proiezioni parziali l'unica differenza Roberta Scafi consiste nel non aver saputo scegliere fino in fondo la via della rinuncia, restando in bilico fra due prospettive nell'incapacità di aderire ad entrambe. L'impostazione seguita dal regista argentino è del tutto opposta. Babenco non muove da un contesto quotidiano, ma esordisce evocando due mondi astratti ed assoluti: il regno della fantasia e della sensibilità affettiva, di cui si fa portavoce Luis Molina, e quello del sociale e della ragion critica, drammaticamente ritratto nella realtà di un regime dittatoriale e nell'impegno rivoluzionario di Valentin Arregui. Si tratta è vero di due dimensioni immanenti, ma non per questo meno universali: il divismo cinematografico di Molina sostituisce il Dio cristiano; la «Causa» di Valentin assume un significato analogo. In Luis Molina dunque, l'amore universale si esplica attraverso la dimensione fabulatrice. Ma il suo ricorso alla fantasia nasconde una fuga, una rinuncia al presente che viene poi subito in maniera acritica e passiva. Il film narrato a Valentin denuncia questa scelta: MoLina s'immedesima nella vicenda senza coglierne la retorica stantia, e proiettando anzi quegli stessi valori nella sua vita privata. D'altra parte, l'impegno assoluto di Arregui è altrettanto sterile: lottando per il futuro, Valentin dimentica il presente e l'unica realtà in cui potrebbe intervenire: quella del suo rapporto con Molina, nell'isolamento estremo della cella. Muovendo da questi presupposti, due personaggi costretti ad una convivenza forzata ma ancor più prigionieri dei loro mondi assoluti, Babenco approda ad una soluzione diversa. Il ritmo del film si costituisce infatti sul progressivo riavvicinamento dei due, reso possibile da una reciproca dimistificazione dei loro mondi. Il film di Molina è uno strumento di propaganda nazista: fantasia e sentimenti rivelano la loro funzione consolatoria e deformante rispetto al reale. D'altra parte, gli eroi nazisti possiedono tutti i connotati tradizionalmente positivi del divo holliwoodiano: i loro ideali sembrano puri, e le certezze del pubblico si fanno ambigue. Paradossalmente in Babenco, l'eroe nazista è in buona fede, mentre il peggior sicario della polizia politica, colui che lascia morire Molina alla fine del film è~unpoliziotto negro. L'ideologia rivela dunque un potere persuasivo analogo a quello dell'immaginazione: i suoi miti deformano la realtàquanto quelli dellafantasia. Babenco non distrugge soltanto quella lontananza che costituiva la meta dei personaggi di Moretti: egli la denuncia anche come inumana e portatrice di morte; perché unica, inimitabile, che si crea in questi anni è tutto: poi muore, di essa rimanendo soltanto documentazione in spezzonfdi films, video, fotografie. Del Giudice. Si parla di una conclusione di un ciclo del vostro lavoro, si parla anche di una conclusione della vostra attività teatrale. Sembra al contrario che, per energia e problemi in campo, stia profilandosi la fisionomia di una nuova opera... Kantor. Non è poi così interessante se farò qualcosa di nuovo o smetterò, questo dipende da circostanze che si danno e via dicendo. Ma più interessante è la riflessioneche - fatti salvi oggi i problemi dell'età e delle forze che vengono meno, degli orizzonti più o meno aperti - ogni opera che ho fatto, dieci quindici o venti anni fa, l'ho sempre considerata l'ultima. È una sorta di fenomeno totale. Anche quando avevo trenta anni, per esempio, e facevo quadri o spettacoli, ho pensato sempre che fossero gli ultimi. Questo perché non vedevo il seguito; si comincia a intravedere quello che verrà dopo a distanza di un anno, due anni; ma se si abbiano o meno le forze non è interessante. Di interesse il fatto che l'opera d'arte possiede qualcosa di finito, di definitivo, in se stessa. Non la si può continuare. Credo che si trovi la forza nel momento iricui si fa qualcosa che è senza speranza. Senza speranza. E questo è prima di tutto impor: tante, ne ho sempre avuto il sentimento, anche quando ero giovane. Quando ho fatto Il ritorno di Ulisse durante la guerra, pensavo assolutamente che era la fine. Questa è la forza: la convinzione che riuscivo, nonostante molte difficoltà, nonostante i molti ostacoli, a fare opera che sarebbe rimasta. Quanto al resto, al dopo di noi... dopo di noi è il diluvio, dopo l'opera d'arte è il diluvio. Questa è la ragione, anche, per cui detesto il termine «scuola di». Quando mi domandano se avrò continuatori, rispondo che davvero tutto ciò non mi interessa. non c 'è futuro che non rimandi al presente, non c'è universale che non si costruisca su un individuale vivibile. I valori assoluti non servono all'umano; la vita nasce da valori empirici, provvisori, ma proprio per questo aperti ad un mutamento nel divenire. Ciò che in Moretti costituiva una crisi diviene qui soluzione, nonché denuncia di una menzogna sterile. Se in principio l'idealismo dei due personaggi si manifesta nel silenzio, nella solitudine e nell'aggressività reciproca - caratteristiche queste che appartengono anche al protagonista di La messa è finita - il loro incontro genera una comunione terrena, come apertura dialogica verso l'altro e sintesi di ragion criticae sensibilità affettiva. Molina abbandona i divi di celluloide per condividere l'idea di individuo cara a Valentin: «chi non umilia nessuno, ma nemmeno si lascia umiliare da nessuno». Valentin torturato a morte si accorge con terrore di non voler essere un martire; un medico pietoso gli concede un sogno breve, ma felice. E forse è debolezza, certo unafuga dalla sua missione universale, ma la scelta di questo personaggio, di un'Argentina ancora così lontana dal mondo pacifico delle nostre democrazie, rappresenta un monito ali'ansia di martirio e immortalità che sconvolge· il piccolo borghese di Moretti.

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